"Allora, ci hai pensato?" Siamo appena risaliti in macchina, verso la meta misteriosa numero due, dove spero troveremo un'abbondante colazione perché non ho ancora mangiato nulla e comincio a morire di fame.
"Credo di aver bisogno di un po' più di due minuti per riflettere in merito ad un cambiamento così radicale" gli sorrido rimproverandolo scherzosamente con lo sguardo, lui risponde con una smorfia dispiaciuta, sembra tutto così normale, una coppia normale che fa cose normali. Comincio ad abituarmi ad averlo vicino, ma l'inesperienza in questo tipo di situazioni mi toglie buona parte della sicurezza che vorrei sfoggiare.Dopo poco più di mezz'ora arriviamo a Como, davanti ad un grande cancello che cela un grande parco, dove immagino si nasconda una villa. Entriamo senza nemmeno chiedere il permesso e percorriamo con l'auto il vialetto fino alla grande costruzione di fine ottocento che avevo preventivato.
Ferma il veicolo poco distante dal portone di ingresso e mi invita a scendere. Ma dove siamo? Chi abita qui? Lo guardo per cercare risposte, che non arrivano.
Titubante, per niente a mio agio, seguo Brando che non bussa prima di entrare in questa meravigliosa dimora. Mi sorride, emozionato e incerto anche lui.
Entriamo quasi furtivamente, ma non ho nemmeno il tempo di guardarmi intorno che veniamo travolti da un'esuberanza femminile.
"Brando! Sei arrivato!" Una stupenda Gigì ci accoglie sull'uscio appena chiuso. "Benvenuta Olivia, sono contenta di vedere che non sei fuggita da questo musone alla fine." Mi sorride così calorosamente che mi fa sentire in colpa per quei sentimenti negativi che le avevo rivolto i primi tempi in cui ci siamo conosciute.
"Cuciti la lingua sorella" Brando scherza con lei, ricreando immediatamente quella connessione frizzante che li unisce.
"Forza, venite. La nonna vi aspetta in veranda per il brunch" Che? Nonna? Non è un po' prematura l'introduzione alla famiglia? Non ho nemmeno avuto il tempo di capire cosa sia successo tra noi due, di capire come funziona questa cosa delle relazioni amorose, che vengo già catapultata nel ménage familiare.
Non credo di poterlo fare. I miei piedi lo sanno bene, infatti restano ancorati al loro posto senza avanzare verso la veranda. Quando lui lo nota, si volta verso di me con lo sguardo accigliato.
"Cherie, tutto bene?" Tutto bene? Tutto bene un corno. Mi hai appena teso un'imboscata in piena regola!
"Potevi almeno chiederlo prima." Sussurro con un filo di voce e il cuore tremante. Lui sembra non capire. "Mi stai facendo conoscere la tua famiglia? Lo sai che una ragazza ha bisogno di tempo per queste cose? Ho appena accettato di stare con te, di provare a buttarmi nel buio. Pensavo che fossimo d'accordo nell'andarci piano. Mi hai fregata." Lo dico senza aggredirlo, come una semplice constatazione rassegnata.
"Vuoi andare via?" Si.
"Non possiamo adesso. Sanno che siamo qui, che idea si farebbero di me?" Passo la mano sul volto esasperata dalla situazione. Possibile che non ci abbia pensato?
"Se vuoi andiamo via all'istante, me ne prenderò la colpa. Però vorrei che restassimo. Per favore, fidati di me. Ti prometto che andrà tutto bene." Tende la mano, affinché io vi posi la mia. Mi guarda in attesa, implorandomi sotto le folte ciglia scure. Cedo. Perché solo questo posso fare, assecondarlo. Quando mi guarda carico di speranze e attenzioni, con quegli occhi ghiacciati colmi di affetto, non posso fare altro che seguirlo.La veranda sembra uscita da un libro illustrato di fiabe. Il ferro battuto color piombo disegna leggeri motivi attorcigliati tra un vetro e l'altro. È arredata con mobili in vimini dipinti di bianco, sommersa di piante e fiori che regalano allo spazio il loro fresco profumo.
La tavola è imbandita con manicaretti di ogni sorta, sui quali troneggia, a capo tavola, una donna di circa ottant'anni. I capelli meravigliosamente canuti trattenuti da uno chignon perfetto, gli occhi di ghiaccio che ho imparato a conoscere bene su un altro volto. Si alza e avanza verso di me con passo insolitamente deciso per una donna della sua età. Ha una figura slanciata ed esile, che muove sinuosamente, come se ci si trovasse bene in quel corpo, come se lo conoscesse alla perfezione e lo domasse regalmente dalla punta di ogni capello all'ultima cellula dell'unghia del piede.
"Nonna, ti presento Olivia. Olivia, questa è la mia stupenda nonna Tea" tendo la mano verso la signora, che la stringe saldamente senza parlare. Mi scruta con gli occhi, esaminando la mia figura e mettendomi enormemente in imbarazzo. Com'era la promessa? Andrà tutto bene? Col cacchio! Questa mi sta guardando come se fossi carne da macello, alla faccia della bella nonnina.
"Lei è una ballerina?" Libera la mia mano e mi guarda intensamente attendendo una risposta. Cosa le rispondo? Si ballo mezza nuda in un club privato e segreto per uomini schifosamente ricchi?
"Più o meno, ho studiato danza praticamente da quando sono nata." Scelgo la versione edulcorata della storia. Funziona, mi sorride soddisfatta.
"Lo sapevo!" Si volta e torna a sedersi al suo posto. Invitandoci col capo a fare lo stesso. Brando sorride più rilassato e si accomoda lasciando vuoto il posto fra sè e nonna Tea, un tacito invito verso di me ad occuparlo. Questa donna mi mette soggezione, non posso sedermi più lontano?
"Nonna è stata prima ballerina all'Opéra di Parigi" cinguetta Gigì orgogliosa di portare un pezzetto di quel DNA tanto illustre.
"Complimenti, deve essere stata un'esperienza indimenticabile. Ha insegnato lei ai suoi nipoti a danzare? Sono davvero degli ottimi ballerini" sorride orgogliosa dei suoi pargoli, mentre mi allunga un vassoio colmo di croissant.
"Erano spesso qui a casa da piccoli, la danza è un ottimo passatempo. Forgia il fisico e la mente, insegna la disciplina e la fatica. Credo che dovrebbe essere un passaggio obbligato per ogni bambino, educa e diverte. Tu a che età hai iniziato?"
"Avevo solo tre anni. Mio padre mi comprò un tutù per gioco, io non volevo mai toglierlo, così ha pensato di portarmi alla scuola di danza del mio paese. Non l'ho più lasciata fino a quando mi sono trasferita a Milano. Era una piccola scuola, nulla a che vedere con la sua esperienza" sorvoliamo sul perché abbia smesso realmente di frequentarla. La danza era motivo di orgoglio per mio padre, ero piuttosto portata e spiccavo sempre nei saggi di fine anno. Lui era sempre presente per battere le mani più forte di tutti, con gli occhi lucidi di ammirazione. Non ho più ballato perché lui non poteva più vedermi. Ormai nella mia mente era forte l'associazione di idee: tutù - papà.
"Non importa la dimensione di una una scuola. Se l'insegnante è ben istruita, anche un salotto può essere una classe di danza" mi posa la mano sulla mia, rassicurandomi, come solo una nonna sa fare.
STAI LEGGENDO
ELLA - terza persona femminile singolare
ChickLitElla è una ragazza nel pieno del suoi vent'anni, che crede di non avere nulla da perdere e ancora meno da guadagnare. Si esibisce in un club per soli uomini nel cuore di Milano, un club segreto e molto esclusivo destinato solo a uomini facoltosi che...