2 - L'amicizia rimane

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La nonna non era una bravissima scrittrice, e ciò era risaputo, ma nei suoi testi trapelava tutto, ogni singola sensazione ed emozione, ogni pensiero o dolore. Non aveva mai provato qualcosa di tanto atroce sulla sua pelle, eppure Salvo si era commosso. Non poteva immaginare che la nonna avesse dovuto subire tutto ciò e il solo pensiero lo distruggeva; ciò che di più spezzava il suo cuore era che, forse, tutte le volte che cercava di parlarne con lui o con i suoi familiari, tutte quelle volte che raccontava quelle interminabili storie, il suo intento non era quello di fungere da sonnifero o sembrare una vecchia nostalgica e logorroica, ma voleva in qualche modo sfogarsi, voleva rendere la sua prole e la nuova generazione partecipe non tanto del suo dolore, mai e poi mai un animo così gentile e affettuoso come quello della nonna Ruslana avrebbe desiderato vedere,, in generale qualsiasi persona, ancora di più un suo parente, soffrire come aveva sofferto lei. Il suo intento era quello di avvicinare a lei e alla sua vita i suoi familiari, così che la conoscessero a fondo e provassero per lei lo stesso affetto che lei provava per Pryntsesa e che viceversa riceveva da lei soltanto ascoltandola o vedendola ascoltare. Voleva ritrovare la sua amica perduta.

La sua amata nonna ne aveva passate così tante, lei poteva anche morire, poteva non esserci più e così nemmeno lui sarebbe venuto al mondo, eppure c'era, era lì davanti a lui sull'uscio della porta e lo fissava. Era così intento a leggere quei reperti tanto da non accorgersi dell'arrivo della nonna, o almeno finché ella, non avendolo visto per tutto il giorno, non bussò alla porta della sua camera.

«Avanti.»

La signora, snella e atletica per la sua età, entrò nella camera del nipote e lo vide sul letto, o almeno ne vide solo il lungo ciuffo di capelli che fuoriusciva da sotto il piumone.

«Tua mamma mi ha detto che mi stavi cercando, che succede, tesoro?»

Il ragazzo emerse completamente dalle coperte ma non la guardò, fissò il vuoto per un po', fece qualche smorfia pensierosa e per qualche attimo non parlò, forse per reprimere quell'innato istinto di pianto che gli saliva dal profondo, non voleva mostrarsi debole nei confronti di sua nonna, anche se ciò che non sapeva era che avrebbe dato l'idea di essere tutto tranne che debole. Dopo aver più a più volte roteato gli occhi e dopo essersi ben inumidito le labbra secche con la lingua, continuando a non guardarla, chiese: «Chi era Pryntsesa?» solo allora alzò lo sguardo fino a raggiungere i suoi occhi color del vetro.

Udendo quelle parole, sul volto della donna, sebbene perfettamente levigato, apparve una ruga e il suo vivace colorito scomparve, soppiantato da un velo di pallore, quasi come se le avessero dato in mano una mascherina e la sua mente fosse stata tempestata da violente e veloci immagini in successione di quel periodo e la sua schiena fosse stata colpita da un centinaio di frecce in contemporanea.

«H... ho detto qualcosa di male?»

«Perché vuoi sapere di Pryntsesa?» disse stupita dal fatto che il ragazzo conoscesse quel nome, poi vide la sua scatola, il computer, i quaderni, le e-mail e sorrise «È una lunga storia.».

La nonna non aggiunse altro, ma non lasciò nemmeno la camera del ragazzo, rimase lì con le braccia incrociate al petto per tenersi al caldo e la spalla sinistra poggiata sulla porta. Non voleva andarsene, avrebbe tanto voluto parlare, ma come avrebbe fatto a trovare le parole giuste? La chiusura, la lontananza, la guerra, ma non tanto il conflitto in sé, ma la sua amicizia... il vocabolario, né italiano, né russo, né ucraino conteneva le parole adatte per esprimere ciò che provava. Come per riflesso cercò di guardare altrove, per lo stesso motivo del nipote: spalancò gli occhi e guardò indietro, sperando di frenare e nello stesso tempo asciugare una lacrima che stava per precipitare dall'occhio. Era vero, ne parlava spesso ogni volta che raccontava aneddoti ai suoi familiari, ma mai si soffermava tanto sulla sua amicizia con Pryntsesa e su tutto quello che avevano passato insieme. Era vero, da ciò che scriveva non sembrava aver vissuto tante avventure, parlò poco e di niente, eppure il suo cuore sapeva ciò che avevano passato e i suoi ricordi non mentivano, tanto che appena il suo sguardo incrociò la copertina flessibile del famoso romanzo di Dostoevskij, quella lacrima contro la quale aveva lottato tanto, non poté che rigarle la guancia pallida.

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