Avevo mille pensieri in testa, talmente molesti e incasinati che rischiai di finire in mezzo alla strada un paio di volte. Non era colpa mia, allora perché mi sentivo così colpevole? Quando arrivai a scuola, per fortuna tutto intero, andai da Miriam, la mia ragazza dai tempi delle medie, con cui andavo nella stessa classe dalle elementari. La trovai in compagnia di Jimmy, che come al solito era alle prese con uno dei suoi numerosi cubi di Rubik. -Buongiorno amore, 'giorno Jim- Lui fece un segno con la testa, mentre Miriam mi catturò in uno dei suoi abbracci per poi darmi un leggero bacio sulle labbra. Le sorrisi, felice che almeno quella costante della mia vita fosse rimasta la stessa. Non nominai l'accaduto, infondo non gli raccontavo mai davvero come stavo o cosa mi succedeva, proprio come loro non lo raccontavano a me. Erano fratelli e mai come in quel momento li invidiavo, sapendo di potermi considerare figlio unico. Parlammo di scuola, di calcio con Jim, e Miriam mi chiese per la trecentesima volta di accompagnarla al centro commerciale per, a detta sua, del sano shopping, ovviamente pagato da me. Accettai solo perché avevo bisogno di distrarmi e per la prima volta trovai più divertente l'idea di un pomeriggio passato in un camerino che quella di stare a casa a rimuginare. La lezione iniziò e la conversazione finì, l'ennesima conversazione banale e senza significato. Trovavo confortante la banalità della mia vita: se qualcosa era sempre uguale non poteva deludermi, giusto? La mia classe era formata da ventisette alunni, ventisette adolescenti con le stesse pare degli altri, ventisette adolescenti convinti che la propria vita fosse la peggiore, ventisette idioti tutti simili fra loro. Mi divertivo ad osservarli perché faticavo a distinguerli, quindi trovare i piccoli dettagli che li differenziano mi semplificava un po' il travestimento; potevo fingere di essere come loro molto più facilmente. Come da rituale li contai uno ad uno: venticinque. Uno giustamente ero io, ma chi mancava? Il professore non fece l'appello, come da routine, quindi mi rimase il dubbio. Dubbio che si dissipò quando Vincent entrò in classe, con 23 minuti di ritardo. Il sudore sulla fronte, i capelli scompigliati e il fiatone suggerivano che avesse corso. Il professore lo squadrò, annoiato e per niente sorpreso. -Signor Gregory, dormito bene? - Lui diventò rosso, ancora affaticato. A testa bassa si avviò verso il suo banco, borbottando delle imprecazioni. Sorrisi quando, dopo che il professore ebbe ripreso la lezione, Vincent si girò verso un suo amico, imitando l'espressione del prof. Si sentì la risata soffocata dell'amico poi come al solito tornò il silenzio. Vincent: soggetto interessante e degno di osservazione. L'aspetto era lo stesso di altre centinaia di ragazzi, ma allo stesso tempo si distingueva facilmente. Forse per il suo criticabile senso dell'umorismo o per il modo che aveva di prendere in giro le persone, ferendole al punto giusto senza darlo a vedere. Ragazzo interessate, ma troppo lontano dalle mie solite frequentazioni per poterci avere a che fare. Lui frequentava gente non troppo tranquilla e si diceva in giro che fumasse erba come hobby, cosa fin troppo credibile. Secondo me non era un cattivo ragazzo, come me si annoiava e aveva trovato il modo di distrarsi, un modo completamente diverso dal mio ma sicuramente più efficace. La lezione durò poco, o forse troppo. Non avevo voglia di ascoltare ma dovevo mantenere la parte da studente modello, quindi mi costrinsi a seguire, prendendo i giusti appunti. La campanella suonò e la mandria di pecore che erano i miei compagni si catapultò fuori dall'aula, evidentemente emozionati di spostarsi da un'aula chiusa ad un giardinetto ancora più chiuso e vomitevole. Io mi presi il mio tempo, sapendo che nessuno mi avrebbe aspettato. Chiusi il quaderno, infilai la penna nell'astucci e richiusi tutto nello zaino, lentamente. L'aula era vuota, ad eccezione del professore che stava smanettando sul computer, e di Vincent che dormiva beatamente. Mi chiesi se fosse il caso di svegliarlo; niente mi obbligava ma ero pur sempre un rispettabile studente modello, quindi perché non avrei dovuto farlo? Però non ne avevo alcuna voglia, quindi presi lo zaino e mi diressi fuori dall'aula. Purtroppo il mio fantastico professore mi fermò, chiedendomi gentilmente di svegliare il bello addormentato, insistendo di sgridarlo. Dopo aver fatto la battuta meno divertente sulla faccia della terra, se la svignò, compiaciuto di sé stesso e delle sue doti comunicative eccellenti. Un po' annoiato mollai lo zaino davanti alla porta e mi diressi al suo banco, situato precisamente davanti alla cattedra. Lui ronfava come se stesse facendo il pisolino più rilassante della sua inutile vita: sembrava così rilassato, come se stesse dormendo su un comodo letto e non su un banco duro e freddo. Nell'arco dei 4 anni passati in quella scuola mi ero preso la briga di osservare tutti i miei compagni nei minimi dettagli, in un'occasione o in un'altra. Mi ero segnato i difetti dei loro visi, le caratteristiche che li differenziavano e ogni dettaglio che potesse tornarmi utile ma, ora che ci pensavo, non avevo mai avuto l'opportunità (se così la si può chiamare) di guardare Vincent. Mi accucciai sulle ginocchia, per poterlo osservare meglio. Labbra sottili, naso all'insu, ciglia folte come quelle di una ragazza. I capelli che credevo fossero castani, illuminati dalla luce tendevano al rosso, ordinati nel loro disordine naturale. Non mi ricordavo il colore dei suoi occhi, ma per quello avrei dovuto aspettare ancora un po'.Era vestito più complessamente di quel che avevo visto a prima occhiata. Jeans grigio scuro, contornati da una catenella decorativa che gli passava da una tasca all'altra, passando da dietro. La trovai una celta originale, ma di cattivo gusto. La parte superiore era coperta dalla sua giacca, che Vincent stava usando come coperta. L'orologio sul muro indicava le 10:07, cioè tre minuti alla fine dell'intervallo. Mi presi qualche altro secondo per osservarlo e notai qualcosa dietro l'orecchio, forse un taglio? Mi avvicinai un altro po'per poter vedere meglio, ma lui aprì gli occhi di colpo. Rimase fermo, le pupille rimpicciolite a contatto con la luce. Pupille circondate da iridi castano chiaro che facevano sicuramente invidia al 90% degli esseri umani. -Molto inquietante- borbottò lui, stiracchiandosi. Indietreggiai di qualche passo, un pelo a disagio per essere stato beccato. Mi ricomposi, usando l'espressione più indifferente che avevo. -Mi è stato detto di svegliarti- Lo guardavo dall'alto, il mio sguardo che vagava sui vestiti che non ero riuscito a vedere prima. Felpa nera aperta che dava sulla maglietta bianca, ben infilata nei pantaloni. Aveva una catenina sul collo, coperta in parte dal colletto della felpa. Il ciondolo era probabilmente nascosto dietro la maglia. Lui mugugno e, dopo aver sbadigliato, tornò a guardarmi. -Allora grazie... mhm com'è che ti chiami? - Non ero sicuramente conosciuto in tutta la scuola ma eravamo pur sempre compagni di classe avevo la mia popolarità almeno in classe, infatti qualcosa mi diceva che sapeva esattamente chi ero. -Nico-Lui inarcò le sopracciglia e iniziò a raccogliere le sue cose -Allora grazie Nico. La prossima volta però stai un po' più a distanza- Mi lanciò un'occhiata piena di sottintesi prima di continuare -capisco che sono attraente, ma ho preso un infarto- Il disagio aumentò e mi diressi verso la porta, senza aspettare che lui si fosse sistemato. -Non sono frocio- mi difesi cercando di mantenere la voce ferma. Lui rise e mi raggiunse, con la giacca in vita e un sorriso pieno di malizia -Tu no, ma non per questo sei al sicuro- Mi osservava e sembrava divertito, eppure avevo l'impressione che non stesse scherzando e che per lui dire una cosa del genere fosse normale. Lo fissai di rimando, probabilmente con la faccia più schifata di cui ero capace e mi allontanai, senza salutarlo. I froci mi perseguitavano. La campanella suonò la fine dell'intervallo e io non avevo mangiato niente. Ero agitato, affamato e infastidito dalla confidenza con cui mi si era rivolto.
_Finalmente abbiamo presentato le due star. Ci tengo a dire che il personaggio di Nico ha dietro un sacco di lavoro e che non vuole essere il classico ragazzino stupido, anche se all'inizio lo può sembrare. Alla fine sono come i miei due bambini, ci tengo che abbiano una personalità come si deve. Detto questo grazie di essere arrivati fin qui_
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My Dear God
RomanceVincent è un ragazzo strano, lo sanno tutti. Nico è un ragazzo strano ma nessuno lo saprà mai. Nico odia i gay. Vincent no, direi di no. Nico ama odiare tutti. Vincent vorrebbe odiare di meno e amare di più. Vincent ansima il suo nome. Nico gli dice...