Parte 3 - Delfi

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Lo attendeva il monte Parnaso. Inspirò l'aria della notte primaverile che si faceva più fresca sulle pendici della montagna. Il profumo resinoso degli abeti rossi gli ripuliva i polmoni dall'aria densa e acre della fucina di Efesto. Uno spicchio di luna crescente accarezzava con il suo bagliore madreperlaceo i tronchi fitti della foresta, i petali violacei dei crochi e degli iris che spuntavano tra le rocce calcaree.

Apollo si fermò a contemplare la falce della luna, affondata nel cielo blu notte tra le costellazioni ancora luminose. Solo lui poteva vederci il profilo del volto di Artemide, il riflesso del suo naso dritto e del mento arrotondato, le valli e i rilievi che ricordavano le onde dei suoi capelli gonfiati dal vento durante la corsa per la caccia. Quando sua sorella guardava la terra dall'alto lo sentiva, avvertiva nell'aria un odore diverso, come se tutti gli alberi e i fiori, e persino la pelle degli animali, palpitassero di nuova vita e tutti i profumi si amplificassero. Loro due non erano come gli innumerevoli fratelli e sorelle che costellavano l'Olimpo, divinità che a stento si conoscevano, troppo presi a inseguire un'attività che li salvasse dalla noia della vita eterna, pronti a farsi dispetti per le questioni più sciocche. Lui, Artemide la conosceva da sempre, da quando gemelli avevano condiviso il ventre di Leto, la stessa donna che, proprio quando era incinta di loro, Pitone avrebbe voluto violare.

Maledetto.

Avrebbe rimesso le cose a posto, se Zeus si dimenticava di farlo. Qualche volta comprendeva l'esasperazione di Era. I piedi si mossero veloci, la pelle lasciata nuda dai sandali era accarezzata dal vento fresco, dall'erba tenera, ferito dalle sterpaglie e le rocce. A ogni taglio, la pelle si rigenerava. Probabilmente anche se non avesse posseduto l'arte della guarigione, non avrebbe sentito il dolore. Lo animava il fuoco della vendetta. Forse avrebbe dovuto chiamarla giustizia, ma non aveva il coraggio di pronunciare una parola che spettava ad Atena. Lei, d'altronde, era molto suscettibile su queste questioni.

Un fruscio tra le foglie lo fece fermare. Rimase in ascolto. Trattenne il respiro. Impugnò una freccia, l'arco nell'altra mano, ma presto da un cespuglio spuntò una lepre. Si accorse di esserne deluso. Fremeva, nelle vene l'icore caldo come il fuoco che aveva forgiato le sue frecce d'oro.

Se il suo nome significava davvero sterminatore e non solo candido, non faceva che rendere giustizia al suo destino. Fece un paio di passi. Altri fruscii e singhiozzi gutturali di uccelli notturni. Rivolse uno sguardo allo spicchio di luna, che una volta diventata piena sarebbe stata dominata da Selene e non più da sua sorella.

Aiutami.

Un bagliore di madreperla luccicò sui crochi e le rocce. Apollo si avvicinò cauto e tra i rumori della notte distinse il gorgoglio di una sorgente. Tese l'arco e scagliò una freccia che si conficcò nella corteccia spessa di un abete. Un altro bagliore tremò tra l'erba.

Eccoti, pensò Apollo, mentre la pelle squamosa del serpente baluginò di un verde smeraldo. L'animale allungò le spire, la sua pelle si gonfiò in un sospiro che presto riempì l'aria di un fetido odore. L'amore per il bello e l'armonia gli fecero provare immediata repulsione per quell'essere più simile a un drago che a un serpente. L'erba e il terreno scricchiolarono sotto il peso delle sue spire, delle zampe a cinque dita, delle ali spuntate sul dorso che non gli avrebbero mai permesso di levarsi fino all'Olimpo. Poteva davvero avvolgere l'intera città di Delfi con il suo corpo?

Era nato dal fango che aveva coperto la terra dopo il diluvio universale.

Un ringhio si levò nell'aria. Gli uccelli si azzittirono, mentre ogni altro fruscio cessò. Sembrava che persino la sorgente avesse paura di scorrere dopo che Pitone si era rivelato. Cosa vuoi? Sembrava dirgli con quel suono gutturale che si addiceva di più alle profondità dell'Ade e allo Stige che non al mondo accarezzato dal sole e dalla luna.

Sulle labbra di Apollo (gay themed) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora