Cap. 30 Il villaggio di Akiko

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Una piacevole sensazione di freschezza avvolse il mio risveglio, all'alba di quel chiarore dorato adornato di nuvole rosa e arancioni.
Stirai gambe e braccia come non facevo da almeno due giorni, mi sentivo come rinato; eppure, ero andato fin troppo vicino alla morte che vi lascio immaginare la sensazione di libertà quando dopo aver fatto istintivamente un respiro profondo, non provai alcun disagio.
Girai la testa alla mia destra e lo vidi, con la mano poggiata sul mio petto. Dormiva profondamente, rannicchiato come un bambino intirizzito dal freddo della mattina presto. Presi la sua mano e la scostai delicatamente, poi mi alzai e gli misi addosso una coperta cercando di non svegliarlo; mi chiusi in bagno e inizia a sciogliere tutte le fasciature che mi avvolgevano fino rimuoverle completamente. La mia pelle era risanata, sul mio corpo e sul braccio non c'erano segni evidenti di quello che mi era successo ed ero completante guarito. Che le cure del villaggio dei draghi avessero effetti miracolosi sulla salute? Non credo proprio e non era la prima volta che le mie ferite si erano misteriosamente rimarginate quando mi trovavo in sua presenza.
Mentre facevo scorrere l'acqua della doccia, sentii la porta del bagno aprirsi.

    «Natural ...? Che cosa ci fai alzato?»

    «Faccio una doccia e arrivo».

    «Stai ... stai bene?»

    «Si Virgil, arrivo subito».
    Dopo una bella doccia fredda, di quelle che desideravo fare da giorni, ne uscii rinnovato. Mi infilai l'accappatoio e tornai in camera per vestirmi. Mi scontrai con lo sguardo sconcertato di Virgil, il quale mi fissava senza che gli uscissero le parole di bocca. Sapevo già cosa stesse pensando, così lo anticipai.
    «È successo di nuovo».

    «A cosa ti riferisci?»

    Eravamo entrambi confusi e mentre mi rivestivo, iniziammo a parlarne, quando poco dopo, il padre di Akiko chiese il permesso di poter entrare. Sedette di fianco a noi e notammo la sua espressione soddisfatta e molto compiaciuta.
    «Vedo che ti sei ripreso Natural. Allora, come ti senti oggi?»

    Distratto dagli innumerevoli pensieri, che da quando mi ero svegliato avevano iniziato a vorticare freneticamente in testa, mi sentivo a disagio e non sapevo cosa dire.
    «Che cosa mi è successo?» chiesi toccandomi le membra risanate dopo la notte di ristoro.

    La signora si affacciò nella stanza e ci invitò a fare colazione in cucina, a base di frutta e dolci preparati da lei. Ci accomodammo al tavolo e lei ci servì dei ricchi piatti, poi rivolse lo sguardo verso Virgil.
    «Perché non provi a chiedere a lui che cosa sia successo?»

    «A me?» si stupì Virgil mentre quasi lasciava scivolare la sua fetta di torta dalle mani. «Che cosa c'entro io con tutto questo?»

    Si vedeva che fossimo entrambi confusi, ma dopo che raccontammo loro un episodio simile, iniziarono a darci dei chiarimenti in merito e quello che dissero ci lasciò esterrefatti.
Isha iniziò a narrare di arcaiche leggende. «È noto di come gli abitanti dei villaggi come il nostro siamo anche chiamati domadraghi ed essi esistono da sempre, fin dalla creazione del primo villaggio. Alcuni degli antichi domadraghi erano dotati di poteri straordinari, tra cui quello di guarire le ferite dei propri simili. Un tempo intere famiglie di questi uomini e donne vivevano insieme in villaggi come quello nostro, ma molto più arretrati rispetto ad oggi. Le risorse per nutrirsi erano limitate, così come le conoscenze per curarsi.
È vero che ti abbiamo somministrato diversi rimedi efficaci per farti scendere la febbre e curato l'infezione ma è altrettanto vero che il tocco di una mano sincera e che esprime profonda amicizia verso un altro domadraghi, si è rivelata fondamentale affinché le tue ferite si chiudessero».

    «Sta dicendo che sarei stato io a guarirlo?»

    «A guarirlo è stato il profondo affetto che tu provi disinteressatamente per lui mio caro Virgil, perché tu credi nel suo operato. Dopo la prima grande guerra di Unima molti villaggi si sciolsero e i Domadraghi si dispersero per la regione; alcuni migrarono all'estero pur di sfuggire ai suplizi della guerra e così, questi Domadraghi si sono rifatti una vita al di fuori del villaggi, con la conseguenza che ve ne sono molti sparsi per il mondo».

    «State dicendo che io sarei uno di loro?» chiese Virgil irrigidendo il corpo.

    «Non possiamo esserne sicuri ma visto quello che hai fatto è molto probabile» rispose Isha.

   Virgil scosse la testa. «Impossibile ... non ho mai avuto a che fare con Pokémon di tipo drago, non ne ho mai allevati».

    «Questo non significa nulla. Un tempo i poteri dei Domadraghi erano utilizzati quotidianamente dai loro portatori mentre oggi i loro discendenti non sanno di esserlo e di conseguenza si accorgono del dono che portano dentro, solo quando esso si manifesta. Ti è capitato altre volte di guarire una ferita, anche inconsapevolmente?»

    «Non mi era mai successo in ventuno anni di vita, non che io ricordi almeno».

    «Ogni cosa si manifesta quando è il momento giusto».

    La conoscenza e la saggezza dei capi del villaggio riguardo ai Domadraghi e i loro doni era sconfinata e che Virgil potesse essere uno di loro mi dava soltanto delle conferme che però avrei ancora dovuto verificare. Era straordinario come grazie a lui la mia vita fosse migliorata in tutti i sensi.
Il capo del villaggio prese la mia mano stringendola con entrambe le sue, poi chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
    «Pare che tu sia passato dal lato oscuro attraverso molte battaglie per giungere finalmente alla luce. Tu sei il maestro drago per eccellenza. Così giovane e così pieno di talento, mentre qui ...»
Afferrò anche la mano di Virgil «... qui ci sono delle potenzialità ancora sconosciute che devono essere tirate fuori».

    «Che potenzialità?» chiese Virgil incuriosito da quella discussione.

    «Non lo so con precisione ma sento che Unima è dentro di te; il tuo cuore batte per questa terra, tu sei destinato a grandi cose».

    Isha unì le nostre mani e ci guardò dritto negli occhi.
    «Voi siete amici?»

    «Si ... » rispondemmo in coro, scambiandoci un breve sguardo dopo un attimo di esitazione.

    «Ovviamente ... anche se avete storie diverse alle spalle, i vostri cuori battono all'unisono e sono certo che la musica che ne verrà fuori, comporrà una bella melodia, un inno di pace e di speranza per questa terra». Lasciò le nostre mani e si rilassò sulla poltroncina bassa da cui si era momentaneamente alzato per avvicinarsi a noi. «Qualcuno di voi conosce la storia del Pokémon confine arrivato sulla terra molto tempo fa?»

    Avevo sempre approfondito la storia di Unima dato il compito che mi ero apprestato ad adempiere per conto di mio padre e si, conoscevo la storia. Quando però si ascolta lo stesso racconto per l'ennesima volta, da persone da cui non l'hai mai sentito, esso si arricchisce di particolari e sfumature che non si erano colte in precedenza, e la affronti con un grado di maturità e consapevolezza in più rispetto alla volta precedente.
Per questo motivo ero sempre disposto ad ascoltare senza mai annoiarmi; lo studio, lo stare sui libri avevano rappresentato un modo insostituibile di fuggire dalla realtà oppressiva che mi aveva sempre circondato tra quelle quattro mura, che avrei voluto abbattere con le mie mani e oggi che finalmente ci ero riuscito, non mi facevo scappare nessuna occasione appropriata per spaziare ancora.
Conoscevo leggenda secondo cui Kyurem, detto anche Pokémon confine, aveva diviso il suo corpo a causa di un litigio ma molti ignoravano in che modo esso fosse giunto sulla terra.

Per sempre mio fratello ~ Pokémon Nero e Bianco ~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora