10 Settembre 2007

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NOTA AI LETTORI: non aggiungo mai note alla storia, ma questo capitolo richiede una premessa.
Spero la storia vi appassioni, è la mia primissima esperienza come "scrittrice" e mi sto molto divertendo. Ora, è bene che vi avvisi che i contenuti di questo capitolo potrebbero essere considerati un pochino forti. Sarà un po' più breve degli altri, ma è molto intenso. Detto questo, buona
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10 Settembre 2007

Domani ricomincia la scuola. Non ho per niente voglia di tornare tra i banchi. So già che i miei compagni mi guarderanno come se mi mancasse un braccio. Odio sentirmi una vittima. Odio la pena delle persone. Odio i miei compagni di classe. Voglio andarmene.
Per fortuna è l'ultimo anno, poi potrò fuggire da questo posto dove appena fai uno starnuto lo vengono a sapere tutti. Voglio andare a Milano, studiare all'Accademia di Brera. Voglio mescolarmi in un fiume di persone e dedicarmi alla storia dell'arte. Voglio ricominciare.

Non ho più niente e nessuno qui. Mio padre è morto da appena tre settimane, un incidente in barca mentre eravamo in vacanza. È scivolato, ha battuto la testa, è caduto in mare ed è annegato. Tre secondi e non c'era più, il mare l'aveva inghiottito. Gli amici dei miei che erano sulla barca con noi hanno tentato di salvarlo, ma non c'è stato nulla da fare. Tre secondi gli son costati una vita intera.

Mia madre ora è totalmente fuori di testa. A volte credo che non abbia capito la situazione. Casa nostra è un via vai di amici e conoscenti che porgono condoglianze, vogliono star vicino alla vedova inconsolabile e lei sta al gioco. Sembra una diva del cinema muto che si strugge, ma è evidente che esageri solo per i suoi 'fan'. Io non ce la faccio a stare in casa, mi sento soffocare. Lui non c'è e lei... beh, lei nemmeno. Non per come la conoscevo io almeno.

Passo la maggior parte delle mie giornate a camminare per i campi, mi siedo all'ombra degli alberi con le cuffie nelle orecchie e cerco di dimenticare tutto, di far finta che non sia successo niente e che tutto sia normale. Quando l'ipod si scarica, è il segnale che devo tornare.

Il sole è tramontato ormai, ma nessuno si starà preoccupando del fatto che io non sia in casa. Credo che mia madre non se ne accorga nemmeno che non sono lì a guardarla struggersi e piangere negli abbracci di chiunque varchi la nostra soglia.
Raccolgo le mie cose: il blocco da disegno, i pennelli e gli acquerelli. Infilo tutto nella mia borsa e pigramente mi dirigo verso le mura vuote che mi aspettano.

Per tornare a casa devo per forza passare dalla piazza del paese. Vedo che alcuni ragazzi della mia scuola sono radunati al solito angolo a bere birra e insultarsi sguaiatamente. Che idioti! Ma vi rendete conto di quanto siate fastidiosi? Non avete un tono di voce meno snervante? Non ho per niente voglia di dovervi sopportare ancora per un anno, giorno dopo giorno, fino alla maturità.

"Olive Oil! Dove hai lasciato Braccio di Ferro?? Se vuoi qui c'è Pisellino che ti aspetta!"
Ridono tutti sonoramente alla battuta di Marco, un ragazzo che ha finito il mio liceo l'anno scorso e che intuisco essere il capetto della banda.
Faccio finta di non sentirli e vado avanti per la mia strada con le mani in tasca e la testa bassa.
"Olivia!! Sei sorda?"
Marco insiste. Quanto vorrei prenderlo a pugni e farlo stare zitto una volta ogni tanto!
"Lasciala stare, non sai che le appena morto il padre?"
Non capisco chi parla, non so se odio di più Marco per le stronzate che urla o questo qui per la pena che prova per me.
Non ho bisogno della vostra carità. Continuo a camminare a passo ancora più deciso.
Cammino ancora per 5 minuti, altri duecento metri e sono a casa.
Sento dei motorini che si avvicinano, speriamo che non vengano a rompere.
"Cos'è fai l'offesa?"
Merda, è quell'arrogante di Marco sul motorino, rallenta per stare al mio passo e io fingo che non esista.
"Oh!! Sto parlando con te stronza!"
Perchè non te ne vai e mi lasci in pace? Sembra pure ubriaco, il motorino continua a sbandare per la velocità limitata e per il suo stato mentale. Accelero il passo.
"OH!! MA CI SENTI?"
"Vattene!" Non mi rendo nemmeno conto di parlare.
"Allora non ti sei rincoglionita del tutto! Dove vai? Ti vedi con qualcuno?"
"No. Vado a casa." Cosa vuole questo adesso?
"Dai vieni a fare un giro con noi!"
"No, grazie." Levati di torno. Subito!
"Che noia che sei, non ti rompi le palle a non far mai niente?"
"Chi ti dice che non faccia niente? E poi che ti frega?" Un chilo di fatti tuoi?
"Dai, vieni a giocare con noi" Giocare?
"Mi aspettano a casa" Mento. Sto quasi correndo, voglio arrivare a casa e chiudermi in camera da sola. Marco fa un paio di impennate con il motorino e poi va avanti. Ce l'ho fatta, se ne va!

È quasi scomparso dalla mia vista quando fa inversione e inchioda a un passo dal mio naso.
"Sei sempre così scontrosa. Ti faccio divertire, ti va?"
"No." Sono incastrata, mi ha bloccata col motorino e non riesco ad avanzare. Provo a tornare sui miei passi sperando che lui si sposti.
Funziona. Si muove per cercare di bloccarmi ancora. Cambio di nuovo rapidamente direzione per puntare verso la mia meta, lui però in motorino è più veloce e mi blocca definitivamente tra un albero e una recinzione.
"Cosa fai scappi?" Oddio, che vuole adesso? Perchè non mi lascia in pace? "Forza, che ci divertiamo. Ti faccio vedere io cosa vuol dire spassarsela"
"Devo andare. Mia madre mi aspetta" Forse la carta 'pena' potrebbe tornami utile stavolta.
"Sali allora, ti porto io" Il ghigno che accompagna la frase mi suggerisce che accettassi sarei fregata. Tento di avanzare passando per il poco spazio disponibile, ma lui mi chiude ancora di più nella sua trappola.
"Che fai? Non accetti l'aiuto di un amico?"
"Noi non siamo amici"
"Potremmo diventarlo. Sei piuttosto carina sai?" Mi guarda in un modo che non mi piace e non preannuncia nulla di buono. "Forza, vieni con me"
"No." La voce comincia ad incrinarsi per l'agitazione.
"Scommetto che li sotto sei ancora più carina." Allunga una mano e mi sfiora il seno. Gli schiaffeggio la mano con forza per allontanarla.
"Smettila e lasciami andare"
"Altrimenti?" Mi guarda con aria di sfida e avvicina il viso al mio.
"Altrimenti urlo!" Mi trema la voce, vorrei sembra più sicura. Appena finisco la frase lui come illuminato dalla mia rivelazione mi preme una mano sulla bocca mentre con l'altra mi afferra e mi solleva di peso.

Tento di urlare, ma emetto solo mugolii soffocati. Mi dimeno come una pazza sperando che lui molli presa, invano. Quando mi posa a terra siamo in un angolo buio, mi spinge con il suo corpo contro il muro tenendo ancora la mano premuta sulle mie labbra.
"Te l'avevo detto che ci saremmo divertiti" Lo guardo terrorizzata, gli occhi spalancati, il respiro affannato. Cosa vuole fare? Aiuto! AIUTO!
Il mio corpo non reagisce più sono pietrificata dalla paura, assisto a quello che mi sta accadendo come se fossi una spettatrice esterna. Non riesco a muovermi, a parlare, a pensare.
Sento le sue mani che esplorano il mio corpo, sopra i vestiti, poi sotto. Mi alza la maglia e strattona violentemente il reggiseno facendomi male. Ci mette un po' prima di ottenere ciò che vuole. Quando entrambi i miei seni sono esposti, li afferra con avidità con la mano libera, torturandoli. Prende in bocca i miei capezzoli, li lecca, li morde. Sento le lacrime scorrere lungo le mie guance, vorrei muovere le braccia, respingerlo, lottare. Non ci riesco.
La sua mano scende e si infila nei miei pantaloni mentre le sue labbra continuano ad aggredirmi. Grugnisce soddisfatto quando riesce ad infilarsi anche nelle mutande e raggiungere il mio sesso. Non esita, non chiede il permesso, non mostra rispetto o riguardo nei miei confronti. Semplicemente si impossessa della mia femminilità, esplorando famelico. Mi graffia mentre cerca di abbassarmi i vestiti. Lascia la mano che mi ammutoliva, preso dall'eccitazione del momento. Io non riesco neanche a respirare, figuriamoci chiamare aiuto.
Assisto impotente al mio destino, sono nuda, esposta e vulnerabile. Quando vede il mio sesso libero dagli abiti mi guarda con un ghigno, avvicina le labbra al mio orecchio e sussurra rabbioso: "Adesso ti scopo!"
"No." La mia risposta è debole, credo lui non l'abbia nemmeno sentita.
Apre la zip dei suoi jeans, estrae orgoglioso il suo membro e senza preamboli lo infila nella mia verginità, portandosela via.

Fa male. Fa male il corpo, fa male il cuore, fanno male la mente e l'animo. Fa male tutto. Mi sta rubando l'essenza già spezzata, ogni colpo che affonda porta via una parte di me. Si muove velocemente, posseduto dal momento. Pochi secondi di frenesia prima di sentirlo godere. Pochi secondi e non ci sono più.

Il tempo per lui di riprendere fiato, poi si riveste e scappa. Non ringrazia. Non insulta. Non si scusa. Non mi guarda nemmeno. Si gira e se na va lasciandomi sola, violata e in lacrime.
Scivolo verso il terreno, vuota. Ho perso mio padre. Ho perso mia madre. Ho perso me stessa.
Nascondo la testa tra le ginocchia e piango tutte le lacrime di una vita intera che ora non ho più.

Quando la ragione torna ad avere la meglio sulla disperazione è notte fonda. Cerco di ricompormi come riesco e trascino il mio corpo vuoto e dolorante verso casa.

ELLA - terza persona femminile singolareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora