Parte 20 - Un bacio

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«Ti faccio paura?», domandò Apollo con un sibilo che Giacinto poteva comprendere.

Gli dèi, se volevano, comunicavano con gli uomini anche se avevano assunto la forma di un animale.

Gli dèi potevano tutto, e in quel momento Apollo sentì che nessuno poteva togliergli ciò che era suo. Neanche il Fato.

Leggeva negli occhi di Giacinto una promessa di felicità che in passato gli era parso di afferrare, ma che poi si era polverizzata tra le sue dita.

«Non ho paura», disse Giacinto. La sua voce suonava come una risata trattenuta. «Non ho più paura di te». Allungò la mano, gli accarezzò la pelle grigia e lucida. Apollo si inclinò su un fianco, e il giovane gli sfiorò anche la parte bianca del ventre. Tamburellò sul suo dorso, lo sguardo perso in un desiderio che forse non aveva il coraggio di esprimere.

Apollo lo conosceva abbastanza bene da immaginarlo. Vide sua madre lontana, con la vista acuta di un dio, accoccolata sotto la sua statua, un'aurea di preoccupazione ad avvolgerla. Ma lui non aveva più voglia di pensare alle sue inquietudini, agli intrighi degli dèi che riuscivano ad amareggiare l'eternità della loro stessa stirpe.

«Sali sul mio dorso», disse a Giacinto.

«Non so se posso».

Il fragore delle onde coprì le sue parole. Apollo spinse con il muso contro il suo petto, gli strappò una risata. Avevano riso qualche volta nei primi giorni di allenamento, spesso quando Giacinto inciampava o quando lui sbagliava a lanciare il disco e lo faceva finire troppo lontano a incastrarsi tra i rovi. Le risate erano brevi intermezzi tra la sfiducia di Giacinto e la superbia con cui lui voleva conquistarlo. Non avevano mai riso in quel modo, tanto apertamente, come una melodia vivace suonata ai banchetti.

Anche Apollo rise, e Giacinto poteva sentirlo vibrare sotto le sue mani.

«Sali», gli disse il dio.

Il giovane si aggrappò a una pinna, si mise a cavalcioni su di lui. Gli dèi spesso si trasformavano per ingannare i mortali, per ottenere da loro qualcosa che altrimenti non avrebbero ottenuto.

I mortali hanno paura di noi.

I mortali ci tributano riti solo per allontanare la nostra furia.

Forse un giorno tutto sarebbe cambiato e persino gli dèi sarebbero stati dimenticati. Ma questo, il modo in cui un mortale era felice con lui, non lo avrebbe dimenticato.

«Se mi fai cadere, non te lo perdono», disse Giacinto.

«Stringiti a me».

Apollo sentì i muscoli delle cosce di Giacinto ingrossarsi contro il suo dorso, le dita che stringevano la pinna, il petto nudo che gli sfiorava la pelle.

Saltò tra le onde, sfiorando la spuma bianca, involandosi verso la luce estiva. Lo sciabordio si mescolò ai sussurri di Giacinto, ai gemiti di sorpresa che gli sfuggivano dalle labbra durante le acrobazie più spettacolari.

Circumnavigò l'isola, poi tornò al punto di partenza. Volgendo lo sguardo verso la costa si scorgevano le statue lignee degli dèi e i monti sfiorati dal sole che si abbassava verso l'orizzonte. Quando Apollo ritornò nella sua forma umana si ritrovò le braccia e le gambe di Giacinto avvinghiate al suo corpo, il volto così vicino. Lo punse una nostalgia dolorosa di un ricordo passato, di un sentimento perduto.

Passò tra loro un attimo di esitazione, i respiri di entrambi affannosi, non solo per lo sforzo della corsa e per le emozioni di aver solcato il mare insieme come un unico corpo.

Il sole lanciava guizzi di fuoco sul mare, nelle iridi di Giacinto dardeggiava il cielo. In un momento le loro labbra si unirono in un bacio prima esitante poi più profondo, le mani che si imprimevano sulle spalle e la schiena, i corpi ancora avvinghiati. Giacinto sapeva di sale, dell'odore dolciastro delle alghe, simile a quello delle creature marine che qualche volta Apollo aveva amato nelle profondità degli abissi.

Sulle labbra di Apollo (gay themed) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora