"Firma qui e diamo inizio ad una nuova avventura!"
Joan Laporta mi guardava sorridente ed io non potei far altro che sottoscrivere il mio nome in fondo a quelle pagine che avevo letto con massima attenzione. In quel momento stavo realizzando parte del mio sogno e ne ero completamente consapevole.
Mentre facevo scivolare la penna sul foglio il flash della macchina fotografica pervase la stanza e ripensai a tutto quello che avevo affrontato per arrivare a quel momento: le continue lotte con mio padre che non voleva che giocassi a calcio, le bugie dette quando da ragazzina scendevo per andare a giocare con i miei amici e tutte le sgridate ricevute quando tornavo a casa con le ginocchia sbucciate e i vestiti sporchi di terra. La passione per quello sport era troppo grande e non c'era stato verso di fermarmi quando, a 16 anni, avevo trovato da sola una squadra con cui allenarmi e giocare. Avevo iniziato tardi la carriera, ma la mia determinazione a fare meglio di tutti mi aveva presto resa una delle centrocampiste più forti in circolazione.
Dopo le consuete foto con le strette di mano mi consegnarono la mia maglia col numero 17 e non era una scelta casuale: nella smorfia napoletana quel numero stava a significare la disgrazia e mio padre mi aveva ripetuto così tante volte che per lui ero stata una disgrazia che decisi che quello sarebbe stato il mio numero, così che un giorno avrei potuto dirgli che ce l'avevo fatta nonostante tutto e nonostante tutti.
Firmare con il Barcellona per me significava arrivare nell'Olimpo, tante delle calciatrici che consideravo degli idoli giocavano lì ed ora potevo finalmente confrontarmi con le più forti per crescere e migliorarmi ancora di più.
Il giorno seguente avrei affrontato la mia prima conferenza stampa, non avevo idea delle domande che avrebbero potuto farmi e in più avevo anche un po' di difficoltà con la lingua, nonostante fosse abbastanza simile all'italiano ed anche al napoletano.
Scesi negli spogliatoi insieme all'allenatore Jonatan Giraldez che mi mostró il mio posto e solo quando vidi impresso il mio nome su quel muro mi resi conto di quello che stava realmente accadendo. Mi avvicinai e lo accarezzai con gli occhi lucidi, ce la stavo facendo. Presi il telefono dalla tasca e decisi di farmi un selfie da postare sui vari social, poi ritornai ad accarezzare quel pezzo di muro col mio nome ed il mio numero."Conosco bene la sensazione che stai provando."
Una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare, quando mi voltai vidi Giulia Dragoni, aveva 16 anni, era italiana ed era anche la prima straniera entrata nella cantera blaugrana. La conoscevo bene, avevo letto tantissimi articoli su di lei, la chiamavano "la piccola Messi".
Si avvicinò a me e mi porse la mano per presentarsi."È un onore conoscerti, ho letto e visto così tante cose su di te, sei bravissima!" le dissi sincera.
La vidi un po' imbarazzata nel sentire quelle mie parole e mi confessò che di solito era lei a dire queste cose alle altre e che io ero la prima che le diceva a lei, ma era la realtà, per me era un esempio nonostante fosse più piccola di me di ben 8 anni.
Giocava ancora nella seconda squadra, ma sapevo che presto sarebbe arrivata in prima squadra perché era veramente veramente forte.
Chiacchierammo un po' del più e del meno, le chiesi qualche consiglio per adattarmi e poi ci salutammo, poiché doveva andare ad allenarsi ed era passata solo per fare gli onori di casa.Poco dopo indossai la divisa da allenamento e raggiunsi l'allenatore sul campo dove il resto della squadra si stava già scaldando. Osservai un po' da lontano prima di avvicinarmi e le vidi tutte lì le calciatrici che mi avevano motivata ad arrivare dov'ero: Aitana, Mapi, Fridolina, Ingrid, Lucy, Patri e naturalmente Alexia, la capitana. Proprio quest'ultima mi notò e mi sorrise facendo segno di avvicinarmi. Quando misi piede sull'erba del campo d'allenamento Jonatan interruppe tutte e le fece avvicinare a noi.
"Ragazze lei è Lucia, ha appena firmato con noi e sono convinto che ci aiuterà ad arrivare lontano!"
Dopo questa breve presentazione tutte applaudirono e una alla volta vennero a presentarsi. Capii molto poco perché la maggior parte di loro mi parlava in spagnolo ad una velocità che solo un madrelingua poteva sostenere.
Presi parte all'ultima metà dell'allenamento e poi andammo tutte sotto la doccia.
Nello spogliatoio sentivo alcune ragazze che parlavano di uscire insieme a cena quella sera, non mi aspettavo che invitassero anche me e invece poco dopo mi si avvicinò Ingrid Engen che mi chiese il numero così che potesse aggiungermi nel gruppo whatsapp per organizzarci.
I: "Tu dove hai preso casa?"
"A Sant Anto-" non mi fece finire di rispondere.
I: "Oh, anche io, Fridolina e Mapi abitiamo li, stasera ti passiamo a prendere noi così non dovrai preoccuparti di niente!"L'entusiasmo della norvegese un po' mi travolse, ma ne fui molto contenta, non ero tanto brava a socializzare con le persone e il carattere di Ingrid mi aiutava molto.
I: "Bene, allora dopo ti contatto e ti faccio sapere a che ora passiamo a prenderti."
La vidi voltarsi e ritornare al suo posto con la sua perfetta coda di capelli che svolazzava a destra e sinistra e non potei far altro che sorridere. Fridolina Rolfö, che era seduta di fianco a me, aveva guardato divertita tutta la scena ed ora se la rideva notando lo sguardo cattivo che Mapi mi stava dedicando.
Sapevo benissimo che lei ed la norvegese stavano insieme e non avevo nessuna voglia di creare problemi.
M: "Stai sorridendo così alla mia ragazza?"
"No...insomma si, ma non è come pensi!" alzai le mani in segno di resa e lei iniziò ad avvicinarsi.
M: "Tranquilla, sto scherzando, amiga!" mi diede una pacca sulla spalla e tutte iniziarono a ridere.
"Menomale, l'ultima cosa che voglio è creare problemi." dissi rilasciando un sospiro di sollievo.Dopo quel breve teatrino uscimmo tutte dal centro sportivo dove c'erano alcuni fan pronti a farsi foto e autografi. La maggioranza acclamava Alexia e Mapi, le stelle del club, ma una decina di ragazzine iniziarono a chiamare il mio nome non appena mi videro così mi fermai e le accontentai tutte, poi mi misi in auto e mi diressi a casa.
Nel quartiere dove alloggiavo c'erano tanti negozi d'abbigliamento, così mi fermai in uno di questi per cercare qualcosa da indossare per l'uscita con la squadra. Optai per qualcosa di semplice, ma che mi rappresentasse: degli shorts di jeans con un top beige sopra ed una camicia di lino bianca da indossare in caso facesse freschetto.
Mentre salivo a casa ricevetti il messaggio di Ingrid che mi avvisava che sarebbero passate a prendermi alle 20:30, così andai dritta in bagno a prepararmi, dato che avevo poco più di mezz'ora di tempo.
Dopo essermi vestita lasciai i capelli sciolti e decisi di truccarmi in maniera molto leggera, usando solo un po' di eye-liner, il mascara ed un rossetto nude.
Mandai la mia posizione alla norvegese e dopo pochi minuti mi avvisò che erano già sotto casa mia.
La serata trascorse in maniera molto piacevole, nonostante le difficoltà che avevo con la lingua tutte erano molto simpatiche ed accoglienti. Lucy Bronze, però, aveva trascorso tutto il tempo ad osservarmi. Non ci diedi molto peso, anche io osservavo spesso le persone, mi aiutava a comprenderle prima di aprirmi con loro.
Quando tornai a casa mancavano pochi minuti alla mezzanotte così mi buttai sotto la doccia e mi misi a letto, dato che la mattina seguente mi aspettava una giornata molto impegnativa.
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Il cuore nel pallone
FanfictionLucia Grimaldi è una ragazza napoletana di 24 anni con il sogno di giocare in una grande squadra e vincere quanti più trofei possibili. La sua carriera è iniziata tardi, colpa di suo padre che non voleva farla giocare ad uno sport che lui riteneva f...