Parte 3 - Capitolo 30

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Non passano neanche ventiquattro ore dalla conversazione con mia madre che già sono nella mia stanza a Roma. Le mie coinquiline non ci sono, la casa è vuota e silenziosa, così come tutta la città. Non mi sforzo neanche di andare al supermercato, mangio pasta in bianco e riso per tre giorni, passando la maggior parte del tempo sul letto a cercare di dormire. Come se ogni volta sperassi di svegliarmi e scoprire che niente di quello che è successo è reale. O perlomeno, svegliarmi ritrovandomi cinque o dieci anni nel futuro, quando Fabio finalmente non sarà più nella mia mente.

Dovrei uscire, continuare la stesura della tesi, che è ferma a pagina otto, farmi una doccia, portare fuori la spazzatura che con il caldo sta facendo una puzza tremenda. Ma non ho voglia di fare niente, non trovo la motivazione per nessuna cosa, grande o piccola che sia. Il minimo sforzo mi pare una montagna da scalare.

Passano i giorni, le settimane, non so neanche più che giorno sia. Roma comincia a ripopolarsi di studenti e di autoctoni rientrati dalle ferie, sento le voci chiassose dei vicini, dei passanti, i rumori delle auto ricominciano a riempire il silenzio delle strade. Le vacanze sono finite, tutto per loro tornerà alla normalità, non so se sarà lo stesso per me.

Stasera sono a casa a scrivere la tesi, quando mi arriva un messaggio. È Fabio.

Sto per partire. Non so cosa starai pensando, ma so quello che provo io: non sono al settimo cielo come pensavo che sarei stato. Fino a prima di rincontrarti, mi immaginavo che il giorno della partenza sarebbe stato uno dei più belli della mia vita. Ma non è così. Ti penso tanto.

Getto il cellulare di lato, inizio a singhiozzare. Sta per partire, il maledetto giorno è arrivato. Mi metto le mani tra i capelli, mi vengono i conati di vomito. Vado in bagno, mi accascio sulla tazza, ma non esce niente. Mi guardo allo specchio, i miei lineamenti sembrano così diversi, come se fossero stati storpiati dal dolore di settimane. Ho bisogno di sentirlo per un'ultima volta.

Torno in camera, riprendo il cellulare e senza esitazione alcuna, lo chiamo.

«Nina!» esclama lui sorpreso.

«Ti odio, ti odio, ti odio...» non smetto di ripetergli piangendo.

«Piccola mia, non avrei mai voluto causarti così tanto dolore.»

«Non sono la tua piccola e non lo sarò mai!»

Vorrei cambiare il corso degli eventi, avere il potere di portare indietro il tempo, ad anni fa, non rifarei gli stessi errori, vorrei avere un'altra opportunità per cambiare tutto. Ma non è possibile. Mi sento terribilmente impotente.

«Vieni con me» dice interrompendo i miei singhiozzi. «Vieni con me, Nina» ripete con convinzione.

Io scuoto la testa, mi passo la mano sulla faccia e sui capelli, non ci sto più capendo niente.

«Non posso, Fabio. Devo laurearmi, devo trovare un lavoro...»

Lui mi interrompe.

«Laureati, e poi troverai qualcosa là con me. Il Canada è un Paese fantastico, con le tue capacità troverai sicuramente qualcosa. Ti aiuterò io. Vieni con me.»

«Ma non posso lasciare tutto in questo modo, Fabio» controbatto. Sono così confusa, mi sento mancare l'aria, mi viene da svenire. «Come faccio a correre un tale rischio? Non so se me la sento di essere così lontana dalla mia famiglia, di scommettere tutto su di noi, senza neanche sapere chi sei diventato.»

«Ti chiedo solo di pensarci. Ti prego. Fallo per me. Fallo per noi.»

«Ma non c'è un noi!» grido.

Il senso di impotenza non mi dà pace.

«Ma ci potrebbe essere. Dipende solo da quello che vogliamo. Dimmi che ci penserai.»

Il silenzio incombe su di noi, cerco di immaginarmi come il tutto potrebbe funzionare. Non vedo un facile rimedio, ma solo un enorme muro di fronte a me, che mi separa da lui e che non penso riuscirò mai ad abbattere.

«Addio, Fabio. Buon viaggio.»

Sotto gli occhi delle nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora