Però, frocio o no, non era davvero colpa sua. Sapevo benissimo, anche se non avevo le palle per ammetterlo, che la sera prima ero stato l'esempio del perfetto coglione. A che cosa stavo pensando esattamente quando ho accettato l'invito a quella maledetta festa? Ma anche li, il problema non era la festa, ma il motivo per il quale ci ero andato, che ancora non mi era chiaro. Oltrepassata la porta di casa, il gelo mi colpì in pieno volto. A giudicare dal forte odore di fumo, papà era a casa, e con lui tutte le mie insicurezze. Dopo la notte della festa non avevo ancora avuto l'occasione di averci a che fare, e di questo ero più che sollevato. Peccato che quel pomeriggio sembrava che lo scontro fosse assicurato. Prima mi muovermi dall'entrata, d'istinto mi sfiorai il livido che pulsava sullo stomaco, facendomi stringere i denti. Camera mia era precisamente accanto alla cucina, rendendomi obbligatorio il passaggio davanti a lui. In punta di piedi, tentai in ogni modo di scampare l'inevitabile, ma non fui abbastanza abile. -Nico- Disse appena mi vide. Era seduto a capotavola, con il sigaro in bocca e un bicchiere di birra mezzo vuoto di fronte. -Figlio, siediti- Mi lanciò un'occhiata fredda, che mi fece gelare il sangue, non lasciandomi possibilità di replica. Mi sedetti al lato opposto, evitando il suo sguardo. -Non hai coperto il livido sull'occhio- mi fece notare con un ghigno appena accennato – Se ti vedevo con qualche merda in faccia da femmina te lo facevo rimpiangere- Tenni lo sguardo fisso sul tavolo, senza osare un movimento. -Ma sembrerebbe che l'unico finocchio di famiglia non sia tu. Ti conviene- Il disprezzo nella sua voce si riferiva sicuramente a Diana, che ormai non si faceva vedere da giorni. Nonostante la ragione mi dicesse che non era un mio problema, io ero seriamente in pensiero per lei, convinto che andasse solo aiutata in qualche modo, e non abbandonata alla sua omosessualità idealizzata. Dopo un altro paio di minacce velate, mi ordinò di prendergli un'altra birra dal frigo, per poi congedarmi con un gesto. Tornai a respirare solo nel momento in cui mi richiusi la porta alle spalle, accasciandomi contro di essa. La mente mi riportò alle parole di Diana, l'ultima volta in cui l'ho vista. Ricordavo troppo nel dettaglio la voce rotta e lo sguardo assente, mentre mi accusava di essere influenzato da mio padre. Ricordavo anche il modo in cui ho subito pensato che fosse impazzita, ma in quel momento, sfiorando il livido sull'occhio, non mi sembrava così tanto assurdo. Da quando era sparita, la mia vita stava andando completamente in fumo, e non riuscivo a capacitarmene. Mi resi conto che ero passato dall'essere interamente padrone della mia vita, a non averne più un briciolo di controllo. Era la rinomata adolescenza? O in me c'era qualcosa che non andava? Dopo un respiro profondo mi decisi ad alzarmi. Tirati fuori il telefono dalla tasca, e senza pensarci troppo composi il numero di Diana. Ovviamente squillò a vuoto per qualche secondo, prima che scattasse la segreteria telefonica. Imprecai e provai di nuovo, ottenendo lo stesso risultato. Feci mente locale, chiedendomi chi potesse sapere dove si trovasse sua sorella, e un nome fece capolino fra i miei ricordi. Non mi ricordavo in che occasione, ma per ragioni di sicurezza una volta mia sorella mi aveva dato il numero della sua migliore amica, con cui Diana aveva sempre passato un sacco di tempo. Composi il numero e attesi. Uno, due, tre. Al quarto squillo una vocina metallizzata arrivo dal telefono. -Pronto? - Riflettei velocemente su cosa dirgli per rimanere il più distaccato possibile. Dopo pochi secondi però mandai tutto al diavolo, ero seriamente preoccupato e le apparenze per una volta potevano passare in secondo piano. -Sai dov'è mia sorella? - Domandai, sorprendendomi nel sentire la mia voce, stridula e soffocata -Nico?- Sbuffai, impaziente -Si, sono io. Hai notizie di Diana? - Sentii il telefono strusciare su del tessuto, probabilmente una coperta, segno che si stava spostando. Attesi con il fiato sospeso, in attesa di qualche risposta. La sentii parlare con qualcuno, ma non riuscivo a distinguere di chi si trattasse. Qualche secondo dopo la voce stanca di mia sorella mi investii di sollievo. -Nico cosa vuoi? - Rimasi immobile, fissando i secondi che scorrevano sul timer della chiamata -Io... Stai bene?- Lei sospirò profondamente -Che ti importa?- -Niente è solo che... Dove sei?- -Dalla mia ragazza- Un brivido mi attraversò da parte a parte. Cercai qualcosa da dire, ma la gola mi si era seccata. -Perché mi hai chiamata? Avete cambiato idea? - Abbassai lo sguardo e mi sentii in un certo senso colpevole, nonostante sapevo che la colpa, di chiunque fosse, non era di certo mia. -No, volevo solo sapere se hai trovato un posto dove stare- Diana rimase in silenzio per alcuni secondi e il disagio iniziò a farsi sempre più pesante -Sono in un posto dove mi accettano, ti basta sapere questo, ora se non ti dispiace- Prima che fece in tempo ad interrompere la chiamata la fermai, di colpo allarmato all'idea che potesse sparire di nuovo -Aspetta- Lei sospirò rumorosamente ma non riattaccò -Cosa?- -Possiamo vederci? Giuro che non proverò a farti tornare a casa- Si sentì una risatina strozzata -Okay ma stai sereno che a casa non mi vogliono- Non avevo nulla da ribattere quindi non dissi nulla – Ti ricordi il parco dove mi portavi quando eravamo piccoli? Quello vicino alla chiesa- Ovviamente me lo ricordavo, visto che era l'unico posto dove potevo portare mia sorella per sfuggire dall'ira di nostro padre quando eravamo solo dei bambini. -Okay, ci vediamo li fra 20 minuti- Appena il telefono mi si spense fra le mani, cercai di mettere in ordine i miei pensieri. Volevo vedere mia sorella, ma per dirle cosa? Che la rivolevo a casa? Avrebbe sicuramente rifiutato, contando che mio padre non la voleva neanche, in casa nostra. Volevo scusarmi? Si, anche se mi veniva parecchio complicato capire per che cosa. Allora cosa avrei dovuto fare? Ci avrei pensato strada facendo. Mi infilai i vestiti che avevo a scuola e, senza dire a nessuno dove stavo andando, sgattaiolai fuori dalla porta di casa. Il tragitto lo conoscevo a memoria, quindi la mente fece strada a tutte le mie preoccupazioni. Senza rendermene conto avevo aumentato il passo, e pochi minuti dopo ero già in piazza. Mancavano circa 5 minuti, e sicuramente non era uno di quelli appuntamenti a cui puoi tranquillamente ritardare. Passare in mezzo alla piazza era una pessima idea, lo sapevo, ma era inevitabile. Ho sperato che in un martedì pomeriggio i miei cari coetanei si fossero trovati qualcosa di diverso da fare invece di stare a fumare sotto il sole, ma come al solito erano speranze riposte nelle persone sbagliate. Però se passavo abbastanza velocemente sarei riuscito ad evitare lo scontro. La piazza era abbastanza vuota quel pomeriggio, c'erano solo un paio di gruppetti ai lati opposti dello spiazzo, ma uno di questi, lo riconobbi al volo, era formato da alcuni ragazzi della sera prima. Riconobbi, seppur da lontano, Linda, seduta con la testa appoggiata alla spalla di un ragazzo, Grayson mi pare. Avrei dovuto parlare con Linda prima o poi, ma quello non era il momento adatto. Mandai al diavolo le mie strategie per non farmi notare e mi misi a correre, vista la velocità con la quale quei 20 minuti stavano passando. Qualcuno si girò nella mia direzione, ma una volta superato quel maledetto punto non importava. Rallentai solo quando raggiunsi la chiesa. Mi resi conto solo in quel momento di quanto fosse ridicolo come posto d'incontro, ma ormai ero arrivato. Mi passai una mano fra i capelli e cercai di lisciarmi i vestiti, non volevo certo che si capisse la fretta con cui mi ero fiondato fuori. Lei era seduta su un'altalena e non era sola. Al suo fianco torreggiava la sua migliore amica, che appena mi vide diede un colpetto a Linda. Quando si girò verso di me aveva lo sguardo vuoto, vitreo. Non si mossero di un millimetro, lasciarono a me l'obbligo di dovermi avvicinare. Puntai alla panchina che avevano davanti e senza alzare lo sguardo mi ci sedetti. Presi aria e guardai mia sorella, che già mi fissava. Aveva dei vestiti diversi da quelli che portava di solito, vestiti che, guardando la sua amica non potevano che essere suoi. -Ti ricordi di Chatrine? - Annuii, spostando lo sguardo su di lei. Era robusta, con lunghi capelli biondi che le ricadevano in modo disordinato sulle spalle. Aveva grandi occhi scuri, che la facevano sembrare più piccola della sua effettiva età, ma l'espressione era distante, mi guardava con diffidenza e un pizzico di ostilità. -Cosa volevi dirmi? - Chiese Diana riportando la mia attenzione su di lei. La verità? Non ne avevo la minima idea, penso che volessi solo essere certo che stesse bene. Lanciai un'occhiata a Chatrine -Non potremmo parlare da soli? – Le ero grato che si stesse prendendo cura di mia sorella ma in quel momento avevo bisogno di un po' di privacy – Non ne abbiamo bisogno, tutto quello che devi dire a me puoi dirlo anche a lei- Prese Diana sulla difensiva -È che sono faccende di famiglia e- Non mi lasciò finire la frase e mi rispose con voce autoritaria, che non le avevo mai sentito -Lei è la mia famiglia, lei resta- Mi bloccai e d'istinto tornai a guardare Chatrine, che ricambiò sorridendo, la sfida nello sguardo. Mi domandai per un secondo cosa volesse dire, per poi darmi del coglione. Era ovvio, lei era la sua "ragazza". Dopo qualche istante di esitazione, fu Chatrine a parlare -Non è un problema, vi lascio parlare- Si alzò dall'altalena, per poi girarsi verso di me -Ma sono a portata di mano se hai bisogno, Diana- Dopo avermi incenerito con lo sguardo si allontanò, lasciandoci la privacy di cui avevo bisogno. Tornai a concentrarmi su Diana, che era il fantasma di sé stessa. Vestiti diversi, aria diversa, espressione diversa. Cercai di mantenere la calma, volevo cercare di capire senza dare di matto. -Ok quindi... - Iniziai, ma lei mi fermò subito -Avrei voluto fartela conoscere in modo più sereno- Si fissò le dita -Ma conoscendoti non potevo presentarmi da sola- Confuso, cercai la definizione alle sue parole. Notando la mia incertezza lei proseguì -Tu non ne saresti capace, ma se papà fosse stato a conoscenza della mia posizione non so cosa sarebbe successo se mi fossi presentata da sola- Sapevo perfettamente a cosa si riferiva, il ricordo di quella notte era una ferita aperta che aveva segnato entrambi, e non sarebbe guarita tanto facilmente. -Che mi piaccia o no sei mia sorella, non avrei mai osato- Avevo la voce rotta, come se non avessi parlato per ore. Lei scosse la testa e mi guardò -Però mi odi anche tu, giusto? – La vergogna di essere stato complice di mio padre mi investii, ed improvvisamente lo sguardo di Diana divenne troppo pesante da sopportare. Non risposi, mi limitai a fissarmi i piedi, come se avessi trovato in loro la soluzione a tutti i miei problemi -Immaginavo- Sussurrò lei. Improvvisamente mi sentii sporco, crudele -Sai che non avrei mai fatto niente di simile se fossi stato in nostro padre, io sono ancora convinto che si possa ancora fare qualcosa a riguardo- Lei scoppiò in una risata tirata, trasudando nervosismo. Si alzò anche lei dall'altalena -Non so cosa sia peggio, un padre che mi vuole morta o un fratello che mi vuole aggiustare- Fece qualche passo nella direzione che aveva preso Chatrine, ma poi si voltò -Perché ci odi così tanto? – E questo mi fece male, perché neanche io avevo davvero capito il vero motivo. Alzai lo sguardo con la decisione di chi sa quello che sta per dire, ma prima di aprire bocca mi bloccai "Perché?" Mi hanno sempre fatto schifo, ma non c'è mai stato un motivo. Mi sentivo scoperto, come se fossi vulnerabile. -È così e basta, fattene una ragione- Se Diana era già vuota, ora non era più nulla, un fantasma che fingeva di essere una ragazza. Le si riempirono gli occhi di lacrime, che lentamente iniziarono a scorrere sulle sue guance. Mi sentii malato, sporco, un mostro. Solo qualche mese prima avrei ridotto in cenere chiunque avesse fatto piangere la mia preziosa sorellina, ma adesso, che era colpa mia? Diana si ricompose, asciugandosi gli occhi, e provò ancora -Dacci una possibilità, vado a chiamare Chatrine e te la faccio conoscere sul serio- Sgranai gli occhi e la afferrai per un polso quando ricominciò a camminare -NO, aspetta- Lei si fermò e, guardandola dritta negli occhi, distrussi la sua ultima scintilla di speranza. -Non ho intenzione di conoscere chi ti ha ridotta così- Con uno strattone si liberò dalla mia presa, ricominciando a piangere. Temevo in un attacco di pianto o qualcosa di simile, ma quando la tristezza venne sostituita dalla rabbia indietreggiai. -Siete stati voi a ridurmi così! Lei mi ha salvata piuttosto! – Si tirò su la maglia, fermandosi quando lo stomaco fu del tutto visibile. Sbiancai alla vista di quell'orrore. Aveva lividi quasi neri su tutta la pancia, che nonostante fossero passati alcuni giorni erano ancora più che visibili. Dopo essersi assicurata che avessi visto tutto, si tirò su una manica, rivelando un taglio profondo, non del tutto rimarginato, che passava dal polso fino a metà avambraccio. Le afferrai il braccio, facendola sussultare. Cercò di tirarsi indietro ma la trattenni. Guardai il taglio, e capii al volo di che cosa si trattasse, infatti la mattina dopo avevo trovato cocci di vetro per il salotto, che una volta tornato a casa da scuola erano spariti. Il taglio non era profondo, ma dopo giorni non era ancora rimarginato, e aveva l'aria di poter sanguinare da un momento all'altro. Improvvisamente l'odio per quello che era passò in secondo piano. Quando parlai fui il primo a notare il cambiamento del tono di voce -Sei andata in ospedale? – Diana, rossa in volto e lo sguardo addolorato, scosse la testa. Mi staccai da lei, e mi passai una mano sulla faccia, respirando lentamente. Lei non si mosse. -Aiutami tu, ti prego- Sussurrai guardando al cielo. Tornai a concentrarmi su Diana, che mi fissava senza capire le mie intenzioni. La presi per il braccio sano e cercai di farmi seguire, ma lei si scostò, allarmata -Cosa vuoi fare? – Chiese con l'accusa nella voce -Ti porto in pronto soccorso, hai bisogno che un vero medico ti controlli quel taglio, o farà infezione- -No- rispose lei puntando i piedi per terra. Persi il controllo per un secondo, facendola indietreggiare -Diana cazzo, in questo caso i nostri problemi passano in secondo piano, sei ferita e hai bisogno di aiuto! – La sua espressione tramutò in odio puro -Quando mi stava facendo questo, non hai mosso un dito- Sussurrò. La vergogna tornò ad incombere, ma in questo caso c'era la sua salute in conto, quindi mi feci coraggio e non esitai. -Vieni con me, non lo dirò a nessuno- Diana rimase immobile, assorta in mille ragionamenti che non mi era permesso conoscere. Si sfilò il telefono dalla tasca e digitò qualcosa, poi annuii, seppur esitando. Con sollievo mi diressi a grandi passi verso l'uscita del parco. Quando passammo davanti alla chiesa mi venne un enorme dubbio. Come potevamo arrivare all'ospedale, che si trovava dall'altra parte della città? Diana mi raggiunse, senza capire la mia improvvisa titubanza. Mi venne in mente la soluzione, che mi disgustava ma che era l'unica a nostra disposizione. -Chatrine ha la patente? – Domandai. Lei scosse la testa. Mi premetti due dita sulla fronte, massaggiandola. Ragionai e ragionai, ma era tutto un vicolo cieco. Io non avevo né patente né macchina, infatti i miei me l'avrebbero concessa solo alla fine delle superiori. Ovviamente chiedere aiuto a mio padre o mia madre era fuori questione. Jimmy aveva la patente, ma non potevo chiedergli una cosa del genere pretendendo che tenesse la bocca chiusa. Un nome mi balenò in testa. Prima di prenderlo in considerazione esaminai tutte le opzioni, anche quelle più assurde, ma sembrava l'unica accessibile. Afferrai con frustrazione in cellulare, ed entrai su Instagram. Cercai il suo nome, sperando di trovarlo subito. Lo trovai, stupendomi di trovare il suo profilo pubblico. Diana al mio fianco era immobile, senza capire le mie intenzioni. Ingoiai il groppo che avevo in gola e inviai un messaggio, sperando di essere preso in considerazione.
N-Sono Nico, avrei bisogno di un favore molto urgente.
Attesi, fissando il messaggio come se ne valesse della mia stessa vita. Diana non stava di certo morendo, ma la ferita sul braccio mi metteva molta ansia. Dopo un minuto al massimo il messaggio venne visualizzato.
V-Di cosa si tratta?
Ringraziai il cielo e mi sbrigai a rispondere
N-Ho bisogno di un passaggio.
Sapevo che ce l'aveva ancora con me per quella mattina, e non lo biasimavo, speravo però nella sua buona fede. Mentre aspettavo una risposta il telefono iniziò a vibrare, e comparve la chiamata di cui avevo bisogno. La accettai, e la sua voce mi riempii, per la prima volta, di sollievo – Dove sei?– Dai rumori che si sentivano di sottofondo capii che si stava muovendo, e un tintinnio di chiavi mi chiarì dove fosse diretto. Sorrisi anche se non poteva vedermi -Siamo davanti alla chiesa, quella vicino alla piazza, grazie Vinc- Lui ignorò i miei ringraziamenti -Tu e chi? - Domandò invece -Sono con mia sorella, dopo ti spiego- Iniziai a camminare avanti indietro, sperando che si desse una mossa -Sto arrivando. Comunque da quando mi chiami Vinc? – Lo ignorai-Ti aspettiamo qui- e chiusi la chiamata. Diana mi fissava senza dire una parola, quando dietro di noi spuntò Chatrine, col fiatone. Mia sorella le sorrise, anche se stanca e giù di morale -Cosa ci fai qui? -Domandai infastidito – Diana mi ha detto che la stai portando all'ospedale, e fin qui mista bene, ma col cazzo che ci va da sola con te- Feci per ribattere, ma sapevo che non ne sarei stato capace, e capivo il suo ragionamento. -Piuttosto, cosa stiamo aspettando? – Chiese rivolgendosi a mia sorella, che in risposta le si avvicinò e le si appoggiò contro. Distolsi velocemente lo sguardo e tornai a guardare la strada. Quando il conato di nausea sparì, le risposi -Un mio amico ci viene a prendere e ci porta la- Diana si girò verso di me -Jim? – Chiese noncurante. Improvvisamente mi resi conto che da quando era andata via di casa non aveva idea di cosa stesse succedendo nella mia vita. Visti gli ultimi avvenimenti pensai che forse era meglio così. -No, con lui e con Miriam ho chiuso- Lei sembrò sorpresa -Meglio così, Miriam non mi piaceva- Tornai a guardare dritto davanti a me, borbottando un -Neanche a me- Vincent arrivò qualche minuto dopo, quando il silenzio stava diventando troppo pesante da gestire. Mi sorpresi nel vederlo arrivare, nella sua Chevrolet nero opaco. Quando ci vide, sembrava sorpreso, in effetti eravamo uno in più di quanto avevo detto. Quando si fermò e abbassò il finestrino, mi ignorò completamente, rivolgendosi a qualcuno dietro di me -Chatrine che ci fai qui? – Sgranai gli occhi, incredulo.-Vinc oddio, sei tu l'amico di 'sto qui? – Diana e io rimanemmo a fissare lamini conversazione, io incredulo e lei confusa. Dopo un altro paio di battute Vincent si rivolse a me, nel modo più sbagliato possibile -Dai principessa, salite- Con una mano si sporse verso la portiera del passeggiero e l'aprì per me. Allarmato mi girai verso Diana che mi fissava ancora più sconvolta. -Ti ho detto di non chiamarmi così- sbraitai mentre mi affrettavo a salire.
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My Dear God
RomanceVincent è un ragazzo strano, lo sanno tutti. Nico è un ragazzo strano ma nessuno lo saprà mai. Nico odia i gay. Vincent no, direi di no. Nico ama odiare tutti. Vincent vorrebbe odiare di meno e amare di più. Vincent ansima il suo nome. Nico gli dice...