Parte 25 - La nostalgia di Apollo

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Prima di cominciare volevo ringraziarvi per il supporto e dirvi che mi fa sempre super piacere quando commentate le mie storie <3

I quattro cavalli bianchi attaccati al cocchio scalpitavano. Le criniere candide come latte rifulgevano alla luce eterna dell'Olimpo. Tra le dimore di marmo e pietra ornate d'oro e avorio sonnecchiavano ancora gli dèi.

Solo Efesto era il più laborioso, sempre chiuso nel ventre dell'Etna a creare armi e utensili per tutti. Ermes volava da un angolo all'altro della terra per portare messaggi. Gli altri, invece, giacevano nei loro letti comodi, una coppa dorata d'ambrosia pronta per il loro risveglio.

Apollo accarezzò il fianco di uno dei cavalli, e afferrò le briglie di cuoio. Dall'Olimpo vedeva l'aria schiarita da Eos, impaziente che lui arrivasse.

«Sei in ritardo», lo riscosse la voce imperiosa di Artemide.

Sua sorella entrò nella stalla divina, che poco aveva in comune con quelle dei mortali. Il soffitto corrusco d'oro ricordava ai cavalli il loro ruolo, l'acqua limpida mischiata all'ambrosia nutriva la loro natura divina e immortale.

Artemide si sistemò la faretra sulla spalla, il volto adirato e teso, pallido come la luna di cui dominava la fase crescente.

«Elio poteva anche fare da solo», si ribellò lui.

«Questo è il tuo compito, non puoi pretendere che lo facciano gli altri. Oggi è il primo giorno di luna crescente, per quanto tempo devo aspettarti in cielo?»

Apollo guidò i cavalli fuori dalla stalla, sull'erba verde brillante che non si sarebbe mai seccata. «Se mi trattieni, sarà Eos a rimproverarmi».

Artemide con un balzo leggiadro gli fu davanti, le mani sui fianchi rotondi, le gambe agili e nervose divaricate. «Sei adirato con me o il responsabile del tuo umore sono le disastrose vicende amorose in cui ti infili?»

Apollo serrò le mascelle. Da quasi una settimana non vedeva Giacinto. Quando guidava il carro del sole chiudeva gli occhi, andava allo sbando, tutto pur di non vedere il giovane che si allenava senza di lui, che gli rivolgeva imprecazioni e accuse dopo la sorte toccata a Tamiri. «Ti avevo chiesto un favore e ti sei rifiutata di farmelo».

«Ti ricordo che Giacinto è il tuo amante, non il mio. Perché dovrei accordare a un solo uomo tutti questi favori? Proteggere la gravidanza della sposa di Argalo e accettare sua sorella come sacerdotessa del mio culto, senza neanche aver ricevuto un adeguato sacrificio in cambio».

«Ti avrebbero tributato molti sacrifici entrambi, e lo sai».

Artemide scrollò le spalle. I capelli legati sulla nuca si accesero di riflessi ramati. Attorno a loro aleggiava la luce dorata e soffusa dell'Olimpo. «Sono concessioni troppo importanti da elargire a una sola persona. Chi mi dice che per lei non sia solo un gioco?» Il suo volto si accigliò. «A tre anni già sapevo cosa volevo. Ricordi?»

«Ricordo la faccia sorpresa di Zeus quando sedesti sulle sue ginocchia e gli chiedesti di poter rimanere vergine».

«Chiesi anche un arco e le frecce, venti ninfe, figlie del fiume Amnìso che si occupassero dei miei calzari e dei miei cani, sessanta Oceanine di nove anni. Teti è stata contenta di affidarle a me».

«Chiedesti tanti epiteti quanti ne avevo io», la interruppe lui, il tono ironico. «Sei sempre stata competitiva».

Lei fece un gesto con la mano come a scacciare un ronzio fastidioso. «Ho chiesto i monti e una sola città, ho chiesto di poter aiutare le partorienti. Nostro padre mi ha dato questo e altro: trenta città, non una, che sono devote a me sola, altre città e isole dove vengo celebrata con le altre divinità, mi ha reso custode di strade e porti. Ti voglio solo ricordare che ero decisa a condurre la vita che faccio. Tu puoi assicurarmi che lo sia anche Polibea? Che un giorno non correrà dietro il primo cacciatore che le fa gli occhi dolci?»

Sulle labbra di Apollo (gay themed) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora