Chapter two

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⚠️ATTENZIONE⚠️

🔞Questo capitolo contiene scene esplicite🔞

Sorseggio le ultime gocce del frullato ai cetrioli preparato pochi minuti fa, e poso il bicchiere. Lecco le labbra, cercando di assaporarne quanto più possibile, e mugugno estasiata.

Lo bevo ogni mattina da circa tre anni per cercare di attutire i sintomi delle rare sbornie dopo le feste. Anche se, in verità, non mi ubriaco quasi mai, poiché detesto perdere il controllo di me stessa e della mia lucidità. La sensazione di avvertire la stanza girare, le gambe tremare come due schifose gelatine e la bocca sparare qualsiasi cazzata mi capiti mi fa a dir poco ribrezzo. Non sopporto abbandonare il raziocinio e lasciarmi andare all'irrazionalità. Tento sempre di restare lucida, in ogni situazione, e ancorata al muro di ghiaccio che mi circonda. Tuttavia, è capitato alcune volte che fossi talmente ubriaca da non riuscire a reggermi in piedi e, ovviamente, le mattine dopo ho provato un tale odio per me stessa che mi sono...

punita.

Scuoto il capo, cercando di distogliere la mente da quei pensieri, ed esco dalla camera, senza salutare la mocciosetta come invece faccio solitamente, poiché probabilmente si è fermata a dormire da Jason.

Una volta uscita dalla stanza, posiziono una mano sulla nuca e la faccio scorrere fra la chioma scura in modo tale da sistemare i capelli sopra la giacca di pelle nera.

Pochi minuti dopo riesco a sedermi al mio solito posto in aula, che mi viene lasciato sempre libero dall'ultima volta in cui una poveretta vi si è seduta.

Ricordo ancora quel giorno:

Quando entrai in classe quella mattina e la trovai seduta sulla mia sedia, mi avvicinai a lei e le ordinai di alzarsi.

"No, stronza." si permise di rispondermi lei.

Io risi semplicemente, cercando di occultare al meglio il bruciore fastidioso di rabbia che mi invadeva lo stomaco, e, senza pensarci un minuto di più, dopo essermi accertata che il professore non fosse ancora entrato in classe, la afferrai dai capelli e la trascinai lontana dal banco.

Non esercitai una presa eccessivamente ferrea, ma quanto bastava per trasportarla alla fine delle lunghe file di sedute.

Lei mi guardò con gli occhi lucidi e il labbro tremolante. Purtroppo non mi intimorì neanche un po'. Quella stronzetta si divertiva soltanto a provocarmi, per puro gusto di vantarsi con i suoi amici.

Perciò fu un diletto maggiore vedere questi ultimi ridere di lei, così come tanti altri nell'aula.

A dire il vero gli occhi di tutti i presenti erano puntati su di me, su di lei. E la sensazione di essere osservata da tutte quelle persone mi infastidì ma al contempo mi compiacque talmente tanto che mi voltai con uno scatto verso di loro, e domandai:

«Beh? C'è qualcun altro che vorrebbe sedersi lì?»

Sorrido soddisfatta a quel ricordo, e prendo posto, lasciando che alcuni studenti si siedano poco lontano da me, sulle postazioni in legno che si elevano a gradoni.

«Buongiorno a tutti.» la voce del professor Timon riecheggia nell'ampia aula, inducendoci a spostare lo sguardo sulla sua figura bassina. Ci osserva dagli occhialetti più grandi del suo viso e si dà una sistemata alla chioma corvina, forse fin troppo gellata.

La sua stazza minuta e le due fossette che albergano ai lati delle sue labbra potrebbero dare l'idea di uno di quei classici insegnati ingenui e capaci di essere abbindolati persino da un cagnolino, eppure il suo carattere è tutt'altro: uno stronzo di prima categoria che, forse per frustrazione forse per noia, si diverte a bocciare gli studenti che considera sotto la A o a richiamarli in classe semplicemente perché sorseggiano dell'acqua.

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