Cap. 5 Vecchie conoscenze

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Ci rifugiammo all'ombra di un gruppo di fitti alberi. Eravamo stanchi, ansimanti per la corsa. Noah era distrutto dai dolori diffusi per il combattimento ma la spalla sembrava proprio tormentarlo e si sedette appoggiando le spalle contro un grosso tronco. Mi prodigai per rimettere in sede l'osso ma con scarsi risultati poiché provava così dolore che irrigidiva l'articolazione.
    «Se non rilassi il braccio non posso fare niente!» dissi spazientito dalla sua resistenza.

    «Ma fa male!»

    Troppo nervoso, ed ero sicuro che l'idea di ritrovarsi nuovamente in mia compagnia lo mettesse a disagio.
    «Lo capisco ... ma che cosa vuoi fare, rimanere col braccio a penzoloni? Ci metterò un secondo, tu girati dall'altra parte».
    Continuava a guardarsi intorno, probabilmente con la paura che sarebbero tornati per cercarci e questo impediva a me di procedere. Ebbi un'idea ed aguzzai l'ingegno: come avevo fatto altre volte in operazioni di soccorso simili, lo feci distrarre facendo un po' di scena. Mi finsi spaventato guardando verso una direzione e ci cascò, mentre io con un colpo deciso gli praticai la famosa manovra, a cui seguì un urlo acuto ed una faccia colta alla sprovvista. Lo zittii coprendogli le labbra.
    «Ah!» sospirai, terribilmente sorpreso da quella reazione a mio parere spropositata per un ragazzo di quell'età;
    «quanta scena!»

    «Mi hai massacrato accidenti!» mi rimproverò in modo secco.

    «Esagerato! È così che faccio con i bambini paurosi» dissi con tono ironico, per non ammettere che stavo trattenendo le risate. Non volevo offenderlo ma la sua reazione faceva troppo ridere e si era lamentato di meno quando Bartòn lo aveva steso come un bel tappeto persiano. Sarà stato l'effetto dell'adrenalina che mitiga il dolore.

    «Sei anche spiritoso adesso?» protestò imbronciato aggrottando le sopracciglia, dopodiché si stirò la pelle del viso con la mano sinistra fino ad alzarsi i capelli sulla fronte.

    «Scusami, ma non sapevo come fare» mi giustificai, anche se ero certo di aver fatto la cosa giusta. «Adesso va meglio?»

    Rilassò lo sguardo e si rese conto di aver enfatizzato troppo la reazione. Sorrise appoggiando nuovamente le spalle al tronco.
    «Decisamente ... ti ringrazio».

    «Sono io che devo ringraziare te, mi hai salvato la vita».

    «Allora mi sa che siamo pari».

    Allungò il braccio sano verso il suo zaino per aprirlo, ma con una sola mano ebbe difficoltà così lo aiutai. Le nostre dita si sovrapposero ed il suo sguardo schivo, forse imbarazzato rapì il mio.
Tirò fuori il mio tutore, che aveva piegato e conservato con cura e me lo restituì, ma io rifiutai.
    «Tienilo» gli dissi spingendolo leggermente con la mano «ti serve».
Glielo posizionai di nuovo ed un espressione di sollievo gli distese il volto. Con un sostegno a sorreggere il peso dell'arto avrebbe sofferto molto meno.
    «Dove hai imparato a lottare in quel modo?» gli chiesi incuriosito mentre gli aggiustavo meglio la fasciatura.

    «Solo istinto di sopravvivenza».

    «Davvero?» esclamai perplesso.
    «Quello che sai fare esula dal semplice fare a botte. Qualcuno ti ha addestrato».

    «Un corso di arti marziali ...».

    «Hai fatto il servizio militare?»

    «Beh ... si, ma con questo dove vuoi arrivare?»

     Le sue risposte così naturali avrebbero convinto chiunque ma non me. Continuava a nascondersi nelle profondità dei suoi sforzi mentali ma non infierii oltre perché lo vidi sanguinare dietro il collo. Mi avvicinai per toccarlo, portando la mia mano dietro la sua nuca e la ritirai rossa.

Per sempre mio fratello ~ Pokémon Nero e Bianco ~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora