5) Il potere

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Il matrimonio.
Ho sempre visto il matrimonio come qualcosa di bellissimo, qualcosa a cui aspirare fin da piccoli e qualcosa di talmente sacro ed intimo da creare una bolla di illusione, che ti fa credere di passare il resto della propria vita a fianco della persona che ritieni giusta per te.
Cosa c'è di meglio, infatti, che legarsi a qualcuno che ritieni essere l'amore della tua vita?
Cosa c'è di meglio che sperare di invecchiare insieme, sapendo benissimo, invece, che con quella persona accanto, si resterà per sempre bambini?

Un fine anello oro..una promessa per la vita e la speranza di arrivare fino infondo, ecco cosa rappresenta il matrimonio.
Il mio, invece, più che un anello, è una catena.
Una di quelle pesanti, grosse e che ti toglie ogni singola speranza di fuga.
Qualcosa di costretto, di soffocante, in grado di stritolarti l'anima fino a farla morire.
Ed è esattamente così che io mi senta, morta. Come se tutta la mia linfa vitale fosse stata strappata dal mio corpo, lasciando solo desolazione ed un profondo senso di vuoto e tristezza.

È questo quello che mi attenderà per il resto della mia esistenza? Uno sguardo schifosamente malizioso, mani troppo vecchie che mi toccano ed assoluta desolazione in solitudine? È questo ciò che io mi meriti? Ciò che la grande ed invincibile mafia sia in grado di offrirmi?
Come si fa ad essere così profondamente devoti a qualcosa che ti toglie tutto?
Come fanno, gli uomini, a giurare assoluta fedeltà ed ammirazione a qualcosa che preserva alle donne più importanti della loro vita tutto ciò?
Con quale coraggio, mio padre, l'uomo che dovrebbe proteggermi da tutto e da tutti, ha accettato questo?
Come fa a guardarmi in volto, sapendo di avermi procurato questa atroce sofferenza?

Il mio cuore non riesce a smettere di martellare alla velocità della luce ed io abbasso lo sguardo sul mio piatto ancora intatto.
Non ho toccato cibo, ho lo stomaco serrato.
Il mio futuro marito si versa un calice di vino e ridacchia ad una squallida battuta da parte di uno degli uomini seduti al tavolo con noi.
Mia mamma mi guarda con espressione preoccupata ed addenta un pezzo della carne che ci è stata servita.
-Mangia.- mi intima mio padre, poggiandomi una mano sul ginocchio.
Ingoio a vuoto e gli faccio un piccolo cenno di diniego col viso. -Non ho fame.- mi giustifico, ringraziando la cameriera che mi porta via il piatto.
-Le va una fetta di dolce?- mi chiede lei, ritornando con dell'acqua fresca.
-No, grazie.-
-Sì, invece. Devi mangiare qualcosa.- continua lui, attirando l'attenzione di tutti i presenti.

-Non hai mangiato nulla?- chiede, a quel punto, Trevor, che sembra essersi accorto solo ora del mio digiuno.
-Non ho appetito.- ripeto infastidita. Cavolo, sarà il mio sposo e non si accorge nemmeno delle cose più basilari.
Lui alza le spalle e riprende a parlare con il suo interlocutore, girandosi dall'altra parte e tornando a darmi la schiena.
Sento mio padre sospirare, ma non dice una parola mentre attendiamo che mi sia servita la fetta di dolce.
Fisso la porzione di torta con occhi lucidi e prego di non scoppiare a piangere per l'ennesima volta nel giro della giornata. Odio sentirmi così debole, non è affatto da me.

Domani mi sposo.
Questi giorni sono volati e più speravo che si fermasse il tempo e più questo correva veloce e senza freni.
Non voglio.
Eppure, in questo mondo, nel mio mondo, a nessuno frega niente.
Scatto in piedi e mi dirigo verso la porta, generando uno sbuffo infastidito da parte di Trevor.
-Dove vai?- tuona arrabbiato.
-In bagno, vuoi venire con me?- ribatto velenosa, fulminandolo con un'occhiataccia.
-Tranquilla, dolcezza, avremmo tutto il tempo del mondo per fare quello.- ribatte malizioso, facendo alzare un coro di risa da parte di quasi tutti i presenti.

Mamma impallidisce e papà sbatte il pugno sul tavolo. -Non mi sembra né il luogo né il momento giusto per discutere di questo.- dice, guardandolo male.
-E nemmeno la persona giusta.- aggiungo io, rabbrividendo dal disgusto.
Lui ci liquida con un gesto della mano e riprende la conversazione, lasciandomi uscire dalla stanza.
Mi chiudo nel bagno della mia camera e mi appoggio con i palmi al lavabo, respirando profondamente.
Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Il mio corpo inizia a tremare e chiudo gli occhi, cercando di calmarmi.
Sento la porta aprirsi e sospiro sconfitta. -Mamma, ti prego, vorrei stare da sola.-
Lei non mi risponde e si avvicina ulteriormente, appoggiandomi una mano sul fianco.
Sussulto, questa non è mia madre.
Spalanco gli occhi ed incrocio le pupille cattive di Trevor, che mi blocca contro il mobiletto del lavandino.

Uniti dal destino (Mafia romance)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora