Parte 1 - Capitolo 3

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Mancano tre minuti al suono della campanella. Inizio già a sentire gli astucci chiudersi, sembra una maratona, tutti pronti allo scatto che dopo ore di tortura ci rende liberi. Almeno fino alla mattina successiva. Il prof di inglese continua a spiegare, ma anche lui in fondo sa già che nessuno lo sta più ascoltando. Avrà la sua vendetta durante le interrogazioni, dove chiederà proprio quei piccoli dettagli spiegati a fine lezione. È il suo modo per capire chi stava attento.

Sara ha in mano il cellulare, digita con una velocità che neanche le migliori dattilografe saprebbero fare. Si gira verso di me.

«Oggi pomeriggio andiamo da Mike? Dice che ci deve raccontare qualcosa di piccante.»

Michelangelo – Mike per gli amici più stretti – è il migliore amico di Sara. Da qualche anno facciamo un bel trio insieme, lui è schietto e divertente, però a volte mi sento esclusa dai loro racconti, che vanno sempre a finire sul sesso e sulle loro esperienze. Io e la mia stupida verginità siamo ovviamente fuori da tutto questo e con la mia inesperienza non so mai cosa dire in quelle occasioni, mentre loro sembrano sempre avere degli ottimi consigli l'uno per l'altra. Forse è per questo che io e Mike funzioniamo solo se tra noi c'è anche Sara. La sola idea di trovarmici da sola mi mette in imbarazzo, non saprei di cosa parlare visto che lui non sembra molto interessato ad altri tipi di argomento né è uno di quelli con cui affronterei discorsi più profondi o sentimentali.

«Non so, dovrei studiare inglese e forse devo accompagnare mia mamma a fare dei giri» le dico.

«Pff, in inglese sei la secchiona numero uno e non hai neanche bisogno di studiarlo e con Patrizia ci posso parlare io. Le dico che devi venire a studiare da me» suggerisce Sara facendo l'occhiolino. «Ti prego, sai che ci divertiamo con Mike, non fare la guastafeste.»

Sa sempre come convincermi. Anche quando non voglio fare qualcosa, finisco col cedere e così come ammalia i ragazzi della nostra classe, mi sento ammaliata anche io da lei, non riuscendo mai a dirle di no. Mi fa sentire importante e il mio bisogno di non deluderla è più forte di qualsiasi altra mia voglia.

«D'accordo, come vuoi. Anche se già prevedo le lamentele di mia madre.»

«Ma figurati, sai che mi adora, basta che le fai il mio nome e vedrai che non farà storie.»

Inarco le sopracciglia, ma Sara non si lascia spaventare dalle mie perplessità e mi regala uno dei suoi migliori sorrisi, mostrandomi quella dentatura bianca latte e dritta come un righello.

Arrivo a casa, mia madre è in cucina e sta apparecchiando.

«Ciao ma'» dico porgendole la guancia, non voglio senta che ho fumato.

«Ciao» risponde lei con il suo solito tono spento.

Anche oggi non mi chiederà come è andata a scuola, né partirà da me l'iniziativa di raccontarle del compito di matematica. Fino a qualche tempo fa lo facevo, ma a un certo punto mi sono stancata di parlare con una persona che chiaramente è tra le nuvole e le poche volte che condivido qualcosa con lei neanche mi ascolta. È in una dimensione tutta sua, in un mondo parallelo, fatto di ricordi, pensieri, sensi di colpa, rimpianti. E così, i nostri momenti insieme, perlopiù intorno alla tavola, trascorrono di fronte a una TV accesa, testimone di numerosi silenzi.

Mamma non è sempre stata così, però da quando papà l'ha lasciata andando via di casa, si è lentamente chiusa in sé stessa, cadendo in quella che io chiamo depressione, ma non so se gli esperti la definirebbero tale.

«Che c'è per pranzo?»

Senza aprire bocca, mi fa cenno con la testa indicandomi la pentola sopra ai fornelli. Io stringo involontariamente i pugni, odio il suo essere perennemente passiva, inerme; detesto che si abbandoni a questa debolezza e che non faccia niente per nascondermelo.

Sotto gli occhi delle nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora