Parte 2 - Capitolo 8

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Sono in camera mia e sto studiando. È iniziato il periodo di esami e mi sento stressata. Squilla il cellulare, è Marco.

«Puoi smetterla di chiamarmi di continuo? Lo capisci che sto studiando?»

«Scusa» dice con voce sommessa.

Mi detesto per il fatto di rivolgermi a lui così, ma è più forte di me, non riesco a controllarlo.

«Ci sentiamo in serata» dico attaccandogli il telefono in faccia.

Come ogni volta, inizio a rimproverarmi, mi prometto che non dovrò più farlo, che sono un'acida odiosa e che Marco non merita di essere trattato in questo modo. Faccio sì con il capo, mi convinco di aver capito, mi tiro dei piccoli pugni sulla testa, basta, basta, sei cattiva con lui, non lo fare più, e mi immergo di nuovo sul libro di economia aziendale.

Proseguo con il mio studio, in fin dei conti non è difficile e gli appunti mi stanno aiutando molto. Sono nel pieno della concentrazione, quando, dopo qualche ora, ecco che mi scrive ancora Marco. Sbotto, prendo il cellulare, lo metto in modalità silenziosa e lo lancio sopra il letto.

Le giornate si susseguono così per settimane, in modo molto monotono. La mattina mi alzo presto, studio tutto il giorno, scendo giusto per mangiare qualcosa al volo; riprendo a studiare tutto il pomeriggio, litigo con Marco per il suo assillarmi e interrompermi di continuo; la sera a volte ci vediamo, dipende se la voglia di uscire è più grande dell'incazzatura nei suoi confronti.

«Possibile che non capisci che devo studiare e che questo è il mio primo esame?» gli dico come prima cosa quando salgo in macchina.

«Mi dispiace» risponde con la coda tra le gambe.

In realtà, più lui si scusa e mi guarda con quell'aria da cagnolino bastonato e più mi stizzisco.

«Certo, ti scusi e dopo qualche ora ecco che mi richiami.»

«Cerco solo di farmi sentire vicino» insiste lui, a capo basso.

«Non è quello di cui ho bisogno al momento. Capisci cosa vuol dire dover studiare un libro di trecento pagine e avere a breve sia un esame scritto che uno orale? No, certo che non lo sai, non hai mai fatto l'università, che ne sai.»

Mi disprezzo da sola a sentire l'eco delle mie parole tornare dentro di me. Non sono io che sto parlando, non è possibile, non so perché quest'esame mi stia facendo uscire tutto questo risentimento, che poi alla fine sfogo solo con Marco. Quando Manfre o Sara mi chiamano nel pomeriggio, certo non reagisco così. Sono convinta, se non addirittura certa che, a prescindere dal mio trattarlo male, Marco c'è e ci sarà. È forse per questo che con alcuni ruggiamo come leoni e con altri beliamo come agnellini? Ho l'impressione di concedermi questo codardo sfogo solo con chi so che non avrà il coraggio di reagire, di lasciarmi, di tirarsi indietro solo per questo. Se Marco mi rispondesse anche solo una volta con un feroce fragore e mi facesse tremare con una sua inaspettata brutalità, cambierebbe il mio atteggiamento nei suoi confronti? Nel mio continuo mortificarlo delle ultime settimane, continuo a chiedermi se c'è forse qualcos'altro che mi sta dando così fastidio in lui.

«No, hai ragione, non lo so cosa vuol dire» ammette Marco con voce ancora più bassa e desolata.

Le risposte che mi dà non mi soddisfano, il suo umiliarsi non mi dà pace. Voglio provocare in lui una qualche reazione, una collera, qualcosa. Ma niente. Io continuo a mortificarlo e lui, anziché mandarmi a quel paese, insiste a umiliarsi. E si scusa per cose che non ha fatto, il che mi rende ancora più irascibile. Nonostante la consapevolezza di questo mio comportamento stupido e ingiusto, non riesco a fare niente per fermarlo. Mi sento come un criceto in gabbia a correre sulla ruota, con l'unica differenza che io voglio fermarmi e non so come farlo.

Sotto gli occhi delle nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora