Cap. 26 Solo per vendetta

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Quando mi destai in preda a spasmi di sudore e a uno stato confusionario, la prima cosa che sentii fu il profumo del mare, seguito dal rumore delle onde che provenivano dall'esterno del soffitto sfasciato, degli ormai in disuso laboratori P&P. Come avrebbe fatto qualcuno a raggiungermi lì, sempre ammesso che scoprisse dove mi tenevano prigioniero, ancora una volta, come in un incubo che non finiva mai?
Mi sollevai dal pavimento trascinandomi verso qualcosa dove poggiare le spalle e ritrovai quei luoghi pieni di attrezzature che un tempo io stesso avevo finanziato, per dare inizio al disastroso progetto. Quanti soldi sprecati che invece avrei potuto utilizzare per aiutare la mia gente! Allora ero solo un ragazzino che non pensava altro che al suo sogno, assecondando tuttavia quello di un falso genitore. Adesso l'isola era la prigione che chiedeva il conto all'anima.
Ricordavo che il laboratorio fosse stato distrutto quando i Genesect si erano ribellati ai loro creatori, adesso però, qualcuno lo aveva ricostruito e presto mi fu chiaro che quel luogo fosse tornato a plasmare terrore.
Stringevo i denti per sopportare il dolore al braccio malridotto, gemendo e sudando per il caldo, mentre guardavo i Genesect tenere d'occhio ogni mio movimento da diversi punti della sala.
Lei si alzò in piedi e venne verso di me: non riuscivo a smettere di amarla pur soffrendo nel vedere quello che mi aveva fatto, trasformando due giorni felici in un incubo.

    «Come ti senti?» ebbe il coraggio di chiedermi non appena mi vide aprire gli occhi.

    Sentivo di avere il viso gonfio a causa dei colpi poco amichevoli che avevo incassato da suo padre ed ero nero per il disappunto perché odiavo essere preso a colpi sulla faccia. Percuotere il viso di una persona indifesa, equivale a colpire il fulcro delle sue forze vitali; uno schiaffo ha la capacità di spegnere il sorriso e far perdere la fiducia in se stessi, un calcio può far sentire schiavo di un sistema disumano che non conosce altro se non la violenza per abusare. Le stesse sensazioni le avevo provate in carcere e le ricordavo ancora con disprezzo quando si ripresentavano sottoforma di vendetta. Non riuscivo a dire nulla ma solo con la mia espressione, le mie domande potevano riassumersi in una sola parola: perché?

    «Mi dispiace ...» si giustificò lei decifrando i lineamenti del mio viso; non capivo come si sentisse davvero, se fosse dispiaciuta o spaventata. «Non doveva andare in questo modo. Mio padre ha chiamato la polizia, sarà qui presto e verrai curato in ospedale» disse infine.

    «Davvero sei così ingenua?» risposi amareggiato. «Tuo padre non ha nessuna intenzione di consegnarmi alle autorità; per quale motivo mi avrebbe portato fin qui? Poteva avvertire la polizia della mia presenza già ieri e cogliermi di sorpresa quando ero nel tuo appartamento visto che sapevate chi fossi».

    «Non capisco a cosa ti riferisci».

    «Secondo te che cosa ci vuole fare con i Genesect?»

    «Te l'ho già spiegato, rappresentano il suo progetto».

   «Il suo progetto per l'umanità, certo. Andiamo Ginevra!»
    Le parole mi si strozzarono in gola. Gemevo ad ogni respiro e mi sentivo debole a causa del sangue perso. Si avvicinò a me mossa probabilmente da compassione, per controllare lo stato della mia ferita.

    «Mi dispiace tanto. Se tu non avessi tentato di scappare questo non sarebbe successo».

    «E cosa avrei dovuto fare? Non ha significato niente per te il nostro incontro?» chiesi tenendo gli occhi fissi su di lei e continuando a chiedermi il motivo per cui non avevo diritto nemmeno ad un giorno di respiro su questa terra.

    «Sei scappato dal rifugio, il tuo posto non è qui».

    «So bene che dovrei essere lì e credimi, ci sarei rimasto volentieri. Sono dovuto andare via perché il Team Plasma mi da la caccia e ha minacciato di far del male alla gente di Alisopoli. Non posso stare al rifugio, metterei tutti in pericolo!».

Per sempre mio fratello ~ Pokémon Nero e Bianco ~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora