23 - Luna

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L'ultima cosa che ricordo sono gli occhi di Vegas fissi su di me. Non so perché, ma quegli occhi scuri adombrati dalla paura sono impressi su di me come un tatuaggio indelebile.

È stato un attimo; quasi impercettibile.

Avrei dovuto afferrarmi le ginocchia e nascondere la testa fra di esse, ma quegli occhi mi hanno inchiodata sul sedile.

Faccio fatica a deglutire. Il corpo è talmente pesante che mi sembra di avere un elefante sdraiato sopra. Tento di aprire gli occhi, ma mi costa così tanta fatica...

Le braccia sono in una posizione innaturale dietro la schiena e quando sposto la mano per cercare un appoggio, sento delle fitte di dolore ovunque.

Provo nuovamente ad aprire gli occhi e mi sembra la cosa più difficile che io abbia mai fatto.

La consapevolezza dell'accaduto mi dà quel tanto di forza da permettermi di alzarmi. C'è del sangue sulle mie mani e anche se vorrei tastarmi per vedere da dove esso provenga, l'unica cosa che riesco a fare è guardare intorno a me.

Non c'è nulla.

Niente di niente.

Ed è proprio questo a spaventarmi ancora di più perché ricordo perfettamente di essere precipitata giù da un aereo.

Le gambe cominciano a tremare e i condotti lacrimali sembrano essersi aperti del tutto dal momento che non riesco a fermare le copiose lacrime che mi bagnano le guance.

Cerco di chiedere aiuto, ma la mia voce sembra essersi nascosta.

Ricado pesantemente per terra e non ho idea di quanto io ci rimanga, ma quando la mia mente sembra essere tornata la razionalità fatta persona di una volta, mi rialzo.

Controllo il mio corpo e mi spaventa quello che vedo perché il sangue sulle mie mani non proviene da me.

Dove diavolo è finito l'aereo? Dove sono tutti quanti? Come ho fatto a non ferirmi?

Non c'è niente intorno a me se non vegetazione e il rumore degli animali notturni.

Sarò forse balzata fuori dall'aereo durante la caduta? Oppure lo schianto è stato talmente forte da spezzare il jet?

Troppe domande alle quali non ho tempo di rispondere perché il mastino che c'è in me mi dice che devo muovermi. Siamo in Corea del Nord e questo non è il momento di adagiarsi e piangersi addosso.

Devo muovermi.

Devo trovare gli altri prima che sia troppo tardi perché se nordcoreani mi trovano, per me è la fine. Sono una cittadina straniera che non ha nemmeno un documento con sé e dovrei anche spiegare la situazione, il che sarebbe abbastanza complicato.

Mi guardo intorno e l'unica luce che mi permette di vedere è la luna alta nel cielo. Gli altri non possono essere lontani e non appena la mia mente formula questo pensiero, se ne innesta un altro. Staranno bene? Saranno vivi?

Non ho tempo per queste domande.

Inizio a camminare alla cieca, nella speranza di poter trovare un indizio, un qualcosa che mi dica che sono vivi.

Sono su una montagna e forse la cosa più sensata sarebbe andare in alto. Forse in quel modo potrei avere una visuale a trecentosessanta gradi e potrei trovare gli altri.

Inizio a salire, ma è dannatamente complicato e per di più mi fanno male tutti muscoli.

Cammino.

Mi arrampico.

Cammino ancora.

Cammino fino a quando il mio corpo non mi intima di bloccarmi.

Mi accascio vicino un tronco di un albero parecchio grande. Il mio respiro è affannato e i miei occhi si appannano per la stanchezza. È proprio in quel momento che mi sembra di percepire un lamento. All'inizio ho pensato che fosse il verso di un animale, ma quando poi il lamento si è fatto più intenso, le mie gambe si sono mosse in automatico. Inizio quasi a correre, inciampando a destra e a sinistra.

Fino all'ultimo battitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora