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Mi hanno chiuso in una stanza

dove non filtrava la luce

e quando mi hanno liberato,

l'hanno fatto con delle scuse

più false

del sorriso smagliante che tenevano

in viso

mentre mi regalavano il mio posto nel mondo.

Pensavano bastasse come risarcimento,

uno stupido contratto

di lavori forzati

che non soppiantavano la segregazione,

ma si aggiungevano

a un mare di cose

che se non finivo

o non portavo avanti

nessuno più

mi chiamava

donna.

In Prima PersonaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora