Alone Against The World

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Era passata una settimana, eppure non riuscivo a togliermi quel momento dalla testa. Mi ero dato malato, accusando un fortissimo mal di testa, e avevo saltato scuola tutta la settimana. Non sapevo se Vincent avesse provato a contattarmi, infatti avevo categoricamente spento il telefono appena rimesso piede in casa. Ero rimasto a letto tutto il tempo, non osando contattare nessuno o tantomeno uscire. Ci eravamo baciati ed era assurdo. No, io lo avevo baciato. Un minimo contatto aveva dato il via alla crisi esistenziale più grossa che avessi mai avuto. Potevo mentire a Vincent, a Fred o a Linda, ma non a me stesso. Non avevo scuse. Tornato a casa quella sera avevo pianto. Sotto la doccia ero crollato, e di nuovo la mattina dopo, dove il ricordo sembrava sempre più vivido e reale. Avrei preferito esser stato ubriaco, mi sarei risparmiato tutti i sensi di colpa e i rimpianti. Invece ero lucido quella sera, abbastanza da abbandonarmi ai desideri che avevo accuratamente ignorato. Feci un sacco di ricerche, cercando qualcosa a cui aggrapparmi. Ma il web era pieno di video di coming out o siti di accoglienza per ragazzi queer, facendomi passare la voglia. Non ero uno di loro, proprio no. Quindi cos'ero? Affondai la testa nel cuscino. Non ne avevo idea. Avevo un disperato bisogno di sfogarmi con qualcuno e che mi dicessero cosa mi fosse successo quella sera. Prima o poi sarei dovuto tornare a scuola, e questo comportava che l'avrei rivisto ma non ero pronto ad un confronto di questo genere. Parlare con Vincent avrebbe comportato ammettere al 100% le mie azioni e non volevo farlo, non prima di aver trovato una scusa abbastanza credibile da convincere perfino me stesso. Durante uno dei miei crolli emotivi notturni, ebbi una grande rivelazione, talmente scontata da risultare ridicola. Vincent mi piaceva da morire, anche se era un maschio, anche se questo distruggeva tutte le mie certezze. E mi vergognavo da morire. Anche se lo avessi accettato non sarei mai stato in grado di guardare in faccia mia sorella o mio padre. Diana mi avrebbe perdonato, anche la mamma avrebbe capito, ma papà? Lui mi avrebbe buttato fuori di casa. Quella domenica pensai di andare a messa. Ci pensai e basta, infatti non avevo abbastanza coraggio di affrontare le conseguenze davanti alla fede. Sognai spesso l'inferno e Vincent, che mi prendeva per mano portandomi verso di esso, sorridendomi. Tutte le volte io lo seguivo senza fare domande, per poi svegliarmi di soprassalto col fiatone e zuppo di sudore. Sarei davvero finito all'inferno? Si, e ne ero terrorizzato. Papà lo diceva sempre: chi non sa apprezzare il fascino della procreazione e non porta avanti ciò per cui Dio ci ha creati, finirà all'inferno. Senza eccezioni. Avevo letto la Bibbia, sapevo tutto ciò che c'era da sapere. In un momento di disperazione andai ad informarmi su qualche incontro di purificazione alla quale volevo che Diana partecipasse. Dopo un'attenta analisi, decisi di fare un tentativo io stesso. Forse potevo ancora salvarmi. Quella domenica pomeriggio uscii con la scusa di andare in chiesa, e mi diressi ad uno di questi incontri. Si teneva in un pesino poco lontano dalla mia città e lo raggiunsi in meno di mezzora prendendo l'autobus. La chiesa era piccola ma ben curata, ed era allestita per l'evento. Arrivai in anticipo per prepararmi psicologicamente. Mi ero rifiutato di accendere il telefono fino a quel momento. Uscire di casa però mi aveva restituito un minimo di lucidità, e mi resi conto di quanto fossi codardo. Mi appoggiai ad un lampione e, con un gran sospiro, afferrai il telefono. Non mi ero mai reso conto di quanto fosse lenta la sua accensione. Le notifiche di sei giorni di assenza comparvero senza pietà. In quei giorni mi ero chiesto spesso cosa stesse facendo Vincent e cosa ne pensasse. Una parte di me sperava che se ne fosse pentito proprio come me n'ero pentito io, ma sapevo che non poteva essere così. Avevo studiato l'espressione che aveva prima e dopo il fattaccio, non era difficile capire che lo avrebbe rifatto volentieri. Infatti la maggiori parte dei messaggi erano suoi. Mi ritrovai a tremare mentre li leggevo uno ad uno. Il primo risaliva alla sera stessa.

V- Stai bene?

V- Forse dovremmo parlarne

Era preoccupato per me e io l'avevo totalmente ignorato, senza pensare neanche una volta a come potesse sentirsi lui in tutta quella situazione. I messaggi seguenti erano sempre più disperati.

My Dear GodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora