Prologo

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Baby, even on my best days

I can't bear your absence

Please, come back

And bring me a cup of rainbow

Absence, Joy and Grief

Quando sei membro di una famosa rock band, la gente crede che consumi tre pacchetti di sigarette al giorno e non puoi fare a meno di girare con un accendino in tasca. Forse tutto dipende dalla caratteristica voce roca, forse le persone sono inclini a categorizzare... comunque sia, nella loro mente avviene questo ridicolo ragionamento: Porta giacche di pelle, suona in una band e ha dei tatuaggi? Perfetto, allora so come attirare la sua attenzione: gli chiedo un accendino così da attaccare bottone.

Da quando ero diventato popolare nel mondo del rock'n'roll, mi era capitato tante volte. Le fan (e i fan) mi si accostavano con il pretesto di chiedermi un accendino e l'unica cosa che potevo fare era fissarli finché non si allontanavano.

La verità è questa: ho sempre odiato le sigarette, e ancor di più gli accendini. Il mio incubo peggiore, che non avevo mai confessato ad anima viva, era il fuoco. Fuoco in qualsiasi forma e colore: dalla fiamma di un piccolo fiammifero al falò su una spiaggia, ai fuochi che illuminano il cielo la sera del quattro luglio.

Lo conoscevo fin troppo bene, il fuoco. Ci avevo giocato abbastanza per capire che, se lo tocchi, brucia. Portavo ancora i segni della mia avventatezza.

Era per quella ragione che avevo posto una sola condizione a Joel, prima di comprarci un attico insieme. Niente camino, niente candele, niente sigarette, niente accendini, niente fiammiferi in casa nostra.

Fortunatamente, lui non era un fumatore incallito (si faceva una sigaretta qualche volta ad una festa e non di più), quindi aveva subito acconsentito.

In compenso, al posto delle sigarette, avevamo una piccola zona bar nel salotto abnorme e una palestra tutta nostra, dove poter sfogare tutto il nostro stress represso.

Se ve lo state chiedendo, stare in una rock band non è per niente facile. Prima di tutto, non puoi uscire di casa senza essere inseguito dai paparazzi; in secondo luogo, hai dei precisi obblighi a cui sottostare per mantenere sempre l'immagine che ti è stata incollata e delle date di scadenza entro cui produrre una canzone. Ma soprattutto sei costantemente messo sotto pressione per far sì che la tua sia la prossima hit dell'estate. Non è facile. Non lo è per niente.

Quel giorno, mi ero rifugiato in palestra per scaricare lo stress e magari farmi venire un'idea per una nuova canzone. Era da un po' che non riuscivo a buttare giù neanche una riga, non importava quando ci provassi. Fissavo il foglio bianco e nessuna parola compariva magicamente nella mia mente.

Per anni, la mia unica fonte di ispirazione era stata una sola persona, ma avevo deciso che dovevo andare avanti, che non potevo basare tutta la mia carriera sul suo ricordo. Non era salutare, e mi stava logorando dentro.

Ancora una volta, si affacciò davanti ai miei occhi l'immagine di un viso dalla mascella dolce e dai capelli bruni. La pelle era diafana, senza nei o cicatrici a rovinarla.

Scossi la testa, cercando di scacciarla, e poi aumentai la velocità del tapis roulant. Spinsi le gambe ad andare più veloce, fregandomene del bruciore alle cosce. La tuta grigia mi sfiorava la pelle sensibile ad ogni falcata, ma non me ne importava. Nessuno mi avrebbe mai visto scoperto dalla vita in giù. Mai. Anche quando scopavo, le gambe erano sempre coperte da uno strato di denim.

Corsi ancora più veloce, costringendo il mio corpo a dare tutto quello che aveva da dare. Espiravo pesantemente, il cuore pompava ad un ritmo forsennato.

Un ultimo sforzo, pensai, quando vidi che sul display del tapis roulant lampeggiava la scritta 2.98 km.

Non mancava tanto per arrivare a 3 chilometri, il mio obiettivo della giornata. Stavo ancora correndo quando pochi attimi dopo Joel comparve nella mia visuale. Ancora prima di rivolgermi un cenno di saluto, staccò la spina del tapis roulant, facendomi quasi capitolare.

«Ma sei scemo?», esclamai, reggendomi ai braccioli per non cadere.

«Il tuo cellulare mi ha svegliato. Suona ininterrottamente da mezz'ora», disse, mostrando ciò che teneva nella mano destra. Stringeva l'aggeggio tra il pollice e l'indice e lo faceva girare come se fosse una biro con cui giocherellare.

«Chi è?», chiesi, prendendo un asciugamano per pulirmi il petto sudato.

«Meglio che tu lo scopra da solo», rispose, lanciandomi il cellulare con un scatto deciso del polso.

Afferrai il dispositivo prima che toccasse terra, ma ciò mi costrinse a mollare la presa sulla salvietta. Quando alzai lo sguardo, Joel era già sparito.

Scossi la testa, ormai arreso a quel suo modo di fare.

Quindi, accesi il telefono, non troppo entusiasta di vedere l'emittente di quella chiamata.

Sullo schermo, mi apparvero le notifiche di cinque chiamate perse e un messaggio registrato nella segreteria telefonica.

Il mio cuore mancò un battito quando lessi il suo nomignolo.

Perché mai mi avrebbe dovuto chiamare? Erano anni che non mi rivolgeva la parola, nonostante i miei numerosi tentativi di chiarire con lui.

Avevo persino rifiutato di cambiare numero di telefono per assicurarmi di avere un modo per raggiungerlo. Non mi aveva contattato fino a quel momento, perché farlo ora?

Cliccai sulla notifica e feci partire la registrazione. Prima di chiamarlo indietro, era meglio sapere cosa aveva da dire. Magari voleva solo lanciarmi degli insulti originali su quanto fossi stronzo e senza cuore, un'ultima volta prima di voltare pagina.

Portai il dispositivo all'orecchio e attesi di sentire la sua voce.

«Ehi, Phoenix... Sono io...ehm, Rob... Non ero nemmeno sicuro che avessi ancora lo stesso numero dopo dodici anni, ma... ecco... ti chiamo perché ho bisogno di un favore...»

Non potevo credere a ciò che stavo ascoltando. Era lui. Era davvero lui.

«Senti... So che ormai tu e la band avete una vita lì in America, ma mi chiedevo... c'è forse qualche possibilità per voi di venire in Italia? Miki e Teseo si stanno per sposare e... beh, voi sareste il mio regalo di matrimonio... è sulla vostra canzone che hanno ballato insieme per la prima volta e vorrei ch-».

Il suono della sua voce venne interrotto da un bip che segnò la fine del messaggio.

Schiacciai sulla notifica ancora, ansioso di sentire di nuovo il suono della sua voce. Non ne potevo fare a meno. Era come se, ascoltandolo, potessi raggiungerlo in qualunque angolo del mondo si fosse nascosto.

Ascoltai il messaggio una terza, poi una quarta e una quinta volta, finché nella mia mente non ci fu altro che la sua voce.

Ancora prima che facessi partire il messaggio una sesta volta, sapevo cosa volevo fare: volevo rivederlo.

Volevo constatare quanto fosse cambiato, se le sue sopracciglia fossero folte come ricordavo o se le sue labbra fossero morbide come quella volta che le avevo assaggiate. Volevo osservare la sua pelle diafana alla luce della luna e compararla alla mia, segnata da cicatrici, tatuaggi e lentiggini.

Volevo fare tutte quelle cose, e altro ancora.

Non importava se avessi dovuto pregare Perry in ginocchio.

Lo avrei fatto volentieri.

Buonasera🌼
Non è mia abitudine scrivere note a fine capitolo, ma per l'inizio di questa nuova storia mi permetto di fare un'eccezione.
Vorrei ringraziare voi che avete scelto di iniziare con me questa nuova avventura, spero di avervi con me ancora per molto.
Ora vi saluto,
Arya
P.s. Da poco ho aperto sia un account Instagram (aryamillswattpad) e sia uno su Tiktok (arya.mills). Se volete rimanere aggiornati sull'andamento della storia, seguitemi anche qui.

How to love Phoenix Kant [Trilogia How To #2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora