Parte 3 - Capitolo 31

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Sono passati un paio di giorni, è pomeriggio e sono in cucina a mangiare uno yogurt quando sento le chiavi nella toppa di casa. Carlotta, una delle mie coinquiline, è tornata.

«Ehi, anche tu già a Roma? Non pensavo di trovarti qua» dice.

«Devo scrivere la tesi e a casa da mia madre mi sono accorta che non potevo concentrarmi. Mia mamma mi voleva portare ogni giorno da qualche parte» mento con voce atona.

«Allora siamo sulla stessa barca! Io sto preparando un progetto di un edificio con due compagne di corso, dobbiamo finire assolutamente per questa sessione di settembre.»

La guardo, faccio un mezzo sorriso. Per oggi ho già dato abbastanza in quanto educazione e cordialità, ora posso ripiombare nel mio stato di depressione.

«Scusa, Carlotta, vado a riposarmi un po', non ho dormito granché la scorsa notte.»

Verso l'ora di cena sento bussare alla porta della mia camera.

«Che fai, mangi? Ho preparato troppa pasta, se vuoi c'è una porzione che ti aspetta» dice Carlotta dall'altra parte della porta.

Non ho voglia di fare conversazione, ma il brontolio dello stomaco mi fa accettare. Mi trascino in cucina, alzando a malapena i piedi dal pavimento, conscia del mio stato orribile e del cattivo odore che emano.

«Ti piace?» chiede Carlotta mentre addento la prima forchettata.

«È buona, non sapevo fossi brava a cucinare» le dico, «anche se viviamo insieme da più di due anni ormai, non abbiamo mai avuto orari molto simili.»

Lei annuisce, masticando con gusto la pasta e gongolando del complimento appena ricevuto.

«Hai ragione, soprattutto da quando mi sono messa con Lorenzo ci rimbalzo in questa casa. Non so perché stia ancora sprecando i soldi per l'affitto.»

La faccio parlare a lungo, bombardandola di domande per evitare che possa chiedermi lei qualcosa.

«E quindi hai deciso cosa fare una volta laureata?»

«Il sogno è di aprire uno studio tutto mio, ma penso che prima dovrò fare un po' di gavetta lavorando per qualcun altro» afferma con aria rassegnata, come se il suo destino fosse inevitabilmente già segnato.

Faccio il caffè, mentre Carlotta continua a parlarmi dell'università, di Lorenzo e di aneddoti di qualche sua amica. Io annuisco, commento il minimo indispensabile per farla continuare a parlare, senza sforzarmi più di tanto. A un tratto si zittisce e mi guarda negli occhi.

«Stai bene? Non ti ho mai vista così, sei strana.»

Non so se è il suo sguardo compassionevole o il bisogno di tirare fuori parole di indignazione rinchiuse per giorni, ma inizio a piangere. Le racconto di Fabio, del fatto che è andato oltreoceano e che non lo rivedrò mai più.

Carlotta mi sta ad ascoltare come non avrei pensato. Non mi interrompe una volta, capisce che necessito di buttare fuori tutto questo tormento, si limita fare espressioni di sdegno o di tristezza, facendomi sentire tutta la sua partecipazione. È incredibile quanto a volte riusciamo ad aprirci più facilmente con estranei, con persone di cui non temiamo il giudizio o di cui non conosciamo già l'opinione.

«Quindi a Fabio non viene in mente di dirmi questo piccolo particolare per tutta la serata, però ovviamente se ne ricorda dopo che mi ha baciata» le spiego. «E se ne esce con un "lascia tutto e vieni con me". Inconcepibile!»

Carlotta mi osserva per capire se ora può dirmi la sua opinione. Io chiudo la bocca, le lascio spazio per parlare.

«Perché non vai con lui?» chiede con semplicità.

Sotto gli occhi delle nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora