1 - La minaccia

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Le strade iraniane di Teheran erano deserte, ma le forze armate erano comunque presenti per fermare una possibile protesta da parte della popolazione, ne erano avvenute parecchie in quei giorni e, date le circostanze, non sarebbero cessate così facilmente.

A causa dell'ingiustizia subita da Mahsa Amini, arrestata e successivamente uccisa per "non aver correttamente indossato l'hijab", molti civili avevano preso a cuore la sua causa, volevano rivendicare i loro diritti e ciò che gli spettava; così, iniziarono le proteste.

«Sono passati solo tre giorni dalla morte di Mahsa Amini e i civili stanno per insorgere in nuove proteste. Si dice che la ventiduenne sia morta a seguito di un infarto o per un ictus, ma tutti sappiamo la verità» la giornalista stava parlando mentre veniva registrata da una telecamera per un piccolo telegiornale locale, quando un membro della polizia la fermò in modo brusco.

Con un pugno fece cadere la telecamera dalle mani del giovane cameramen lasciandogli un graffio sul volto. L'apparecchio elettronico si ruppe in mille pezzi.

«Siamo giornalisti!» urlò la giovane mentre il poliziotto le strappava dal collo la tessera che attestava e ufficializzava il suo mestiere di reporter.

«Ti sollevo dal tuo incarico fino a ulteriori e contrarie comunicazioni» disse con tono irritato.

«Come?!» la donna era furiosa.

«Andiamo via, Karima» le sussurrò il cameraman all'orecchio prendendola per un braccio.

«No!» urlò lei divincolandosi e avvicinandosi altezzosa alla forza armata.

Di tutta risposta, prima che la giovane potesse accorgersi della situazione, il possente uomo di polizia la colpì in volto con un sonoro schiaffo e poi, con una violenza inaudita, le diede una gomitata all'altezza del collo per poi scaraventarla a terra con un violento colpo di manganello.

Karima era dolorante, si lasciò scappare un gemito e si piegò tenendo una mano sul collo. Quando il suo sguardo incontrò quello dell'aggressore venne attraversata da un brivido...

Mi ha sicuramente rotto un osso.

Faruk, il suo cameraman, ma anche il suo promesso sposo, si accasciò su di lei per difenderla e accertarsi delle sue condizioni.

«Andate a casa. E non fatevi vedere mai più; se no, giuro che vi ammazzo. Soprattutto tu» urlò indicando Karima decisamente irritato «Ringraziatemi per non avervi già ucciso, ma la prossima volta che vedrò i vostri volti in giro non avrò pietà... E tu sistemati quell'hijab, puttana. Altri non sono clementi come me»

A poca distanza da loro, un gruppo di forze armate stava per avvicinarsi per accorrere in aiuto del loro collega.

«Va tutto bene laggiù?» urlò uno di loro.

Il soldato che aveva maltrattato Karima rispose con un cenno della mano.

«Via!» gridò con fare minaccioso ai due giovani.

Faruk prese Karima di peso, sebbene lei insistette per camminare sulle sue gambe.

Il soldato si allontanò.

I due giovani iniziarono allora a camminare, il braccio di lui la sorreggeva, ma Karima era comunque capace di muovere gli arti inferiori: era il collo a dolerle.

Tornarono alla loro abitazione mentre altri civili avevano riempito la piazza con l'inno

Karima si sentiva inutile, impotente, vedeva le persone morire quando lei era stata salvata e non poteva far nulla per cambiare le cose.

Si chiuse in casa e non poté più uscire.

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