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Angela, 17 aprile 2023


Le urla dei tifosi allo stadio sono così intense che superano le pareti della sala insonorizzata in cui si sta preparando un rinfresco per gli ospiti della tribuna vip. Preparo i tavoli delle diverse zone private e mi faccio assegnare come cameriera all'ala numero 14, come mi ha indicato un contatto di Fedele che gestisce le prenotazioni al San Siro. Di colpo le urla cessano, diversi ospiti in giacca e cravatta entrano nella sala esclusiva, attraversano le porte a vetri oscurati e si dirigono ognuno nella propria area personale, dove trascorrono l'intervallo con un drink e un po' di chiacchiere su come sta andando il derby Inter Milan.

Tra gli ospiti ci sono i padron delle squadre, alcuni personaggi dello spettacolo, dei politici, è pieno di gente ricca e annoiata, ma anche di amici milanesi di don Togliatti. Tra questi amici, individuo subito un signore con un abito beige, avrà a malapena una cinquantina d'anni e si siede con un portamento impeccabile al divanetto accanto a cui sono ferma io. Mi guarda per qualche istante con gli occhi verdi e mi ordina un Manhattan con un forte accento milanese. In realtà lui è di Roma, ma fa di tutto per mascherare le sue origini. Mi dirigo verso il barman, prendo il drink e torno dall'unico ospite nella mia ala. Glielo porgo con estrema gentilezza e lui mi guarda a lungo, ma io torno al mio posto e faccio finta di niente. Nemmeno mio fratello mi riconoscerebbe, ho tinto i capelli di rosso, assieme alle sopracciglia, indosso delle lenti a contatto e un trucco marcato. Dovrebbe andare tutto bene. Subito dopo, infatti, l'uomo ha smesso di guardarmi e sta ridendo al telefono con qualcuno.

Se le informazioni di Fedele sono giuste, lui è qui per incontrare Gennaro e negoziare un appoggio. Antonio mi ha detto più volte che è essenziale non torcergli un capello, nemmeno per errore. È Davide Guarelli, uno dei sei re della mala milanese. Se dovesse uscire leso da quello che sta per succedere, Togliatti stesso vorrà la mia testa.

Attendo pochi istanti e Gennaro si fa vivo, mi ordina un drink e qualcosa da mangiare. È il momento per cui mi sono preparata per settimane, quello che ho atteso con ansia per tutta la settimana. Gli porto prima il cocktail che ha chiesto, poi vado in bagno, estraggo una pistola dal fodero che ho nascosto sotto la gonna dell'uniforme, la nascondo sotto il grosso tovagliolo bianco con cui ci obbligano a servire gli ospiti. Prendo dalla cucina la cloche sotto cui si trova l'ordine di Gennaro e glielo porto. Poggio il vassoio sul tavolino tra i due uomini, poi sollevo la cloche. Sfrutto quell'istante, quello in cui entrambi guardano cosa c'è nel piatto, per sparare un colpo dritto in petto a Gennaro, poi un altro, che lo prende in faccia. Appena prima che riesca a esploderne un altro, vedo che Guarelli ha già una pistola in mano e la sta puntando contro di me. Corro verso la cucina, un proiettile mi raggiunge, cado di ginocchia sul pavimento, ma arranco finché non raggiungo i cuochi, poi il retro della cucina. Mi nascondo in uno sgabuzzino e chiamo l'aggancio di Fedele, ma l'uomo non risponde. Sento il panico che si diffonde al di là della cucina. Mi fascio il polpaccio e mi cambio con i vestiti che avevo già fatto nascondere. Se l'uomo che avrebbe dovuto farmi uscire non si presenta, dovrò trovare una soluzione diversa. Guardo sul telefono la mappa che mi ha mandato Antonio. L'unico modo per uscirne viva non è restando chiusa in quello sgabuzzino, è confondendomi con la folla. Nemmeno i Sorrenti, nemmeno Guarelli possono permettersi di sparare su una folla di tifosi. Mi faccio coraggio, nascondo i capelli dentro un cappello, mi strucco. Memorizzo la strada più breve per raggiungere gli spalti e mi affretto lungo un dedalo di corridoi poco frequentati, finché non raggiungo un corridoio che porta dritto alle gradinate.

Lungo la strada, mi ferma un uomo. Mi guarda a lungo, ma sembra incerto.

"Che c'è? Sto tornando al mio posto." Gli dico, mascherando alla meglio il mio accento. Non sembra bersela, mi toglie il berretto e i capelli mi ricadono rossi sulle spalle. Mi sbatte contro la parete e mi afferra per il collo, mentre cerca di estrarre una pistola. Gli do un calcio nelle palle, afferro la mia pistola e lo colpisco dritto sotto al mento, prima di scappare.

Protetta dal diavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora