5 - Il re di cuori

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Era passato del tempo, tanto tempo, ore, ore interminabili che si erano trasformate in giorni e giorni che si erano trasformati in settimane, settimane che portarono a fine mese. Era il 30 settembre, la sera del 30 settembre 2022. Tutti speravano che la fine di un mese portasse via non solo un periodo temporale, ma anche un periodo di violenze, la fine di un mese poteva ben coincidere con la fine delle proteste e la vittoria della giusta causa... ma così non fu. Le proteste continuavano, altre persone erano morte e Karima non riusciva più a resistere. Aveva saputo della morte di molti giovani, anche solo ventenni, oltre che persone della sua stessa età o dell'età di Faruk. Le si spezzava il cuore. Lei voleva e doveva essere con loro, non poteva aspettare impassibile senza scendere in piazza a far sentire la propria voce o mandando i suoi aeroplani. E invece, era chiusa in casa, segregata per salvarsi la vita. Quanto poteva essere egoista? Le sue giornate erano ormai vuote, quasi non avevano senso di esistere. Tanto valeva fare la sua parte, far sentire la propria voce dal vivo, almeno per una volta, così da poter provare quel brivido tanto desiderato.

La sua vita non aveva più un senso.

Non poteva fare la sua parte.

Non poteva svolgere il suo lavoro.

Cosa ci faccio ancora qui?

Spesso le capitava di guardare giù dalla finestra, il suo passatempo era diventato quello di ipotizzare l'esatto valore dell'altezza del palazzo, per capire quanto tempo avrebbe avuto per pentirsi della sua azione mentre precipitava dall'altura.

Ma non lo faceva mai veramente.

Non perché avesse paura, dopotutto, aveva il coraggio di farsi uccidere a colpi di manganello scendendo in piazza, cosa sarebbe mai stato un semplice salto? Semplicemente, non le sembrava corretto: tutti morivano per un ideale che era anche il suo e lei sarebbe dovuta morire cadendo da un misero balcone?

Ciò andava contro ogni suo buon proposito.

Le doleva ammetterlo, ma, ormai, si era abituata a quella vita monotona, a quella vita insensata che le provocava solo un forte senso di inadeguatezza con cui aveva imparato a convivere, era diventata la sua compagna.

Non faceva altro che rigirarsi i pollici mentre guardava i piatti sporchi nel lavello della cucina o gli ingredienti per il pranzo già usciti dalla credenza e che aspettavano solo di essere cucinati... ma non faceva niente.

Voleva una svolta.

Voleva quella svolta.

La svolta che le serviva per andare avanti, per voltare pagina.

In realtà, quella svolta voleva essere lei, come tanto sperava ancora nel profondo.

Tanto valeva morire, no?

«Karima!» urlò Faruk entrando in casa quasi sfondando la porta.

Cercò di dire qualcosa ma non ne ebbe la forza. Si accasciò a terra e iniziò a piangere, un pianto di dolore... e di tremenda stanchezza e disperazione.

«È morta... stava solo cantando... ne è morta un'altra» sussurrò tra i singhiozzi.

«Chi?» Karima si precipitò sul suo fidanzato e si accovacciò cingendogli le spalle.

«Era solo una canzone... una canzone»

«Faruk... chi era?»

«Nika Shakarami ... stava cantando "Il Re di Cuori" o una cosa del genere... stava solo cantando una canzone... solo una canzone.» Faruk era stremato, non riusciva a dare un ordine ai suoi pensieri... né tantomeno al suo dolore.

Un brivido attraversò la schiena della giovane... aveva già sentito quel nome la sua memoria non la ingannava: «Ma... lei aveva solo...»

«Diciassette anni... l'hanno ritrovata dopo dieci giorni»

Non pure i ragazzi.

Non è possibile.

Non possono arrivare a tanto.

Bisogna fermarli!

La rabbia che tratteneva in corpo era l'arma più potente che qualcuno potesse mai utilizzare, una bomba a orologeria pronta a esplodere e fare strage. Altro che mitra, altro che pistole, altro che manganelli: niente poteva fermare la rabbia di una donna forte che aveva esaurito la, fin troppo tollerante, pazienza.

Karima diede in preda ai nervi un pugno sul muro rompendo un pezzo di vernice e scalfendosi le nocche che cominciarono a sanguinare. Iniziò a urlare in preda alla più tremenda ira e frustrazione. Rovesciò una sedia e indossò uno dei suoi hijab: non quello rosa che era solita indossare, ma quello nero, ancora mai utilizzato... quello di morte.

Con violenza si scaraventò verso la porta del suo appartamento e uscì sbattendo con foga la porta dietro di sé che, per questo, non si chiuse, ma lei si era già avviata come un razzo verso l'uscita dell'edificio.

«Dove stai andando?! Che hai intenzione di fare?!» urlò Faruk ancora più preoccupato per l'intuita follia della giovane.

«Questo schifo deve finire!»

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