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Rita, 21 gennaio 2023


C'è un nuovo banco nella mia classe, io e le altre parlottiamo a lungo su chi sarà il nuovo o più probabilmente la nuova arrivata. Ma su una cosa siamo tutte d'accordo: iniziare a metà del quinto anno di linguistico in una nuova classe deve essere devastante. Gli esami incombono già sulle nostre teste.

La campanella suona, entra la prof di storia, ma del nostro nuovo compagno non c'è neppure l'ombra.

Dal terzo banco vedo la Maggialetti tirare fuori dalla sua borsa il tablet col registro elettronico, legge accuratamente tutti i nostri cognomi. È dal primo anno che lo so a memoria e non è mai cambiato. O meglio, è cambiato solo una volta, quando la mia ex è andata via, ma ogni mattina da quando è iniziata la scuola, io il suo nome lo penso. Sono mesi che mi ha abbandonata in stazione, ma mi manca ancora. Mi sembra di non averla ancora superata del tutto.

La sparizione di Angela ha solo peggiorato le cose, mi ha gettata in uno stato di profonda solitudine e di sconforto. Era l'unica che mi spalleggiava, che sembrava capirmi. Era l'unica che non mi remava contro, che mi appoggiava per quella che sono. E adesso mi resta solo mia madre, con la sua voce tremenda che risuona per la casa vuota, che sembra rimproverarmi anche solo per il fatto che respiro.

Quando arriva alla G, io ripeto il suo nome. Ricordo i suoi capelli castani alla luce della finestra, proprio lì dove adesso c'è il banco vuoto.

"Genazzano Sara" dice la professoressa.

Io salto sulla sedia. Forse l'ho immaginato.

"Genazzano Sara!" ripete la Maggialetti, si guarda attorno, la cerca. "Sarà in presidenza a sistemare le ultime carte per il suo rientro." Dice solo e va avanti con l'elenco.

Il cuore sembra battere dritto nella mia gola. Mi sento di soffocare.

Chiedo di andare in bagno, sebbene la lezione debba ancora iniziare. Non ho il coraggio di rivederla. Non voglio rivederla. Per quanto mi sia mancata, io non voglio affrontarla, non voglio tornarci assieme. Non ho ancora superato la frase con cui mi ha piantata in asso. "Voglio lasciare tutta la merda dietro di me, e tu sei una Santoro, fai parte della merda."

Non appena arrivo in bagno scoppio a piangere come una cretina. Non ce la faccio. Eppure, una parte di me vorrebbe urlare, vorrebbe farsi forza, aspettarla nel corridoio e urlarle addosso. Chiederle perché. Perché è tornata, perché non è rimasta in Francia dai suoi zii.

Dopo aver scaricato il nervosismo con una delle mie solite crisi di pianto, mi faccio forza e rientro in classe. La trovo lì, porta i capelli più lunghi di quando mi ha lasciata. La ignoro, faccio finta di non vederla. Mi costringo a fare finta che sia trasparente.

La prof spiega la Seconda guerra mondiale e io non ci capisco un bel niente.

Cinque ore dopo, all'uscita, Sara ha il coraggio di fermarmi in corridoio.

"Mi dispiace." Mi dice "Non avrei dovuto farlo."

"Fare cosa?" le chiedo "Tornare nella merda?" rincaro, sono a tanto così dall'urlarle in faccia. La supero e continuo verso l'uscita.

Lei mi segue e continua a parlare, ma sono così scossa e arrabbiata che non riesco a sentirla, sento solo i miei pensieri, sono atroci, stanno lottando tra loro nella mia testa. Una parte di me vorrebbe fermarsi e baciarla e dirle che possiamo recuperare tutto ciò che abbiamo rotto. Un'altra parte vorrebbe solo scappare via, lontano da lei, lontana da mia madre, da Bari, lontana da Gennaro.

In poco tempo raggiungo il cortile davanti all'entrata, ma Sara mi afferra per il braccio, ha smesso di parlare, mi guarda solo un secondo, ha un attimo di incertezza, forse di paura, poi mi bacia.

E mi sciolgo, lascio andare la tensione, le passo una mano tra i capelli ricci e scuri. Mi è mancata più di quanto abbia voluto ammettere.

Subito dopo però, sento un applauso alle mie spalle e tutto attorno a me sembra raggelarsi a quel suono. Sara mi guarda senza capire, poi rivolge la sua attenzione al ragazzo alla nostra destra, che ci fissa. E' Gennaro, mi è venuto a prendere all'uscita. Proprio oggi.

Adesso sì che Antonio mi ucciderà, meno male che è in America.

"Brava, sei una brava attrice, Ritarella." Mi dice, ha la voce intrisa di odio e di disgusto.

"Che problemi hai?" gli chiede Sara, facendo un passo avanti, come per difendermi.

"Che problemi hai tu." Le rispondo io. La tradirò, qui e ora. Devo farlo, perché è l'unico modo per tenerla al sicuro. Lo sguardo che mi rivolge subito dopo mi fa sentire un dolore assurdo al fianco, è come se mi avesse pugnalata. Ma devo essere io a pugnalarla. Meglio che sia io a farle male, che loro. "Tra noi è finita, hai capito? Io e Genny stiamo insieme e ci sposiamo presto. Tu sei stata solo un gioco, tesò. Adesso però è finita." Le dico.

Lei corre via in lacrime, invece Gennaro resta dov'è, a braccia conserte. Osserva me e osserva lei.

"Ne ho abbastanza delle vostre cazzate." Mi dice solo. "Però una cosa buona l'hai detta, Rita. Noi ci sposiamo. Adesso vieni con me da mio padre e iniziamo a parlare di cose serie, così ti passa la voglia di fare certe cazzate." Mi dice, poi mi indica l'auto parcheggiata.

Inizio a camminare verso il mio posto come una condannata al patibolo, lui mi segue e mi apre lo sportello. "Sapevo che non mi dovevo fidare di te, di Nicolino e di quella puttana che ti stava sempre appresso. Io lo sapevo!" mi urla, prima di sbattere lo sportello per richiuderlo.

Mentre lasciamo la scuola, diretti a casa Sorrenti, passiamo davanti a Sara, sta ancora piangendo, rannicchiata contro un muro. Vorrei solo essere lì con lei.

Protetta dal diavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora