48 "Si dimentica ciò che ci fa male"

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Nonostante il buio si stesse cibando di ogni cosa inghiottendo ogni minimo spiraglio di luce. Gavril, non poteva darsi pace, era tempo di agire.

- Jacob. – chiamò. – tu non vieni?

Il collega guardò Eddie e Ramona per poi corrergli dietro. Era chiaro che il dolore stesse accrescendo la sua rabbia. Lo si poteva leggere in quegli occhi azzurri accerchiati dalla stanchezza.

Dopo aver abbandonato l'ospedale, i due polizotti si diressero in centrale. Prima di entrare però, Gavril si recò sul retro dell'edificio proprio dove era avvenuto l'incidente. Jacob lo lasciò fare dandogli qualche minuto. Gavril restò immobile a fissare la careggiata segnata dall'incidente. Mettendo un piede davanti all'altro, raggiunse la strada. Il cemento era ancora sporco di sangue in alcuni punti nonostante si fossero premurati a ripulire il tutto. Lui era così attento e la sua vista così aguzza che niente gli passava inosservato. Quelle macchioline cremisi erano il sangue di Alex. All'improvviso ogni cosa venne distrutta. Ogni barriera cadde. Ogni muro. La demolitrice aveva appena abbattuto il suo "rifugio". Adesso non c'era più nessun posto sicuro dove nascondersi. Ansimante, cadde sulle ginocchia proprio lì, in mezzo alla strada. Era sicuro di potercela fare ed invece era debole, debole come chiunque altro. Si coprì il viso con le mani e pianse tutte quelle lacrime che negli anni, aveva soppresso. Il suo corpo si muoveva convulso, percorso da spasmi di un dolore così acuto che non poteva essere spiegato. Restò seduto sul ciglio della strada per diverso tempo. Anziché quietarsi e darsi pace, Gavril era tormentato come non mai. Voleva prendere Harris, voleva ucciderlo con le sue stesse mani. Nelle sue vene scorreva lo stesso sangue di un assassino. Forse anche lui un giorno, avrebbe perso totalmente il lume della ragione, dopotutto, era già sulla buon strada. Ma non gli importava, non gli importava cosa ne sarebbe stato di lui. Se Alex non si sarebbe più svegliato, niente aveva più un senso. Sconsiderato, mosso dall'odio e dal rancore, Gavril avanzò verso la stazione di polizia raggiungendo Jacob. Quando l'agente Ward se lo ve davanti sussultò appena, quel viso che, fino a poco prima era maschera di dolore, si era trasformato in una maschera di cera.

- Sei pronto? – gli domandò.

- Mai stato così pronto. – rispose lui privo di emozioni.

- Bene allora. Andiamo a prendere a calci in culo quel miserabile figlio di puttana.

A bordo dell'auto di polizia regnava il silenzio. Gavril era sempre stato un tipo taciturno, ma ora, pur restando in silenzio, trasudava rabbia da ogni poro. Al momento era sull'orlo di un rasoio. In bilico tra vendetta e amore. Mentre l'auto percorreva il lungo sentiero che li avrebbe condotti alla villa, qualcuno li chiamò alla radio. Dal momento che Ward stava guidando, fu Gavril a rispondere:

- Agenti, ci hanno appena comunicato che il prigioniero Elizar Miroslav è scappato dalla clinica in cui era in cura. – disse una voce. - Gli agenti di guardia sono stati entrambi tramortiti.

Jacob scosse la testa a quella notizia, Gavril invece restò impassibile.

- Che cazzo ha in mente? – gli domandò Ward.

- Vuole proteggermi. – ripose con un filo di voce lui perso con lo sguardo oltre il finestrino.

- Cosa?

- Ci ho parlato. Mi ha detto di mio padre: Colin Harris. Elizar sapeva tutto. Forse lo ha sempre saputo.

- Ecco perché il suo nome non è mai saltato fuori! Ero sicuro che fosse una copertura. Si è nascosto per tutti questi anni e ancora oggi non si sa che fine abbia fatto...

- E se non ci fosse solo Edward dietro tutto questo?

- Che vuoi dire? – inarcò un sopracciglio incuriosito.

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