"Amori, passioni e... cattiverie"

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"Sbam"

La palla colpì il canestro sul bordo rimbalzando a lato e finendo sulla linea di metà campo.

"Maledizione!" imprecò Chibi correndo a riprenderla e palleggiando fino a sotto al cerchio metallico con l'intento di riprovarci nuovamente.

Quello era il suo ventesimo o ventiduesimo, Mori nel trascorrere del tempo aveva perso il conto, che provava a mettere a segno un canestro da quando era arrivato al campetto.

"Sbam"

Il cartellone rosso posto al di sopra del canestro vivrò forte accentuando così l'eco dell'impatto appena avvenuto.

"Grrr! Non è possibile!" esclamò Mori al vento sentendo le raffiche provenienti dal mare graffiargli la pelle con violenza mentre, le piccole goccioline di sudore che gli scendevano dal viso ed attraverso il collo si insinuavano nel tessuto sintetico della divisa di basket, gli provocavano svariati brividi di freddo, accentuati dalla temperata in continua discesa.

"Al diavolo" sbuffò sempre più irritato davanti a quei fallimenti sequenziali.

Mori si era dileguato da scuola non appena gli era stato possibile.

Dopo lo strano avvenimento di quella mattina, l'irritazione senza senso di Inoue e, le paure del giovane Chibi legate ad una possibile simpatia nascente fra il ragazzo e la sua sempai, il quindicenne era scattato in piedi al suono della campana di fine lezioni del primo pomeriggio, lasciandosi alle spalle il più in fretta possibile lo Shohoku e tutti i suoi componenti. Aveva bisogno di rilassarsi, staccare da tutto e da tutti, sfogarsi nell'unico modo che riuscisse a renderlo felice e, soprattutto, concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non riguardasse il numero tre o qualsiasi altro componente della squadra di basket. Per fortuna, a causa del fresco autunnale, del vento e del boato del mare agitato che, con le sue onde alte e scalpitanti sembrava voler rispecchiare al meglio il suo stato emotivo, al suo arrivo il campetto vicino al molo era deserto, pronto ad accoglierlo con tutti suoi pensieri e le sue insicurezze.

Chibi, raggiunta la sua isola felice, non aveva perso tempo.

Senza badare a nessuno, dopo essersi appostato in un angolo un poco riparato del campo, si era spogliato della divisa scolastica appallottolandola con poco riguardo per farla entrare dentro alla borsa contenente il suo più grande tesoro.

Come sua abitudine, al di sotto di essa, era solito indossare la sua maglia, anche se, era ben consapevole di non averne più alcun diritto. Una delle due paia della divisa della squadra che gli era rimasta e dalla quale non era riuscito a staccarsi quando aveva lasciato il basket. L'altra, solitaria ed abbandonata, giaceva nel suo armadietto all'interno dello spogliatoio della palestra ovest della scuola.

Non aveva ancora trovato il coraggio di recarsi presso quei luoghi a lui così cari per poter liberare, una volta per tutte, gli spogliatoi dalle sue cose e, di conseguenza, dalla sua ingombrante presenza riflessa in esse.

Chibi sapeva bene di essere uno stupido illuso ma, il poter sfoggiare ancora, nonostante la lontananza, con orgoglio quella stoffa sintetica rossa, percependola su di sé mentre lo accarezzava impregnandosi del suo stesso sudore, lo faceva sentire meno solo e disperso in quello stato d'isolamento che si era autoinflitto. Quel numero, quel simbolo di appartenenza nero dal carattere spigoloso, che gli fasciava sia il petto che la schiena, stringendoli entrambi in una specie di abbraccio, gli ricordava la stretta pesante ed allo stesso tempo delicata, provocata dalle braccia dei suoi compagni appoggiate sulle sue spalle mentre, con entusiasmo, si stringevano gli uni con gli altri prima che l'arbitro desse inizio alla contesa.

Quelle sensazioni, quel piacere e quel dolore, che all'unisono si impossessavano di lui ogni volta che estraeva la palla per lasciarla libera di stregarlo con il suono del suo rimbalzo sull'asfalto, erano tutto ciò di cui aveva bisogno in quell'istante per sopravvivere o, perlomeno, provarci.

愛とバスケットボール (Ai to basukettobōru)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora