Parte 3 - Capitolo 4

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Sto facendo colazione nella piccola e poco luminosa cucina di casa. Ho lezione fra un paio d'ore, ma il baccano fatto dalle coinquiline mi ha svegliato. Sono già passati due mesi dal mio trasferimento a Roma, i corsi sono iniziati, ma il tutto procede diversamente da come mi aspettavo. Mi sento sconfortata: nonostante le giornate piene tra l'università, lo studio e i turni al ristorante, non riesco a trovare un momento per me.

Finito di mangiare dello yogurt alla fragola, prendo il cellulare e chiamo Manfre. Ho bisogno di una voce amica, di un supporto in questo momento difficile. So già che Sara mi direbbe cose del tipo: Te l'avevo detto, torna a casa, non sei fatta per stare a Roma. No, non è quello di cui ho bisogno, Manfre è l'unica che in una tale situazione sa come prendermi.

«Ciao, Nina, che bello sentirti! Che si dice nella capitale?»

«Diciamo che potrebbe andare meglio. Roma è fantastica in realtà, mi meraviglio ancora ogni volta che passo davanti al Colosseo o a Piazza Venezia. Ma per il resto...»

«Che succede? Il corso non ti piace?»

«Il corso va bene, i professori sono in gamba. Ma sono mesi che sono qua e ancora non sono riuscita a legare con molte persone. Nelle lezioni che frequento non è facile fare amicizia, le persone si conoscono dal primo anno e ci sono già gruppetti in cui sembra impossibile entrare. Chi come me non fa parte di alcun gruppo è perché è uno studente-lavoratore, gente con cui non ho molte cose in comune e che comunque scappa alla fine di ogni lezione. Inoltre, quel lavoretto che sto facendo, non va granché.»

«Cavolo, mi dispiace. Nelle grandi città a volte integrarsi è difficile. Perché il lavoro sta andando male? Troppo faticoso?»

«A dire il vero, anche se il ritmo è sostenuto e a fine serata sono morta, è sopportabile. Anzi, il tempo così passa velocemente. Sono più l'ambiente e i colleghi che mi creano una sorta di inquietudine. O meglio, una mia collega.»

Le racconto di Giada, dei precedenti a scuola, del suo strano comportamento.

«Addirittura una sera le ho chiesto di uscire dopo il lavoro, nonostante fossero giorni in cui era chiaro mi stesse evitando, per non so quale ragione. Mi dice che non può, che è distrutta, che ha da fare.»

«Vabbè ci può stare che uno non voglia uscire. Hai detto anche tu che il lavoro è faticoso» cerca di farmi riflettere Manfre.

«Aspetta, non è quello il punto» la interrompo. «Ogni volta che le chiedo io di uscire è stanca, poi l'ho sentita chiedere ai miei colleghi di fare serata senza neanche invitarmi.»

«Mmm.»

«"Ragazzi, stasera chi si fa una birretta qui a Campo dopo il lavoro?"» dico imitando la voce di Giada e usando le sue stesse parole.

Manfre si mette a ridere, poi torna seria.

«Ma che tipa! Probabile che te la vuole far pagare per la storia di Sara. Ne conosco diverse di persone così, è evidente che ha ancora tanto rancore dentro, indirettamente anche nei tuoi confronti.»

«Sì, ci sta. Sembra farlo apposta, anche nelle piccole cose. L'altro giorno stava parlando con un nostro collega, Michele, rideva e scherzava. Appena sono arrivata io, ha smesso di botto di farlo e ha cambiato subito argomento, come se non potessi far parte delle loro risate. O ancora, a volte è capitato che parlasse appositamente di fatti o persone di cui io ero l'unica al tavolo a non sapere un bel niente al riguardo. Fa di tutto per tagliarmi dalla conversazione, per farmi sentire fuori luogo.»

«Senti, lasciala perdere. Non farti rovinare lo stato d'animo da questa. Non darle soddisfazione, anzi, cerca di legare con gli altri, con questo Michele, con chiunque. E nel frattempo, se davvero la cosa ti fa stare male, cerca altro. Sono sicura che ce ne sono a bizzeffe di ristoranti che hanno bisogno di personale.»

«Hai ragione, dovrei darle meno importanza.»

«Assolutamente!»

«Ma senza dubbio non voglio cercare altro per lei, sarebbe come dargliela vinta!»

Sotto gli occhi delle nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora