Parte 32 - Il Fato

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Ciao, readers ;) Vi annuncio che questo è il penultimo capitolo, spero stiate apprezzando la storia. Come sempre ditemelo nei commenti.

Apollo giaceva sdraiato sul letto, la testa abbandonata sulle ginocchia di sua madre. Leto gli accarezzava i capelli, scioglieva i nodi dei riccioli dorati che lui non pettinava da tempo.

Nell'aria il focolare crepitava, e fuori si vedevano le stelle, ma mancava il profumo della carne e del pesce arrostiti, della focaccia di maza e del miele, del vino nel krater.

Lui e sua madre erano divinità, di mangiare quelle cose non ne avevano bisogno.

Mancava Giacinto, il suo sorriso, i progetti di una vita che per lui Apollo aveva immaginato eterna, ma che era stata ancora più breve di quella concessa solitamente a un mortale. E tutto per colpa di Zefiro. Strinse i pugni. Un nuovo tremito lo scosse.

Quando accadeva sua madre gli avvicinava alle labbra il nettare, dolce, capace di calmarlo. A fargli compagnia erano il profumo di ginepro e alloro e il fiore nato dal sangue dell'amato, strappato dal prato, che aveva chiamato Giacinto e che portava con sé dal giorno della tragedia. Si stava seccando. Cosa avrebbe fatto quando anche quel fiore si sarebbe avvizzito, privato della vita?

«Mamma», si lamentò.

«Quanto sbagliano gli uomini che credono gli dèi insensibili al dolore. Il nostro dolore, quando ce l'abbiamo, è eterno, il loro dura solo una manciata di anni».

La porta si spalancò all'improvviso. Un refolo d'aria salmastra fece tremolare la fiamma.

Artemide entrò, la faretra sulla spalla, i capelli ramati trattenuti dal fermaglio madreperlaceo sulla testa, il volto pallido e le labbra serrate. «Mi manda nostro padre».

Apollo si rizzò a sedere. «Il padre che non ha concesso l'immortalità a Giacinto? Il padre che non mi permette di vendicarmi di Zefiro? Che padre è questo? Ho visto il re di Sparta, il dolore di un vero padre, quando a Giacinto sono stati tributati gli onori funebri».

Gli tornarono in mente quei giorni. Il corpo di Giacinto vestito come il suo rango di principe richiedeva, il pianto inconsolabile delle sorelle, della madre e delle serve che si battevano il petto con le mani. Le urla del re e degli altri figli che si sporcavano il volto di cenere e si strappavano le vesti. Anche Apollo aveva affondato le mani nei suoi riccioli d'oro, e li avrebbe strappati, si sarebbe stracciato le vesti, se la mano invisibile di Artemide non glielo avesse impedito.

Apollo aveva guardato da lontano il corpo di Giacinto, senza il coraggio di avvicinarsi. Aveva temuto di sfiorare un viso freddo, labbra che non si sarebbero piegate più in un sorriso. A piangerlo, nella sala ornata da statue d'oro e illuminata dalle fiaccole, erano venuti i parenti e i sudditi.

Poi le querce sul Taigeto erano state abbattute. Apollo non si era domandato se fossero proprio quelle che avevano donato a lui e a Giacinto ombra e frescura durante gli allenamenti e i baci. La pira fu eretta, alta verso il cielo, e il corpo venne trasportato nel luogo dell'ultimo rito. Gli strepiti degli animali si erano levati nell'aria durante i sacrifici, e la terra fu bagnata dal sangue scuro dei buoi e delle capre.

Ricordava le mani che cospargevano il corpo del giovane con il grasso ricavato dagli animali scuoiati, i vasetti colmi di miele e olio sul terreno.

Apollo era rimasto immobile, la sua luce splendente attutita. A illuminare la notte era stata la pira, il legno che bruciava e crepitava, i lapilli che vibravano nell'aria. Zefiro non aveva soffiato sul fuoco, chiuso per volere di Zeus nella sua buia casa a ponente. Erano stati altri venti ad alimentare le fiamme che tutto consumavano. Quando anche quelle si erano attutite, gli uomini ci avevano gettato sopra del vino per estinguerle del tutto. Del giovane che splendeva di bellezza erano rimaste solo le ossa, che i parenti avevano cosparso di grasso e conservato in un'urna.

Sulle labbra di Apollo (gay themed) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora