5) Confessioni

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Simone non aveva la minima intenzione di tornare a casa. Sa che prima o poi dovrà affrontare suo padre, ma spera di beccarlo il più tardi possibile perché di dare spiegazioni sul motivo per il quale si ritrova con un labbro spaccato non ne ha voglia.
Gli fa male.
Non ci vorrebbe pensare più.
Vorrebbe, con uno schiocco di dita, cancellare tutto quello che è successo e anche le sue sensazioni, la paura di non riuscire più a respirare e di morire, la voglia di piangere e non fermarsi più.

“Simò, io lo so che adesso non te ne frega, però non va bene sta cosa”
Sono seduti su un muretto, con un panino a testa in mano e una Coca poggiata accanto a loro. Nessuno dei due aveva ancora mangiato, e Simone ha pensato che fosse giusto quantomeno offrirgli un panino, dopo aver attraversato Roma per portarlo in giro.

Il suo motorino lo ha lasciato a scuola. Ha solo pensato di salire dietro Manuel, aggrapparsi e chiedergli di guidare “Dove vuoi, basta che non sto da solo”, senza una meta precisa, solo perché non voleva tornare a casa e non voleva restare solo. Senza di lui, in realtà, ma questo non poteva specificarlo.
E Manuel l’ha accontentato, lo ha portato in giro per Roma senza sapere dove andare di preciso per ben mezz’ora, o forse di più; ogni tanto si assicurava che fosse tutto ok, per poi proseguire con il vento tra i capelli.

Poi si sono fermati, e Manuel non ha più intenzione di restare in silenzio, nonostante Simone gli sia sembrato fin troppo scosso, da quello che è successo. Vorrebbe non essere duro, ma allo stesso tempo non sa se ne sarà in grado.

“Hai capito?” insiste. “Lo devi dire a qualcuno, è grave quello che è successo”
“L’ho detto a te. Va bene così”
“No, non va bene così. Se tu stai zitto, quelli lo rifanno altre volte”

Simone alza le spalle, fissando il vuoto davanti a sé, con il panino ancora intero in mano. Lo ha preso per fare compagnia a Manuel, ma in realtà nessuno dei due aveva così tanta fame.

“Possono fare quello che vogliono. Tanto non ci torno, a scuola”
“Ma che cazzo dici?”
Ora si guardano, e gli occhi di Simone sono peggio del solito. Spenti e feriti.

“Senti, è stato complicato. Non mi era mai successo, e io non voglio rivivere una cosa del genere”
“Ma non la rivivi, se ne parli con qualcuno. Ti accompagno io, li facciamo sospendere a quei coglioni e così forse la smettono di fare le merde”
“No, tu sei pazzo. Pure la spia, mi vuoi far fare? Così aggiungono un altro insulto alla lista”
“Non aggiungono un cazzo, Simò. T’hanno menato”
“Pure a te. Ma non mi pare che hai denunciato qualcuno”

Manuel resta immobile. Lo guarda dritto negli occhi e si lascia scappare un piccolo sorriso spento.

“Tu riesci a fare lo stronzo solo con me, vero? E poi con quelli manco te difendi”
“Non faccio lo stronzo”
“Sì, che fai lo stronzo. Non sai un cazzo di me e pensi de risolve qualcosa”
“Fai lo stesso con me”
“No, io non faccio lo stesso con te. Tu mi hai chiamato, mi hai raccontato tutto e sto cercando di aiutarti. Tu di me non sai niente perché io non ti voglio dire niente e devi farti i cazzi tuoi, non capisci un cazzo! Non sai un cazzo!” lo pietrifica con quelle parole urlate di cui si pente il secondo dopo. “Scusa…”
Questa volta, però, Simone non lo manda a fanculo dicendogli che è uno stronzo egoista. Questa volta lo guarda e annuisce, senza staccargli mai gli occhi di dosso.

“Piangi” un sussurro deciso, quello di Simone, inizia a far vacillare Manuel che lo guarda terrorizzato.

“Piangi.” è un ordine. Delicato e con la volontà di procurargli un piccolo sollievo.

Le lacrime iniziano a scivolare sulle guance di Manuel che non è affatto abituato e non sa come gestire una cosa del genere. Ha sempre e solo pianto da solo, nemmeno troppe volte. Perfino con se stesso ha la capacità di restare integro.

Stammi vicino [Simuel]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora