Obviously It's Not His Fault You're So Embarrassed

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La seguii poco dopo. Una volta che fummo tutti in macchina, Vincent si girò verso di me -Vi riporto a casa tua? – Domandò con innocenza. Ovviamente non era a conoscenza dei nostri problemi nonostante fosse sempre più vicino a scoprirli. La sensazione di disagio mi ricordò che stavo permettendo a Vincent di intromettersi fin troppo, in affari che non solo non lo riguardavano, ma che potevano mettere in cattiva luce tutta la famiglia. -Ehm no, Diana sta da Chatrine- Lo vidi lanciare un'occhiata alle ragazze dallo specchietto, inarcando le sopracciglia. Voleva chiedere, glielo si leggeva negli occhi, ma non disse nulla e annuì -Chatrine mi servono delle indicazioni-Disse soltanto. Lei iniziò a descrivere vie e strade, ponendo fine a quella scomoda conversazione mai iniziata. Il sole aveva iniziato a calare, i lampioni si accesero. Erano passate quasi 3 ore da quando ero uscito di casa, i miei si stavano sicuramente facendo qualche domanda. Come a leggermi nel pensiero, il telefono iniziò a vibrarmi dalla tasca. Lo afferrai lentamente, come se ne avessi paura. Era la mamma. Automaticamente mi girai verso Diana, che già mi stava fissando. Senza dire niente risposi, almeno non era papà. -Pronto? - -Nico sta facendo buio, dove sei? – Ovviamente non potevo dirgli la verità, ma a mentire non ero mai stato molto bravo, quindi decisi di dire un altro tipo di verità -Sto tornando, una mia amica si è fatta male e l'abbiamo portata al pronto soccorso- La sentii sospirare – Cerca di tornare a casa presto, tuo padre è convinto che tu stia cercando di nuovo di fare qualche cavolata- D'istinto mi girai verso Vincent, che era ferreamente concentrato sulla strada. Mia madre si stava riferendo sicuramente alla festa -No mamma, niente del genere- Non sapevo il motivo, ma mi sentii sollevato che Vincent non stesse sentendo la telefonata. -Nico senti... - Prese un lungo respiro -Cosa c'è? – -Non dirlo a tuo padre che te lo sto chiedendo ma... hai notizie di tua sorella? – L'ultima frase la sussurrò, come se fosse un segreto pericoloso. Riflettei attentamente alle parole da usare. -Aspetta un secondo- Senza aspettare una risposta misi il muto e mi allontanai il telefono dall'orecchio -Diana, mamma chiede di te- La osservai, alla ricerca di una conferma. Lei aprì leggermente la bocca, sorpresa -Vuole solo sapere che stai bene, papà non è con lei- Lei abbassò la testa e Chatrine le prese la mano. Questo, non so come, le diede forza -Passamela- Disse soltanto. Tolsi  il muto e le passai il telefono. -Ciao mamma- Sussurrò. Cercai di capire cosa diceva nostra madre  dall'altro capo del telefono, ma ero troppo lontano. Mi guardai intorno, mentre ascoltavo le poche sillabe di Diana. -Sto bene- -Certo che ho dove stare- -Lo so che non è colpa tua, calmati- Dal repentino cambio del tono di voce, immaginai le reazioni di mamma. Probabilmente stava piangendo in silenzio, borbottando qualche scusa. -Ti voglio bene anche io- Mi ripassò il telefono con violenza, nascondendosi il viso. Il mio primo istinto era quello di chiedergli come stava, di confortarla, ma non potevo. Per questo però c'era Chatrine, che la attirò a se, permettendole di nascondersi fra le sue braccia, smorzando i singhiozzi. Mi resi conto che non aveva chiuso la chiamata. -Mamma-la chiamai, ma dall'altra parte si sentivano solo i suoi singhiozzi mal trattenuti -Mamma va tutto bene, lei sta bene- -L'hai portata al pronto soccorso? – Chiese improvvisamente vigile -Si, le hanno fasciato un braccio, per il resto non era ferita- Lei cercò di calmarsi, respirando. Ad un certo punto sentii una porta aprirsi e una voce profonda, sicuramente quella di papà. Mamma si ricompose all'istante, come se pochi secondi prima non stesse piangendo disperatamente. Scambiarono due parole e la porta si richiuse -Nico ora devo andare, torna appena puoi- Feci per riattaccare, ma mi fermò -Aspetta-Attesi, in silenzio -Grazie- Disse. Riattaccò subito dopo. Rimasi immobile, il telefono accostato all'orecchio. Sentii gli occhi pizzicare, non avevo la forza di affrontare tutto quel disastro. Mi ricomposi nel momento in cui incrociai lo sguardo preoccupato di Vincent dallo specchietto. Chissà quanto aveva sentito e quanto era riuscito a capire. Rimisi il telefono in tasca. La macchina rallentò quando Chatrine annunciò di essere arrivata a destinazione. Dopo un breve saluto di Vincent uscì subito dall'auto, al contrario di Diana, che rimase ferma qualche secondo prima di girarsi verso di me -Dacci una possibilità, per favore Nico- Aprì la portiera e si rivolse a Vincent, che aspettava pazientemente -Grazie del passaggio, Vincent giusto?-Chiese accennando un sorriso -Nessun problema, buona serata- Le sorrise Vincent. Osservai le due allontanarsi, mano nella mano. Quando furono sparite tornai a concentrarmi sul ragazzo al mio fianco, che non aveva smesso di fissarmi un secondo -Cosa c'è? - Gli domandai, infastidito -Dovresti dirmelo tu- Scossi la testa e mi girai verso il finestrino -Per favore portami a casa Vinc- Forse a causa della mia voce rotta, o forse per la mia espressione, ma non fece altre domande. Senza aggiungere altro mise in moto. Ormai era completamente calato il sole e la luna torreggiava su di noi. Non riuscivo a smettere di pensare a che giornata assurda avevo appena trascorso, una delle più stancanti da mesi. -Per quanto riguarda questa mattina...- Iniziai quando mi ritornò in mente. Lui inclinò leggermente la testa, senza distogliere lo sguardo dalla strada -Mi sono comportato da stupido e non dovevo prendermela, con te soprattutto- Feci una pausa e lui fece per rispondermi, ma lo interruppi -Ma cerca di metterti nei miei panni Vinc, non mi sono di certo divertito- Lo osservai attentamente, stupendomi quando la sua espressione si indurì -So che non intendevi nulla di quello che hai detto, ma cristo Nico, ti rendi conto in che posizione di merda mi hai messo? Come se ti avessi costretto a venire con noi- Si fermò, la bocca aperta come se stesse per aggiungere qualcosa. Sembrò ripensarci, ma dopo qualche altro secondo di riluttanza continuò, abbassando la voce -Come se fossi stato io a metterti le mani addosso- Distolsi immediatamente lo sguardo, rivolgendolo ovunque tranne che su di lui. Lo sapevo bene che non era colpa sua, meglio di chiunque altro, ma che cosa avrei dovuto fare? -Non so perché sono venuto con voi- Ero sincero, non ne avevo idea. Passammo affianco alla piazza, ormai vuota. Notai un senza tetto sdraiato su alcuni cartoni e non potei fare a meno di seguirlo con lo sguardo mentre lo superavamo -Perché sei intervenuto? –Chiesi senza pensarci. Lui non rispose, rimase immobile a fissare la strada. Stavo per riporgli la stessa domanda quando si girò, inchiodandomi con lo sguardo-Perché non avrei dovuto? – Non c'era traccia di esitazione o di sarcasmo, solo...Lui. Fui il primo ad interrompere quel contatto, troppo stanco per sopportare altro -Probabilmente me lo sono meritato- Lo dissi talmente tanto a bassa voce che mi domandai se mi avesse sentito. Non che mi interessasse davvero, stavo solo riflettendo ad alta voce. Lui rallentò quando scorsi casa mia. Nessuno parlò finché non ci fermammo del tutto. Quando girò la chiave e il motore si spense, sospirò. Si passò una mano sui capelli, tirandoli indietro. Mi sorpresi a fissarlo di nuovo. Se ne accorse e mi guardò a sua volta. Non mi mossi. -Puoi venire con me la prossima volta- Aveva la voce roca e stanca, come se non avesse parlato per ore. La cintura mi stringeva, facendo pressione sulla spalla, quindi la slacciai. -Andare dove? – Si sporse leggermente verso di me -Tra qualche giorno c'è un'altra festa, magari puoi venire con me- Improvvisamente la macchina mi sembrava troppo stretta e calda, come se si fosse acceso il riscaldamento. Vedendo che non rispondevo, continuò -Ovviamente non permetterò che succeda come l'ultima volta, a patto che tu ti prepari come si deve – Nessuno dei due aveva smesso di fissare l'altro, la situazione era sempre più pesante. Il respiro era più veloce di poco prima, le sue spalle si muovevano in modo ritmico. Deglutì, facendomi spostare l'attenzione al suo collo, il pomo d'Adamo ben visibile. Tornai a guardarlo negli occhi, anche lui mi studiava con attenzione, nessuno aveva più proferito parola. Quando tornai a guardarlo negli occhi una strana sensazione mi si fece largo nello stomaco. Avevo caldo e un bisogno incredibile di allontanarmi da lì, da lui. Abbassai lo sguardo, portandolo alle mie mani -Forse dovrei rientrare- sussurrai. Non osai girarmi di nuovo, non avrei retto un altro confronto. -Hai ragione, si sta facendo tardi- Annuì e aprii la portiera, senza muovermi. Gli lanciai un'ultima occhiata e misi un piede fuori dalla macchina. Prima che potessi scendere del tutto Vincent mi afferrò per un braccio, bloccandomi. -Aspetta- Mi risedetti, confuso. Lui frugò nelle tasche e tirò fuori il suo telefono. Non potei fare a meno di notare che gli tremavano le mani. -In caso ti servano altri passaggi- disse porgendomelo. Tentai di nascondere un sorriso mentre salvavo il mio numero. Gli ripassai il telefono-Grazie Vincent- Non sapevo cosa fare per fargli capire quanto fossi davvero grato del suo aiuto, quindi mi limitai a sorridere di nuovo, sperando di esprimere quello che non sapevo dire. Mi salutò con un cenno mentre chiudevo la portiera. Mi girai e mi avvicinai alla porta di casa, dietro di me lui riaccese la macchina, per poi andarsene. Rimasi fermo davanti alla porta per diverso tempo, cercando di riprendere fiato. Mi portai le mani sul collo e sulla faccia, trovandoli bollenti. Mi accasciai a terra, appoggiandomi alla porta con la schiena. Ero distrutto e confuso. Lo sguardo magnetico di Vincent mi era rimasto impresso e non riuscivo a togliermelo dalla testa. 

My Dear GodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora