You Deserved It

125 6 2
                                    

Alla fine non avevo resistito alla tentazione di tornare a nascondermi in casa. Quel martedì stesso sarei dovuto partire per la gita, nonostante avessi provato svariate volte a convincere mia madre a lasciarmi a casa, ricevendo occhiate sempre più sospette. In più era saltato fuori che ero al limite delle assenze possibili, quindi quel lunedì avrei rivisto Vincent. Il problema non era lui, ma che mi vergognavo da morire. Ero stato davvero ingiusto e più scappavo dalle mie responsabilità, più peggioravo la situazione. Vincent aveva smesso di cercarmi e lo capivo, ma mi ostinavo a controllare il cellulare ogni volta che ne avevo l'occasione. Alla fine mi ritrovavo sempre a fissare i messaggi che mi aveva mandato, talmente intensamente che li avevo imparati a memoria. Quando lunedì arrivo dovetti mettermi il cuore in pace e affrontare le mie paure. Mi svegliai presto ma rimasi immobile sotto le coperte, a sperare nell'intervento di qualche divinità. Sapevo di dover andare: evitare Vincent non era una soluzione e presto non ci sarei più riuscito. Contai fino a dieci e mi alzai. Il tragitto mi sembrò lunghissimo, forse perché mi trascinavo per strada alla minima velocità fissando il cemento sotto di me come se ne valesse della mia stessa vita. Ne stavo facendo una tragedia e ne ero consapevole, ma non potevo farne a meno. Entrai a scuola in ritardo, eppure mi fermai lo stesso davanti alla porta, esitando. Erano le 8:12 e la lezione era sicuramente iniziata. Bussai col cuore in gola e attesi. Quando entrai nessuno mi prestò attenzione: arrivare tardi era un'abitudine che possedevamo tutti in classe, rendendola una consuetudine all'ordine del giorno. Prof a parte, nessuno era interessato alla mia entrata ad effetto, o almeno mi sarebbe piaciuto. Vincent si era girato di scatto, quasi mi stesse aspettando. Se pensavo di averlo fatto arrabbiare mi sbagliavo di grosso: era incazzato. Credevo di averlo già visto alterato ma mi ricredetti. Mi seguii con lo sguardo finché il prof non riprese la lezione. Rivederlo ebbe su di me un incredibile effetto rigenerante, come se avessi finalmente ripreso a respirare. L'ultima volta che lo avevo visto era ad un centimetro da me e non speravo altro che mi baciasse di nuovo e in quel momento nonostante lo avessi deluso, i miei desideri coincidevano. Eravamo un cazzo di cliché: io che scappavo e lui che mi rincorreva. Una parte di me avrebbe preferito che le cose fra noi fossero rimaste com'erano, l'altra invece bramava la sua vicinanza ed era stanca del tira e molla che si era creato. Il prof stava parlando della partenza, spiegando le regole e la loro importanza. Avremo passato tre giorni a Strasburgo e un pomeriggio a Parigi. L'unica consapevolezza che mi confortava era che avremo visitato il Louvre. Avevo già esplorato tutti i monumenti storici della mia città e avevo passato chissà quanti pomeriggi a fissare gli affreschi del museo cittadino. Andare al Louvre era uno dei pochi sogni che mi portavo da quando ero piccolo, e se tutto fosse andato secondo i piani fra pochi giorni ci sarei stato. Aspettavo quella gita da tempo, ma in quel momento l'idea di essere bloccato tre giorni in Francia a distanza ravvicinata da Vincent mi faceva girare la testa. La tentazione di farmi spostare in stanza con lui era insopportabile. Avrei strinto i denti e avrei condiviso la stanza con Jim, soffrendo in silenzio. Guardando Vincent però ci ripensai, probabilmente non sarei uscito vivo neanche da quella giornata. L'intervallo stava per iniziare e avevo poco tempo per decidere come agire. Dovevo scusarmi, e su questo non c'erano dubbi, ma poi? Non avevo intenzione di scappare di nuovo da lui, ma neanche approfondire il nostro rapporto più di quanto non avessimo già fatto. Avevo fatto pace con il cervello e avevo capito cosa provavo per lui ma questo non voleva dire che mi sarei buttato fra le sue braccia. Se si aspettava di vivere una felice e romantica relazione con me aveva preso un granchio e anche bello grosso. La campanella suonò ma io rimasi immobile. Quello che non mi aspettavo era che mi avrebbe ignorato a sua volta. Si alzò tranquillamente e prese sotto braccio un nostro compagno, senza degnarmi di uno sguardo. Uscirono dalla classe ridendo, lasciandomi con l'amaro in bocca. Ero rimasto solo e non avevo concluso niente. Eppure sapevo che aveva tutte le ragioni per comportarsi così, lui aveva fatto fin troppi passi in avanti, mentre io ero immobile nella mia posizione. La vocina nella mia testa continuava ad insistere dicendomi che andava tutto bene, che dovevo lasciare tutto esattamente com'era e lasciarmi la storia con Vincent alle spalle. Tornai a casa con un nodo doloroso nel petto. Lo avevo deluso, deludendomi a mia volta. Mentre preparavo i bagagli non riuscivo a smettere di pensare allo sguardo vuoto che aveva uscendo dalla classe, senza avermi rivolto neanche una singola occhiata. Mi ricordai vagamente di come mi guardava in classe, prima che succedesse tutto quel casino, con quel sorrisetto compiaciuto che mi faceva girare la testa. Ammesse le mie colpe però, anche io ero arrabbiato. Per me era una situazione difficile e completamente nuova eppure Vincent non aveva avuto alcuna pietà nei miei confronti. Mi sedetti sul letto, fissando il borsone al mio fianco. Mi mancava saperlo dalla mia parte. Tanto per cambiare quella notte sognai di fare un incidente, garantendomi l'ansia per tutta la mattinata seguente. Arrivai nel punto di raccolta in anticipo per tentare di prendere un bel posto. Il viaggio lo avremmo fatto in autobus: dodici ore di fastidio puro. Nonostante i diciotto anni compiuti quasi da tutti, in un viaggio del genere si sarebbe scatenata tutta l'infantilità di cui erano capaci. Il trucco era mettersi nei posti di mezzo: abbastanza avanti da non essere incluso nella loro confusione ma abbastanza indietro da non rischiare di essere considerato uno sfigato. Vincent invece aveva il posto garantito infondo, infatti il primo ad incitare gli altri a fare casino era proprio lui. Appena ci permisero di salire sul bus, mi ignorò completamente ed io feci lo stesso. Per un attimo temetti che fosse troppo tardi per davvero e che ormai il nostro rapporto fosse irrecuperabile. Presi un posto accanto al finestrino e mi accasciai sul sedile. I ragazzi dietro di me iniziarono a mettersi d'accordo su chi dovesse accendere la cassa. Distinsi facilmente la voce di Vincent dalle altre e mi concentrai su di essa, senza curarmi di cosa stesse effettivamente dicendo. Chiusi gli occhi, in attesa della partenza. Speravo di riuscire a stare da solo e di dormire un po', ma il destino non era dalla mia parte in quel periodo. Un ragazzo dai capelli rossi e le lentiggini si fermò accanto a me -Posso? – Chiese sorridente. Gli avrei volentieri detto di no ma non avrebbe giovato al mio status sociale, già sotto i piedi. Annuii, titubante. Il ragazzo mise il suo zaino nel porta bagagli e si sedette. Pregai che fosse un tipo timido o come minimo silenzioso, invece si rivolse a me all'istante, porgendomi la mano -Felice di essere il tuo compagno di viaggio, sono Kevin- Forzai un sorriso e gliela strinsi, cercando di essere convincente -Nico- Si sistemò, stiracchiandosi. Quando l'autobus fu pieno e i prof ebbero fatto l'appello, partimmo. Mi aspettavano parecchie ore di viaggio e già mi stava venendo mal di testa. Tirai fuori gli auricolari e me ne infilai uno. Anche solo prima di pensare di far partire la musica, Kevin mi interpellò -Di che classe sei? – Per un attimo mi domandai quale parte della mia faccia lo incoraggiasse a parlarmi – 4F- risposi soltanto, tornando a concentrarmi su Spotify. -Ah sì, dovresti essere in classe con Angela, giusto? – Annuii, sperando che capisse i segnali e la smettesse di parlare. Invece ripartì in quarta -Io sono in 4A, primo piano- Annuii di nuovo, parecchio scocciato. Si fece silenzioso per un secondo, e sperai davvero che avesse capito. Invece, dopo un secondo di meditazione, mi indicò -Ma tu non sei l'ex di Miriam? – Imprecai mentalmente. Perché dovevano capitare tutte a me? -In carne ed ossa, la conosci? – Rinunciai alla mia pace e mi sfilai l'auricolare, infilandomelo in tasca. Questo sembrò incoraggiare Kevin, che mi regalò un caloroso sorriso -Solo di vista, ma le voci su di te sono parecchio insistenti- Una terribile sensazione si fece largo nel mio stomaco -Che voci? – Chiesi allamato – Miriam è convinta che tu l'abbia mollata perché sei gay- Mi andò di traverso la saliva. Tossii, cercando di eliminare quell'ultima frase dal mio cervello -Non è vero, l'ho mollata perché era noiosa- Lui alzò le spalle -Non lo metto in dubbio, questo è solo quello che mi ha detto lei- Scossi la testa -Beh la tua amica spara cazzate perché non le va giù che l'ho piantata- Lui rise -Probabilmente hai ragione, comunque non volevo offenderti- -Non mi hai offeso, semplicemente non è vero, non sono gay- Proprio in quel momento i ragazzi dietro di noi accesero la musica. Musica davvero orribile che mi avrebbe ucciso se non l'avessi soffocata con qualcosa di migliore. -Se non ti dispiace sono un po' stanco, mi riposo un po'- Kevin annuì -Non preoccuparti, abbiamo dodici ore per conoscerci meglio- Lo maledissi mentalmente mentre mi rimettevo gli auricolari. Almeno avevo un margine di qualche ora per ignorarlo. Feci partire una playlist a caso e mi ostinai a chiudere gli occhi.

_Scusate il ritardo ma con la scuola e tutto è molto difficile mantenere un ritmo. Spero comunque che la storia vi stia piacendo e in caso vi invito a lasciare una stellina_

My Dear GodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora