Mezzora dopo eravamo nella piazzetta in centro, in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Venni distratto da un gruppo numeroso di ragazzi che si erano seduti poco lontano da noi e fra loro riconobbi un paio di nostre compagne di classe: Victoria e Bryanna. Le due ci raggiunsero con un gran sorriso e gli occhi inconfondibilmente arrossati: non era difficile immaginare cosa stessero facendo. Miriam le ignorò completamente e Jim si limitò a fare un cenno di saluto con la testa. Le due fecero finta che i miei accompagnatori non esistessero e si rivolsero a me -Nicoo, come stai? – Bryanna fu la prima ad aggredirmi con una confidenza che non avevamo. Victoria mi fissò per qualche secondo, come persa nel suo mondo e quando tornò fra noi mi fece un gran sorriso, tirandosi indietro i capelli. -Vieni con noi? Ti facciamo conoscere qualche nostro amico- Nonostante non avessi nessuna intenzione di mettermi a fumare erba o qualunque cosa avessero preso quelle due, mi stavo davvero annoiando e la mia ragazza non sembrava avere nulla da dire, anzi mi sembrava completamente indifferente. Mi resi conto di avere un bisogno incredibile di nuovi amici e probabilmente di una nuova ragazza. -Perché no? Fatemi strada- Quando vidi che non c'era nessun tipo di riluttanza da parte degli altri due, permisi a Bryanna di prendermi per il braccio. Mi condussero dal loro gruppetto: tutte persone con cui normalmente non avrei mai avuto a che fare. Erano in cinque, escluse loro due. -Bry che ci hai portato? Sembra uscito da un convento- Scherzò uno di loro squadrandomi da capo a piedi. Sorrisi forzatamente, cercando di ignorare il commento. Mi presentai al gruppo, strinsi mani e battei pugni, prendendo come battuta ogni commento sul mio modo di vestire, cioè una semplice camicia e un paio di jeans. Di tutte le facce conosciute quel pomeriggio, in futuro mi ricordai solo di Meredith, una ragazza abbastanza tranquilla, e Grayson, un po' meno tranquillo ma abbastanza simpatico. Tutti gli altri erano copie di loro stessi: sacchi di carne che ridevano ogni tanto e commentavano solo per non sentirsi esclusi. Ovviamente fumavano tutti come delle ciminiere, ma finché non provavano a passarmi qualcosa non mi interessava. Riuscii addirittura a divertirmi un po', cioè valeva a dire che non fissavo il vuoto come facevo con Miriam e Jim. Tornai a casa abbastanza soddisfatto, a serata inoltrata. Ringraziai il cielo quando notai che i miei non erano in casa: chissà cosa si sarebbero messi in testa se avessero sentito l'odore di fumo. Buttai i miei vestiti in lavatrice, dopo averci spruzzato sopra chili di deodorante, e mi misi sotto la doccia. L'acqua era calda, quasi bollente, e mi bruciava la pelle. Il dolore che mi provocò mi fece dimenticare la situazione per un istante. L'odore di fumo sparì, insieme all'ansia per mia sorella e alle mie forze, ormai ridotte allo stremo. Appena finii di asciugarmi i capelli mi buttai a letto e mi addormentai, più per sfinimento che per stanchezza. Il giorno dopo, essendo domenica, mi riposai fino a tardi, cercando di recuperare il sonno che avevo perso la notte prima. Una volta in piedi, chiamai Miriam: non mi aveva cercato e io non avevo cercato lei, e ritenni opportuno porre fine a quella farsa assolutamente inutile e più che fastidiosa. La mollai senza troppi giri di parole e lei reagì esattamente come mi aspettavo: qualche lacrima, qualche supplica e qualche insulto. Adesso aveva qualcosa di interessante da raccontare alle sue amiche. Mi annoiavo e avevo bisogno di fare qualcosa di rassicurante, quindi andai in chiesa, sperando che la preghiera mi avrebbe tolto qualche peso. Sentivo come se avessi qualcosa da confessare, ma non mi veniva in mente niente di razionale. Non potevo scusarmi per l'omosessualità di mia sorella ma potevo pregare per lei e sperare che almeno il Signore l'avrebbe aiutata. Pregai per un po ', trovandolo più difficile del solito. Sapevo che molti dei miei coetanei pensavano che pregare fosse solo recitare qualche Padre Nostro, ma per me era una cosa molto più privata, intima. Avevo delle vere e proprie conversazione con Dio e ritenevo che lui le avesse con me, anche se non lo faceva apertamente. Non mi ero mai chiesto se fosse una cosa sana, mi limitavo a dare per scontato che lo fosse. Per la prima volta pregare non mi era stato di nessun aiuto, infatti uscii dalla chiesa turbato più di prima dopo essermi fatto domande sempre più intricate che mi avevano fatto tornare il cattivo umore. Uscendo passai dal centro, sicuro di trovare qualche gruppetto: speravo in qualcosa da fare e magari qualcuno di interessante. Ed effettivamente qualcuno c'era: Meredith stava chiacchierando con alcuni ragazzi che non riuscivo a distinguere da lontano. Mi avvicinai cautamente, senza voler interrompere nessuna conversazione ma, quando riconobbi uno dei due ragazzi, l'impulso di girarmi e tornare a casa fu potentissimo e l'avrei assecondato volentieri se Vincent non mi avesse visto e non mi avesse salutato a gran voce. -Ei Principessa, ti unisci a noi? - Non ero stato abbastanza veloce. -Non sei simpatico- Risposi, freddo, acido, nel modo più antipatico di cui fossi capace. Lui sorrise e mi indicò il suo amico -Nico, lui è Fred, Fred, lui è Nico- Gli strinsi la mano senza prestargli troppa attenzione. -Conosci già Meredith? - Chiese cordialmente. Io annui e le lanciai un sorriso, che lei ricambiò. La conversazione saltò fuori dal nulla e non mi meravigliai di quale fosse l'argomento. -Ho saputo che hai mollato la tua ragazza- Meredith o aveva orecchie ovunque o la notizia aveva già fatto il giro della scuola. Scossi la testa e risi – A quante persone l'ha già detto dandomi dello stronzo? - Lei finse di pensarci su -Forse è meglio che non te lo dica- Ridacchiò e io mi ritrovai ad imitarla. Parlammo per un po', seduti sulle panchine del centro. Parlai principalmente con il ragazzo che mi aveva presentato Vincent, ignorando completamente quest'ultimo. Mi vidi costretto ad interagirci quando Meredith e Fred si andarono a fumare una sigaretta, lontani da me per mia richiesta: non avevo voglia di dover dare spiegazione ai miei. L'idea di mio padre che sentiva odore di erba su di me era peggiore che quella di dover scambiare qualche parola con Vincent. Lui era vestito come suo solito, jeans larghi e le solite catenelle a decorarlo. Mi venne in mente il segno che gli avevo visto la prima volta dietro l'orecchio, che mi incuriosiva forse più del dovuto: mi dava fastidio che non fossi riuscito a capire di cosa si trattasse dato che era sempre nascosto dai capelli, non troppo lunghi ma abbastanza da coprirlo. E così, contro ogni logica, iniziai la conversazione nel modo più freddo e indifferente possibile -Che hai dietro l'orecchio? – Lui sembrò confuso per un attimo e si scostò i capelli, quel tanto che bastava a mostrare il piccolo tatuaggio nascosto. -Questo? - Io annuii, sporgendomi per vedere di cosa si trattasse. Lui girò la testa e si rimise i capelli a posto, in modo da non farmelo vedere. -Se fai così sarò costretto a credere che nascondi qualcosa- Dissi inarcando un sopracciglio -Il mio sesto senso mi dice che è il nome di una droga- Lui scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Il suono della sua risata mi mise stranamente di buon umore. -È una cosa privata, non ne parlo con gli sconosciuti- Disse riprendendo il modo in cui lo avevo definito in classe. Alzai gli occhi al cielo e mi appoggiai allo schienale della panchina, lanciando un'occhiata a Fred e Meredith che chiacchieravano lontano da noi tra un tiro di sigaretta e l'altro. -Va bene allora, se parliamo un po' possiamo passare da sconosciuti a conoscenti- Vincent sembrò pensarci su un momento ma annuì quasi subito -Dimmi qualcosa di te- Disse girando la testa verso di me. Non capivo perché ci tenesse tanto dato che gli avevo rivolto la parola si e no un paio di volte in quattro anni, ma cercai comunque qualcosa da dirgli. Ci pensai su con forse troppa attenzione, cercando qualcosa che non rivelasse troppo della mia vita oggettivamente noiosa -Credo che mi piaccia disegnare- Lui inarcò un sopracciglio -Credi? Ti piace o no? – Sbuffai -Non mi ci sono mai messo davvero, mi limito a scarabocchiare in classe perché lo trovo rilassante- Vincent sembrò soddisfatto e mi regalò uno dei suoi sorrisi stendi-galline, che ovviamente su di me non ebbe alcun effetto. Aspettai che dicesse qualcosa, ma si limitò a fissarmi con un'espressione compiaciuta che non capivo -Credo sia il tuo turno- Cedetti infine quando il silenzio stava iniziando ad essere pesante -Suono il pianoforte- Si limitò a rispondere senza aggiungere altro. Lo guardai male, chiedendomi a che gioco stesse giocando -Tutto qui? Un po' poco per conoscerci- Lui ridacchiò -Allora sei davvero interessato a conoscermi!- Esclamò quasi sorpreso. Risi, senza capire cosa lo sorprendesse tanto -Ascolta, sono testardo per natura e finché non mi dici cos'hai sul collo non mi scollo da questa panchina, se vuoi interpretarlo come un tentativo di fare amicizia fai pure, ma ti stai sbagliando- Lo sguardo di Vincent si accese e lui sorrise ancora di più. Mi resi conto troppo tardi che avevo a che fare con uno che amava le sfide. -Otterremo entrambi quello che vogliamo- Rispose accavallando le gambe -Suono il pianoforte da quasi dieci anni ormai. Mia madre mi regalò una tastiera giocattolo quando avevo sette anni e da quel momento mi sono rifiutato di fare qualcos'altro- Prese il telefono e mi mostrò una foto che ritraeva un bambino, probabilmente lui, e una giovane donna. Il bimbo stava ridendo, con in braccio una tastierina tutta colorata. Anche la donna rideva, mostrando tutta la sua felicità. -Lei è tua madre? È molto bella- Osservai studiando la foto con attenzione, trovandomi a sorridere. Quando alzai lo sguardo notai che anche Vincent la stava guardando, ma il suo sorriso si era spento. -Lo era davvero- Disse rimettendo il cellulare in tasca. Aveva parlato di sua madre al passato, ma mi sembrava troppo indelicato chiedere spiegazioni dato che, come mi ero premurato a sottolineare, eravamo quasi estranei. -Suoni per i fatti tuoi o ti esibisci da qualche parte? – Non mi piaceva vederlo così abbattuto e, senza farmi domande sulle mie intenzioni, cercai inconsciamente di fargli tornare quel luccichio negli occhi. -Ho preso lezioni per qualche anno e poi ho iniziato a studiare per conto mio. Non mi sono mai esibito davanti a qualcuno al di fuori della mia famiglia- Rispose riprendendo un po' di animo. Annuii, soddisfatto -E tu? Non credo che ti piaccia solo quasi-disegnare- Sorrisi e scossi la testa -Oltre quello... ogni tanto faccio una rapina qua e là, ma non so se si può definire un hobby- Avevo appena fatto una battuta e io stesso mi sorpresi: non mi ricordavo l'ultima volta che avevo cercato di far ridere qualcuno senza un reale motivo. Vincent sgranò gli occhi e scoppiò a ridere, credo più perché non se lo aspettava che per vero divertimento -Ma allora non sai solo essere scontroso, credevo che per sentirti fare una battuta avrei dovuto aspettare almeno il diploma- Distolsi lo sguardo e strinsi le labbra, imbarazzato. Nemmeno io sapevo il motivo della mia improvvisata -Non sono completamente un pezzo di merda, è solo che di solito con gli sconosciuti tendo ad essere più riservato- Il luccichio nel suo sguardo si accentuò -Quindi non sono più uno sconosciuto- Rimasi in silenzio, senza sapere cosa ribattere. A salvarmi furono Fred e Meredith, che finalmente avevano finito la loro sigaretta. Mi domandai se fosse passato davvero così tanto o se fosse solo una mia impressione. -Non vi siete ancora picchiati? – chiese Meredith sedendosi accanto a me -Ma no, io e Nico andiamo molto d'accordo, non è vero? – Mi chiese Vincent senza rendersi conto che avevo molta voglia di prenderlo a schiaffi, o forse proprio per quello. -Qualcosa del genere- Borbottai distogliendo lo sguardo. Fred si intromise e iniziammo a chiacchierare di argomenti random che mi tennero occupato ancora per un po'. Il mio sguardo però continuava a scivolare su Vincent, che rideva frequentemente e continuava a muoversi sulla panchina. Sembrava che non riuscisse a stare fermo nemmeno un momento, come un bambino iperattivo. In uno dei momenti che mi ritagliai per studiarlo, girò la testa e incrociò il mio sguardo. Non disse nulla ma sorrise timidamente, per poi distogliere lo sguardo per primo. D'istinto controllai l'ora e mi alzai di scatto, rendendomi conto di quanto fosse tardi. Era passato mezzogiorno da un po' e mi aspettavano per pranzo. -Scusatemi, sono in ritardo- Dissi stupendomi di quanto fossi davvero dispiaciuto. Meredith mi salutò con un sorriso e lo stesso fece Fred. Vincent invece si limitò a guardarmi in modo strano -Ci vediamo in classe- Mi disse salutandomi con la mano. Annuii e me ne andai velocemente. Improvvisamente la paranoia di aver fatto troppo tardi mi investì. Mio padre odiava quando facevo tardi. Una volta girato l'angolo mi misi a correre e quando arrivai a casa mi ritrovai accaldato e cosparso di sudore. Quando mi richiusi la porta alle spalle, temevo di trovare mio padre ad aspettarmi, con le braccia incrociate e lo sguardo carico di collera. Invece non c'era nessuno. Nemmeno in cucina o in salotto: la casa era vuota. Mi diressi in camera mia e mi chiusi dentro, per poi accasciarmi contro la porta chiusa, ancora col fiatone per la corsa. Mi sentivo come se dovessi nascondere qualcosa o che dovessi nascondermi da qualcosa, eppure non ce n'era motivo. Quando mi calmai, tentai di mettere in ordine cronologico gli eventi della giornata. Ripercorsi il dialogo con Vincent, rendendomi conto a malincuore di essermi divertito sul serio. Avevamo avuto una chiacchierata semplice, ma stranamente degna della mia attenzione, cosa che non succedeva da davvero molto. Non incrociai mio padre o mia madre per tutto il giorno quindi giravo per casa come uno zombie, annoiato e con una grande voglia di uscire di nuovo. Non avevo sinceramente idea del perché uscire mi sembrasse così tanto una buona idea. In realtà avevo un sospetto, ma era così assurdo che mi imposi di non pensarci nemmeno. Dopo un po' mi scoraggiai e mi buttai a letto. Non sapevo che ore fossero ma non mi interessava, tanto non avrebbe fatto alcuna differenza. Mi ritrovai a riflettere su me stesso, su come stessi vivendo: non avevo amici che mi soddisfacessero intellettualmente o moralmente, non avevo più una ragazza e non avevo più una sorella. Se una conversazione con uno come Vincent era la cosa più interessante della giornata, voleva dire che ero davvero messo male. Però mi ritrovai comunque a rifletterci ancora. La memoria mi faceva brutti scherzi, riproponendomi più volte il modo in cui mi sorrideva quando gli altri non lo guardavano: quel sorriso timido che non gli avevo mai visto se non in quella occasione. Il mio cervello iniziò a farsi domande su domande a cui io non sapevo rispondere e su cui non avevo alcuna voglia di indagare. Mi arresi alla noia e allo sconforto e mi addormentai, sperando che almeno i sogni mi avrebbero dato il conforto che cercavo.
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My Dear God
RomanceVincent è un ragazzo strano, lo sanno tutti. Nico è un ragazzo strano ma nessuno lo saprà mai. Nico odia i gay. Vincent no, direi di no. Nico ama odiare tutti. Vincent vorrebbe odiare di meno e amare di più. Vincent ansima il suo nome. Nico gli dice...