Parte 3 - Capitolo 25

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Dopo la serata con Gianni, che poi non ho più rivisto, comincio a frequentare vari locali di Roma, alcuni in zona Eur, altri al Testaccio, altri ancora in centro. Giulia e Lucia sono spesso le mie compagne di avventura, ma entro in una sorta di dipendenza da certe serate che, quando nessuna delle due può, mi ritrovo ad andare perfino da sola, con l'unico obiettivo di trovare qualcuno da portarmi a letto. Qualcuno che possa cancellare ogni stupido pensiero e sentimento.

Non mi importa di nessuno di loro, li uso senza alcun rimorso, solo per passare serate divertenti e sentirmi desiderata. Più loro mi bramano e mostrano di volere altro al di là del sesso, e più faccio la stronza dando numeri di telefono sbagliati, dicendo appena dopo il rapporto che sono fidanzata, scappando la notte mentre dormono, come avevo fatto con il povero Gianni.

All'inizio tutto questo mi dà molta carica e la mia autostima sembra crescere, finché raggiungo un punto in cui sono schifata da me stessa. Tuttavia non riesco a smettere. Non appena trascorro delle serate in casa senza uscire, finisco col convincermi che non troverò mai più nessuno da amare davvero, e inizio a stare male per le paranoie che mi creo. E allora il giorno dopo, quasi a voler anestetizzare la serata precedente e i suoi brutti pensieri, esco, trovo una preda facile e me la porto a letto.

Una sera vado con Giulia e Lucia a fare serata al Circolo degli Artisti e mentre stiamo ballando mi si avvicina un ragazzo, tale Renato. Si presenta, io neanche smetto di oscillare da un piede all'altro, tenendo il ritmo, nonostante la sua ovvia intenzione di scambiare due chiacchiere. I suoi amici intanto cercano di approcciare le ragazze, che dai loro sguardi intuisco non essere minimamente interessate.

A vederli così, nella loro goffa pretesa di prendersi ognuno una di noi, mi appaiono degli sfigati. Inoltre, nessuno risalta per bellezza e le due mi fanno continuamente espressioni che palesano la loro intenzione di tagliare la corda e piantarli lì. Non mi piace affatto Renato, è sudaticcio e si muove scattoso, è alto quanto me e già mezzo stempiato. Sembra un pesce fuor d'acqua, ha la camicia dentro i pantaloni, sicuramente comprata e stirata da mamma, l'unico in mezzo a ragazzi con t-shirt colorate e alla moda. Nonostante la repulsione fisica, sento il bisogno che mi desideri.

«Mi offri da bere?» gli chiedo dopo un po'.

Lui annuisce. Mi bevo un vodka lemon nel giro di cinque minuti, Renato è invece ancora a metà bicchiere. Nel frattempo ho perso Giulia e Lucia, che sono riuscite a liberarsi dagli amici del mio spasimante.

Renato mi chiede di me, cosa studio, cosa faccio nel tempo libero. Rispondo a monosillabi, non sono interessata a fare conversazione, non mi interessa avere da lui quelle stesse informazioni appena chieste a me. Il suo parlare è noioso, il tono della voce è piatto e poco coinvolgente. Potrei liquidarlo, andare alla ricerca delle mie amiche e aspettare che un pretendente migliore prenda il suo posto, ma sono schifata da tutto e tutti, me compresa, non ho più voglia di perdere tempo e di sprecare energie per qualcosa che già so mi darà solo qualche minuto di benessere fisico, senza lasciarmi nessun'altra gioia a livello emotivo.

«Mi porti a casa?» gli chiedo di punto in bianco.

Lui accetta senza pensarci due volte, convinto che finiremo a letto insieme.

Non smette di parlare per tutto il tragitto, sento la sua concitazione, la voglia di fare una bella impressione, quando io invece non faccio il minimo sforzo per risultare simpatica: guardo dritta la strada, annuendo con falsità alle sue frasi uggiose, non proferendo parola. Mi faccio lasciare due strade parallele alla mia, non voglio che veda dove abito.

«Puoi fermarti qui, grazie.»

Renato accosta la macchina e spegne il motore. Vedo nei suoi occhi una tale speranza ed eccitazione che quasi mi sento in colpa. Dopo momenti di silenzio e imbarazzo, apro la portiera della macchina. Renato sente la pressione del tempo, non vuole raccontare agli amici che è andato in bianco, vuole avere la sua storia. Allora mi afferra per un braccio e mi bacia. Il suo alito è pesante, la lingua ruvida e veloce cerca di arrivarmi fino in gola con veemenza. Mi tocca il seno con fare incerto, sicuramente ne ha toccati pochi fino a oggi.

Potrei respingerlo, uscire dalla macchina e non rivederlo mai più, lasciarmi alle spalle questa serata e l'ultimo periodo intero. Ma è proprio il disgusto che Renato mi provoca a farmi continuare. Mi farò scopare e sarà l'ultima volta di questo schifo che va avanti da mesi, mi dico.

Gli apro la zip dei pantaloni, inizio a masturbarlo, lui geme come un pulcino indifeso. Mi metto sopra di lui e dopo neanche due minuti Renato mi viene dentro con forza, facendo tremare ogni parte del suo corpo. Non apro bocca, scivolo verso il sedile del passeggero, mi rimetto le mutandine.

«È stato bellissimo...» dice a mezza voce, ma io non gli do neanche il tempo di finire la frase, che già sono scesa di macchina e sto chiudendo lo sportello con forza.

Entro in casa e inizio a piangere come non mi ero più concessa da tempo. Mi butto sotto la doccia, cercando di togliermi con una violenta pressione della spugna sul corpo quello che ero stata negli ultimi mesi. Il fondo l'ho toccato, ora posso risalire.

Sotto gli occhi delle nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora