CAPITOLO 28

45 22 0
                                    




J:- Kyla, tutto bene? Con lo sguardo rivolto verso il basso, accenno ad un sorriso.K:- Certo, sono solo tanto stanca. Puoi accompagnarmi a casa? Jonathan afferma un sì con la testa. Ci incamminiamo nei pressi del parcheggio, Jonathan apre lo sportello della macchina invitandomi ad entrare, dopodiché raggiunge la sua postazione. Allaccio la cintura con la destra mentre con la sinistra mi tolgo velocemente le scarpe. Jonathan mi guarda con confusione. K:- Iniziano a far male. (corrugando le spalle) J:- Certo che sei proprio strana. K:- Bene puoi anche trovarti un'altra amica allora. J:- Amica? K:- Come dovrei definirmi? Jonathan non risponde ma dal suo sguardo capisco che qualcosa nelle mie parole lo abbia ferito. K:- Jonathan? J:- Lascia stare Kyla, davvero. K:- Non è ancora definito niente di certo tra di noi. J:- Per te nulla è mai certo. (alzando leggermente il tono della voce) K:- Per favore non urlare. J:- Ovviamente ciò che ti importa in questa conversazione è il mio tono di voce. K:- Portami a casa.

Senza degnarmi di uno sguardo, accende il motore e parte a tutta velocità. K:- Potresti rallentare per favore? J:- Non stiamo nemmeno superando il limite. Jonathan aumenta ancora di più l'accelerazione. K:- Jonathan ti prego. Jonathan continua ad ignorarmi. K:- Ho paura di te in questo momento. ( urlo a più non posso e con le lacrime agli occhi) Jonathan inizia a rallentare fino a raggiungere una velocità moderata; sembra quasi che quelle parole lo abbiano risvegliato da quel loop infinito. Una volta che mi sento finalmente tranquilla, appoggio lentamente la testa al finestrino cercando di far riposare la testa per qualche minuto. Arrivati a destinazione, mi slaccio la cintura e mi rimetto le scarpe. J:- Scusami per prima, ho esagerato. K:- Già... peccato però che esageri sempre. J:- Hai ragione ma Kyla io... K:- Tu cosa? Stavi tentando di ucciderci o sbaglio? Jonathan mi fissa negli occhi in preda al panico. K:- Prima mi hai detto che non mi avresti mai fatto del male ed è ciò che pensavo fino a qualche ora fa, ma adesso non so più a cosa credere. J:- Kyla... ( prendendo le mie mani e portandole vicino alle sue) Mi ritraggo senza pensarci due volte. K:- Non voglio che mi tocchi adesso. J:- Ascoltami per favore. K:- Cosa vuoi Jonathan? ( urlando con tutto il fiato possibile) J:- Io ti amo. K:- Se tu mi amassi davvero, non avresti cercato di porre fine alla mia vita solo perché non sono riuscita a definirmi la tua ragazza. Scendo dall'auto e prima di chiudere lo sportello, noto Jonathan con il volto rigato dalle lacrime: credo di non averlo mai visto così assente in tutta la sua vita. Qualcosa in lui sta cambiando, qualcosa sta portando via il mio Jonathan, il mio migliore amico da sempre ma ancora non riesco a capire quale possa essere la reale causa. Una parte di me vorrebbe ritornare indietro e passare l'intera notte con lui, un'altra invece sa che per il momento è meglio restargli lontana perché ciò che ha fatto o meglio ciò che ha cercato di fare stasera, va oltre ogni limite. Prendo le chiavi dalla tasca del cappotto, mentre da lontano sento il rumore della macchina di Jonathan allontanarsi sempre di più fino a scomparire completamente. Accendo la luce: la mamma mi attende con le braccia incrociate al petto e con uno sguardo abbastanza furioso. So già che mi attende una delle sue ramanzine. M:- Non credevo che la festa durasse così tanto. Dove diavolo siete andati tu e Jonathan? K:- Possiamo riparlarne domani per favore? Non è una di quelle serate da ricordare per tutta la vita. M:- Non te la puoi cavare così facilmente. ( puntandomi un dito contro e seguendomi ad ogni singolo passo) M:- Mi dici cosa diavolo è successo? K:- La festa è finita tardi, non avevo calcolato i tempi e per questo mi è sfuggito di avvertirti. M:- Ringrazia che ci fosse Jonathan con te perché altrimenti ti sarei venuta a cercare direttamente in persona. Ho un brivido lungo la schiena nel sentir pronunciare quel nome e quella frase. Se solo sapesse quello che è successo, sicuramente non la penserebbe allo stesso modo. K:- Sì... ringraziamo che ci fosse Jonathan. Deglutisco a fatica. K:- Posso andare a dormire adesso? Mamma fa un cenno di affermazione con il capo. Salgo rapidamente le scale e chiudo la porta della camera alle mie spalle. Mi guardo allo specchio e cerco di estraniarmi da questa realtà per qualche secondo ma con scarsi risultati visto che l'unica cosa a cui penso sono gli occhi di Jonathan colmi di rabbia e disprezzo nei miei confronti, il suo piede sull'acceleratore, la supposizione che ci potesse succedere qualcosa di grave, la strada farsi sempre più piccola, la mia faccia in preda alle lacrime e al panico più totale, la paura nei confronti della persona che mi ha detto di amarmi. Ma davvero amare una persona significa questo? Significa ferire volontariamente una persona affinché il tuo dolore diventi anche il suo? Non credevo si giocasse di strategie. Ho sempre sognato quelle storie che ti logorano dentro, ma non in questo modo così brutale. Ho sempre ritenuto l'amore un porto sicuro, un mettere colui o colei per cui provi dei sentimenti al primo posto, un essere fiero e felice per i traguardi che raggiunge, l'esserci costantemente, renderlo orgoglioso per dei piccoli gesti che non riguardano il denaro ma a volte anche solo il tempo che riservi a quella persona, essere il cuscino su cui piangere e non la ragione del pianto, proteggerlo ad ogni costo anche se questo significa non proteggere te stesso perché l'amore non è egoismo, l'amore non è un dare per avere ma un dare per sempre. E' come un quadro tracciato a matita che rimane vuoto e spoglio per tutto il tempo ma se si aggiungono le giuste tonalità di colore, si dà vita ad un'opera perfetta. Infatti, secondo la leggenda del filo rosso, tutti noi sin dalla nascita abbiamo un invisibile filo rosso legato al mignolo sinistro che ci ricollega alla nostra anima gemella e nonostante la distanza, il tempo e le circostanze le nostre due anime sono destinate ad incontrarsi e a stare insieme per sempre. Mi passo una mano tra i capelli, inizio a sentire il cuore battermi un po' troppo forte e l'ansia assalirmi sempre di più. Sembra che io stia guardando il mio corpo da un'altra prospettiva, un altro attacco consecutivo. Mi avvicino al comodino, prelevo le gocce e le ingoio velocemente non badando nemmeno alla giusta quantità: in queste occasioni superare la dose indicata è un obbligo. Solo dopo una mezz'ora circa riesco a calmarmi, quindi mi infilo il pigiama, mi stendo sul letto e lentamente faccio riposare il mio corpo. Ore 10:00: mi alzo e scendo per fare colazione. La mamma come sempre è a lavoro e io devo accontentarmi del mio solito latte e cereali. Marley ha già avuto la sua pappa sebbene mi continui a guardare leccandosi i baffi; a volte penso che abbia un buco nero al posto dello stomaco. Dopo aver riempito la mia pancia, lavo la tazza e il resto dei recipienti ma non appena mi avvicino al frigo per posare la bottiglia di latte, mi rendo conto che manca davvero poco per le domande all'università. La scuola terminerà tra quattro mesi e io sono ancora a zero. Prendo il mio laptop e inizio a sfilare una lista di tutti i possibili college a cui vorrei accedere: Stanford, Harvard, St. Louis di Washington, UOC di Cornell, UOC della California, UOC della Columbia. Ovviamente Stanford ed Harvard sono tra le mie prime opzioni, ma se non riuscissi ad entrare potrei comunque fare un passaggio successivamente. Mi iscrivo sui siti dei vari college e inizio ad abbozzare una sorta di tesi da presentare loro con tutti i motivi relativi alla mia candidatura. Cancello e ricancello in continuazione: deve essere tutto perfetto. Non posso permettermi di sbagliare , specialmente in situazioni come queste. Ore 13:00: credo di aver affrontato tutti i punti fondamentali quindi salvo il documento così che non possa perderlo e spengo il computer, poi lo riposiziono al suo posto.Notifica messaggio da J:- Possiamo parlare? Una sensazione simile alla paura inizia ad assalirmi alla vista di quel messaggio, ma cerco di farmi coraggio. K:- E di cosa dovremmo parlare? J:- Non farmelo dire ti prego. Non credo a ciò che sto per scrivere, ma ho bisogno che mi dia una spiegazione. J:- Allora? K:- Va bene. J:- Ti vengo a prendere tra dieci minuti. K:- Okay. Indosso un completo di tuta nero, delle air force bianche, una felpa nera, raccolgo i capelli in uno chignon scompigliato e aggiungo solo un filo di mascara agli occhi così da non sembrare un cadavere che cammina. Ore 13:12: chiudo la porta di casa e attendo che Jonathan si faccia vivo da un momento all'altro. Dopo qualche minuto vedo arrivare la sua macchina in lontananza e fermarsi nell'attesa della mia entrata. J:- Credevo mi dicessi di no. K:- Beh ti sei sbagliato... allora cos'hai da dirmi? J:- Possiamo parlare in un posto più appartato? K:- E perché mai dovremmo farlo? J:- Perché non mi va di discutere di questa cosa davanti casa tua con tua madre che potrebbe venire da un momento all'altro. Sentenzia con voce precisa. K:- Se il problema è mia madre, sta' tranquillo... non arriverà. È a lavoro. J:- Ma potrebbe... K:- Okay, ma cerchiamo di non sprecare troppo tempo. Jonathan abbozza un sorriso. Per tutto il viaggio, Jonathan non dice una parola nonostante il suo sguardo dica ben altro: apprezzo che lui non sia così soffocante nei miei confronti e che rispetti la mia decisione. Jonathan ferma la macchina davanti ad una stradina che mi sembra alquanto famigliare. J:- Ricordi quando facevamo le gare di skateboard? K:- Ecco perchè ero certa di conoscere questo posto... te lo ricordi ancora? J:- Ogni volta che torno in città per le vacanze, vengo a fare sempre una visita a questa strada perché mi ricorda quando ero realmente felice... perché mi ricorda te. K:- Jonathan... J:- Kyla... so di aver sbagliato ieri, non so cosa mi sia preso. Ero furioso e so che non c'è una giustificazione a tutto questo ma credimi... non ti avrei fatto del male. Non era mia intenzione ferirti, non lo è mai stata. K:- Jonathan non farlo. J:- Non fare cosa? K:- Non riempirmi di parole inutili, io voglio una spiegazione sensata. J:- Kyla prendo degli psicofarmaci. K:- Cosa? J:- Kyla sono malato e sto seguendo un percorso psicologico per affrontare al meglio questo male che mi logora dentro. K:- Cos'hai? J:- Che importanza ha? K:- E' importante per me! ( urlando) J:- Cancro. Non sento più niente, solo il vuoto più assoluto che pian piano sta divorando ogni parte di me. K:- Da quanto tempo? J:- Sono sette mesi da quando mi è stato diagnosticato. Jonathan è malato e io non me ne sono mai resa conto. Ma che amica sono? Ho gli occhi pieni di lacrime che bruciano più di ogni altra cosa. Avrei preferito che mi avesse detto che ha reagito in quel modo perché troppo geloso o perché non riesce a controllare la sua rabbia, ma non per questo. Questo è troppo da affrontare anche per me. J:- Ieri una parte di me voleva che tu venissi con me. K:- Non dirlo neanche per scherzo. Tu ce la farai e io ti starò accanto come ho sempre fatto. Jonathan mi guarda come se fossi la cosa più bella che abbia mai visto, poi mi sorride. K:- E' per questo motivo che eri sempre qui? Jonathan annuisce. K:- Perché non me l'hai detto prima? J:- Perché non volevo caricarti di una cosa così grande, non te lo meriti. Mi avvicino e porto le mie mani vicino al suo volto. K:- Tu non sei mai stato un peso per me e mai lo sarai. Io prometto che ti starò accanto durante questo periodo però adesso voglio che anche tu mi faccia una promessa. J:- Dimmi tutto signorina. K:- Promettimi che sarai il mio accompagnatore al ballo di fine anno. J:- Sai che non posso farlo. K:- Promettimelo. ( con tono deciso e scandito) J:- Te lo prometto signorina. Mi fiondo tra le sue braccia e gli dono tutto il mio affetto, tutta la mia protezione e sicurezza nei suoi confronti. Sono stata una stupida ad aver avuto paura di lui, ora so cosa lo ha cambiato e farò di tutto per restargli accanto. Jonathan mi rilascia un lungo bacio sulle labbra ma non uno di quelli che si danno di solito due fidanzati, uno di quelli più dolci di sempre che ti scioglie il cuore ma che allo stesso tempo ti strazia l'anima.

La scena si conclude con la canzone Ocean di Elsa & Emilie.

The strength to stay alive- La forza di restare in vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora