Cap. 7 Sulla nave verso Alisopoli

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"Unima ...
mia terra ... lieve e soffice accoglie le stanche membra, ottimista e briosa guida con dolcezza materna per i sinuosi sentieri ove per sempre amerò perdermi, onesta e gentile mi conforta soffiando le lacrime; unica maternità che mi è stata concessa, perché solo tu sei stata leale con me nonostante tutto, malgrado il desiderio di amore soffocasse i miei pensieri più innocenti mutandoli in rabbia che sfuma sulle ferite. Colui o colei che ha scelto il tuo nome stava di sicuro pensando all'anima, perché si, tu sei l'anima della vita delle tue creature, la loro forza vitale, il mio sostegno ed è per te che mi sono sempre battuto e continuerò a farlo anche quando sarò imprigionato contro la mia volontà e torturato dai tuoi nemici affinché io ti tradisca; finché ci sarà vita in me mai accadrà, nessuno potrà privarmi dell'amore infinito che mi hai donato e della fedeltà nei tuoi confronti che custodirò in eterno".
   
    Riflettevo sulla mia esistenza, osservando le ombre della riviera al porto di Soffiolieve inchinarsi sulla tavolozza azzurra, adornata di vele bianche oscurate dall'ombra della motonave da crociera delle coste del sud di Unima.
Il mare tingeva il manto ondulato di rosso sotto la luce crepuscolare e i suoi cristalli di schiuma luccicavano come diamanti sulla costa frastagliata. Una moltitudine di bambini giocava felice e inconsapevole correndo tra gli attracchi del molo, e riuscivo a sentire anche da lontano il sussulto delle loro madri terrorizzate all'idea che potessero cadere in acqua. Ascoltare la voce di una madre che grida spaventata per la sorte di un figlio è la musica più bella in cui sovente mi perdevo per giornate intere; le mani strette dei padri, che quasi sul punto di stritolare quelle minuscole dei pargoli, preservando con coraggio l'anima dei loro doni più preziosi, mi fa rimpiangere di non essere mai diventato sordo o storpio per amore.
    Quando mi trovo innanzi a tali bellezze, chiudo gli occhi pensando che in quella mano stretta o nel raggrinzimento improvviso provocato da quella voce preoccupata, potrei esserci io. Non saprò mai se ci fossi passato ma speravo un giorno di provare almeno per una volta, cosa significasse essere un figlio amato, prima di poter diventare un padre disposto ad amare.
    Mi chiamo Natural Harmonia Gropius e tutti ad Unima mi conoscono come N l'ex sovrano del Team Plasma. La mia storia è parecchio complicata e volevo fare un po' di chiarezza.
Raccolto ed adottato dal peggior criminale della storia di Unima, sono stato cresciuto con un'educazione regale e severa, per poter essere destinato come re alla successione della nobile casata degli Harmonia, di cui Ghecis Harmonia Groupius, il mio padre adottivo, è uno degli ultimi discendenti. Chiuso per quasi quindici anni all'interno della mia stanza, privato di ogni contatto umano per affinare la mia capacità di sentire le voci interiori dei Pokémon e probabilmente per tenere nascoste le mie vere origini, sono stato cresciuto inseguendo un sogno: liberare tutti i Pokémon dal malvagio giogo degli esseri umani, che mio padre mi aveva sempre descritto come elementi malvagi e sfruttatori di queste povere ed indifese creature.
Durante gli anni della mia reclusione in casa, non ho avuto nessun contatto umano, a parte le due ragazze che mi hanno cresciuto, affinché potessi mantenere un cuore puro ed uno spirito arricchito da un ideale di libertà: creare un mondo dove umani e Pokémon potessero vivere separati, per il bene di tutti. Una vera e propria follia quella di dividere due razze che coesistono da sempre e non possono fare a meno l'una dell'altra, perché congiunte da un legame naturale. Io per primo non riuscirei a separarmi da Zoroak.
Ogni giorno, Ghecis portava nella mia stanza Pokémon feriti o sofferenti a causa dell'uomo, per struggermi l'essere ed alimentare l'astio verso i miei simili. Le notti insonni passate ad accudire quelle creature ferite, mi avevano consumato l'anima forzandomi a scardinare i miei ideali. Una volta adulto, avevo preso la decisione di aiutare mio padre a realizzare quel sogno, senza sapere che invece era lui che stava sfruttando me per realizzare il proprio: sottrarre i Pokémon alle persone affinché solo il Team Plasma potesse disporne per governare Unima.
Quando finalmente mi era stato concesso di uscire dalla mia stanza, avevo viaggiato per la regione, seguendo mio padre nella predicazione dei suoi ideali, che io appoggiavo perché ritenevo nobili. L'unico modo per raggiungere il nostro obbiettivo era quello di convincere quante più persone possibile - facendo leva sulla loro coscienza tanto da indurli a provare dei sensi di colpa - a liberare i Pokémon spontaneamente. Non tutti però erano disposti a separarsi dai loro compagni e per abbattere questa resistenza, il Team Plasma aveva iniziato a ricorrere a dei veri e prorpi furti. Quando ero divenuto campione della Lega, gli allenatori che venivano a sfidarmi per tentare di strapparmi il titolo, come regola da noi imposta, dovevano lasciare i propri Pokémon.
Nessuno aveva il diritto di rinchiuderli nelle Pokéball o tenerli per sé quindi la soluzione, l'unica possibile era quella di provocare quella frattura. Dietro a tutta quella apparente benevolenza tuttavia, si nascondeva il falso profeta, il mostro che aveva dilaniato la mia vita, e quella della mia gente con l'inganno. Quello che io desideravo era la libertà dei Pokémon non comprendendo invece che essi amavano stare con i loro allenatori, proprio come Zoaroak ama stare con me.
Per aiutare mio padte nell'impresa, dovevo accumulare potere agli occhi della gente ed avere al mio fianco Pokémon potenti. Avevo risvegliato Zekrom dal suo sonno millenario presso la Torre Dragospira, utilizzando lo Scurolite sottratto dal museo di Zefiropoli, diventando l'eroe degli ideali. Avevo conquistato la Lega Pokémon come campione assoluto in modo da rendere la mia figura di re un simbolo in cui credere, affinché la gente mi vedesse come un esempio da seguire.   
Dopo il mio scontro con l'eroe della verità, il quale aveva risvegliato Reshiram dal Chiarolite - e mandato dalla popolazione per sconfiggermi - i miei ideali erano stati abbattuti e la verità mi aveva aperto gli occhi. Mio padre, la persona che più amavo e in cui per anni mi ero rifugiato alla ricerca di amore mi aveva tradito. A lui non importava nulla dei Pokémon e di me, il suo scopo era quello di ottenere un potere indiscusso. Quel giorno ero crollato, fuggito, scomparendo per due anni, ricercato dalla polizia.
Dopo quel lungo periodo del mio girovagare alla ricerca di me stesso, ero tornato per fermarlo, perché non aveva abbandonato il suo sogno di potere e si era rifatto vivo con un nuovo piano di conquista. Insieme all'eroe della verità, il ragazzo di nome Alcide che al fianco di Reshiram aveva sconfitto me e Zekrom in combattimento due anni or sono, avevo messo fine ai piani di conquista di Ghecis, il quale nel frattempo aveva sparso terrore ad Unima congelando le città ed i loro abitanti, servendosi del potere di Kyurem, il drago originario che domina il ghiaccio.
Una volta sconfitto il Team Plasma mi ero consegnato alla giustizia. Dopo essermi ripreso dalla battaglia in cui Ghecis aveva tentato di uccidermi per il mio tradimento, ero stato condannato a cinque anni per i crimini commessi. Avevo avuto una pena molto ridotta per la mia collaborazione con e per il fatto di essere stato considerato quasi al pari di una vittima, ma per motivi che non ho mai confidato a nessuno, dopo un anno di detenzione mi era stato concesso di scontare la pena presso il centro di recupero per Pokémon di Alisopoli.
Vi starete chiedendo allora che cosa ci faccio in giro per Unima invece di starmene al mio posto. Ho lasciato il rifugio perché ho una missione, che come la voce delle sirene per i marinai è un richiamo irresistibile e non riesco ad ignorarlo, e sono disposto a portarla a termine anche al costo della mia libertà o della mia vita. Scappo continuamente dalle mie paure ma non si può fuggire in eterno, quanto piuttosto continuare a correre verso qualcosa che però sembra scivolarmi incessantemente tra le dita.
    Dopo il mio modesto pranzo in compagnia del mio soccorritore preferito che a malincuore avevo dovuto abbandonare, ero rimasto a corto di soldi. Offrirgli il pasto era il minimo per sdebitarmi per tutto quello che aveva fatto per me. Andai alla ricerca di lavoro, - arrancando a fatica dopo quel giorno terribile all'ex deposito - in lungo ed in largo per la regione visitando aziende e privati, sperando che a qualcuno servissero le mie competenze informatiche, ma non avevo avuto molta fortuna. Lavoravo in nero e la cosa non mi aiutava ed in più dovevo stare attento a non farmi riconoscere a causa della segnalazione fatta dal capitano Evan. In passato avevo fatto il cameriere ed avevo un po' di esperienza nel settore, ma col braccio in quelle condizioni nessuno mi avrebbe fatto lavorare.
Dopo la mia sfortunata (o fortunata) visita alla mia città natale Forteverdepoli, avevo preferito spaziare verso orizzonti più lontani. Avevo una spalla fuori uso e grossi lividi su tutto il corpo dopo gli scontri con il Team Plasma. Le ferite erano quasi guarite ma avevo bisogno di un posto sicuro in cui riprendermi in tranquillità, così avevo preso la decisione di ritornare momentaneamente ad Alisopoli, l'unico posto in cui non avrei dovuto nascondermi. Non mangiavo decentemente da quattro giorni ed ero andato avanti nutrendomi di frutta, bacche e radici che per fortuna conosco bene; iniziavo a sentire però la debolezza per la mancanza di proteine. 
    Avevo saputo che sulla motonave da crociera Regina dei Mari, in transito dal porto di Soffiolieve, cercavano una figura con competenze informatiche ed elettroniche, così, spinto dalla fame e dalla voglia di riposo, ero andato dal comandante supplicandolo di prendermi a bordo fino allo scalo di Alisopoli, in cambio dei miei servigi. Il comandante, forse vedendomi in difficoltà, aveva accettato senza null'altro chiedermi se non il mio nome e questo era stato davvero grandioso, un colpo di fortuna. Non mi avrebbe pagato granché ma almeno sarei potuto andare avanti giusto il tempo di arrivare ad Alisopoli.
    Finalmente m'inerpicai  su quella scaletta, sostenendomi con il braccio buono e mentre salivo, sentii alcuni ragazzi dietro di me parlare delle leggende di Unima. La cosa mi incuriosì parecchio.
Discutevano proprio di Reshiram e di Zekrom, i due draghi che in origine erano stati scoperti sottoforma di pietre dette chiarolite e Scurolite, nelle profondità del Castello Sepolto, un'antica struttura sotto il livello del Deserto della Quiete e su cui molte persone assetate di potere, tra cui il Team Plasma, avevano tentato in passato di mettere le mani, iniziando guerre e creando scompiglio in quella meravigliosa e florida terra. Si dice anche che i due draghi considerati leggendari, fossero all'origine della creazione di Unima e per questo motivo ne erano considerati tutt'oggi i protettori. Mi venne da sorridere e per come ne parlavano si capiva che non fosse gente appassionata.
    Giunto quasi in cima alla scaletta senza nemmeno rendermene conto, mi ero fermato bloccando la fila, incuriosito dal loro parlottare a ruota, così si scontrarono con me.
Mortificato cercai di scusarmi.  
«Perdonatemi ragazzi, ero sovrappensiero e mi sono fermato. Sono desolato».
    Alzarono gli occhi e mi sorrisero, imbarazzati, ridendo tra di loro. Non gli avrei dato più di sedici anni ciascuno ed ognuno di loro portava un Pokémon con sé.

Per sempre mio fratello ~ Pokémon Nero e Bianco ~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora