3 - Lo scontro

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I brevi ma intensi messaggi lasciati sugli aeroplani di carta avevano riscontrato più successo di quello che Karima pensasse. Molti erano, anche i ragazzini, che conservavano i suoi messaggi in tasca, ripiegati con cura come una foto di un ricordo caro che porta fortuna. Altri, usavano alcune sue frasi come slogan, come motti che accompagnavano le loro proteste ed erano molte le persone che per la strada urlavano "In prima persona!" come se la persona che deteneva quel nome fosse un martire che era morto per salvare tutti.

Karima era diventata il simbolo delle proteste, anche se nessuno la conosceva, anche se nessuno sapeva chi fosse, tutti avevano fiducia in lei, vedevano in quei messaggi un incoraggiamento, non solo ad andare avanti, ma a combattere fino in fondo perché quella per cui stavano protestando era la loro causa e meritava di essere elogiata.

Le proteste che stavano portando avanti racchiudevano non solo la possibilità di non indossare l'hijab, ma in generale di essere libere di fare in autonomia le loro scelte, vestirsi come più amavano senza dover rispondere delle loro azioni con la morte come se avessero commesso il più grave dei reati.

Se, da un lato, i messaggi di In prima persona erano ben accettati da tutti i civili, in particolare i protestatori, non erano allo stesso modo ben visti dalle autorità. Vedevano questi messaggi come una minaccia, una minaccia passiva che non scendeva fisicamente sul campo di battaglia, non si faceva viva, eppure era lì. Li metteva in difficoltà. Sarebbe stato molto più facile per loro affrontare un nemico che si presenta davanti a loro, bastava sparare e quel soggetto non avrebbe causato più alcun problema. Ma quella persona che si nascondeva dietro la carta era, a dir poco, snervante. Protestava più di tutti con un linguaggio graffiante senza però rischiare... non sapevano se definirla genio o codardo.

Dovevano arrestarlo, chiunque egli fosse.

Arrestarlo per intralcio alla giustizia.

Loro stavano facendo giustizia.

Era inaccettabile combattere contro un nemico invisibile che, nonostante ciò, infondeva sicurezza e carica negli animi dei protestatori.

«Si è ormai diffuso in tutto l'Iran il fenomeno dello scrittore nascosto che si firma con il nome d'arte "In prima persona" che con i suoi scritti invita i civili a non smettere di protestare e farsi valere. È forse un bene? Ho sta commettendo un reato andando contro i principi governativi? Che fine farà il messaggero che si serve di aeroplani di carta quando verrà scoperto?» ogni telegiornale, locale o straniero, non parlava d'altro.

I più preoccupati erano proprio le forze armate: abituati e allenati ai combattimenti corpo a corpo, non amavano combattere un nemico invisibile. Gli era stato affidato un compito: trovare "In prima persona" e ucciderlo. Era in tutto e per tutto in criminale, un protestatore che meritava la morte al contrario di ciò che tanto voleva affermare. Non solo dichiarava pubblicamente la sua protesta, ma si nascondeva dietro una falsa identità – già di per sé un reato – e lasciava per iscritto le sue dichiarazioni che andavano contro ogni legge. Insinuava, inoltre, in una conversione ideologica della loro guida, colui che guidava alla perfezione il loro stato... l'unica conversione doveva essere quella dello scrittore, ingrato verso la sua guida.

«È una donna» affermò un addetto alle indagini «Nel testo riguardante le donne scrive "noi"... è una donna»

«Potrebbe essere anche un gesto di solidarietà, utilizzare "noi" per sentirsi una di loro anche se non lo è...» replicò un altro lavoratore.

«Non credo...» continuò l'altro molto sicuro «Perché dovrebbe essere un uomo, secondo te?»

«Penso che solo un uomo potrebbe creare dei discorsi di senso logico profondi come questi... le donne non sono così capaci»

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