Cap. 4 L'ex deposito frigo

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Il cielo offuscato di Unima – come la mia mente in quei giorni turbolenti – abbozzato da pennellate di nuvole bigie e vermiglie si stagliava beatamente ad alta quota. La brezza fresca del mattino all'alba mi scompigliava i capelli. Il rumore delle eliche del mio elicottero risuonava nel vuoto come il ronzio di uno sciame d'insetti, che, come una coltre scura, annebbia vista e pensieri.

Non dormivo bene da quattro giorni, benché ormai mi fossi ripreso dall'assalto a casa mia. Da quando Noah era piombato lì, non avevo smesso di avere strane e raccapriccianti visioni. Il mio corpo stava migliorando, ma non potevo dire lo stesso della mia mente. Avevo condiviso con un perfetto sconosciuto l'anfratto più doloroso della mia vita; mi ero aperto con lui e ancora m'interrogavo sulle ragioni. Quel viso pallido e senza difetti mi aveva sconvolto, intrecciando una matassa che non ero riuscito a sbrogliare, a causa di eventi inspiegabili che si erano abbattuti sulla mia famiglia.

Mio padre e mio fratello mi avevano raccontato che, dopo essere svenuto, Noah, molto dispiaciuto, era svanito in una coltre di nebbia, appena prima dell'arrivo della polizia. Era fuggito. Detesto essere piantato in asso dopo aver dato tutto per aiutare, senza una valida motivazione, e odio chi si prende gioco dei miei sentimenti.

Sospettavo che volesse andarsene e non ero stato abbastanza attento alle sue esigenze; avevo cercato di prendere la questione con tatto, ma non era bastato. Doveva andarsene per custodire un segreto doloroso, forse quanto il mio, o forse di più. Se fossi riuscito a farlo aprire, forse adesso non mi troverei qui, con la cloche in mano e lo sguardo perso nel vuoto, a chiedermi se avessi fatto bene il mio dovere.

La mia missione, quella per cui mi spendo e per cui ho rinunciato al mio vero sogno, è aiutare le persone, non farle scappare intimorendole solo per fare la parte di chi ci sa fare. La parte razionale del mio lavoro mi rende freddo, anche di fronte alle difficoltà interiori che la gente si porta dietro; spesso i problemi più difficili da risolvere si nascondono in profondità, e io lo so bene perché ci sono passato.

Mi sono rifugiato nella squadra di soccorso perché mi sento in debito con la prima donna della mia vita, che si è sacrificata per darmi il meglio di un'esistenza dalle dinamiche complicate. Com'è dura imparare a far bene il proprio lavoro, e mi chiedo come faccia mio padre a sapere sempre come comportarsi in ogni circostanza. "È l'esperienza" mi ripete sempre, "e se ci metti il cuore, puoi fare la differenza". La differenza... mia madre credeva molto in questo concetto. Per spiccare il volo bisogna distinguersi, e per distinguersi bisogna lavorare sodo. Ci sto provando con tutte le mie forze... mamma... perdonami se non ho avuto la forza di realizzare ciò che mi stavi incoraggiando a fare. Da quando te ne sei andata in quel modo, ho perso la forza di librarmi in cielo e mi sono rifugiato dove la mia zona di comfort mi permetteva di non sforzarmi. Una persona speciale come te e come papà non meritava che il loro figlio fallisse. Perdonami, se puoi, e sappi che ti voglio bene.

Mi chiamo Virgil Evan e sono il figlio del capitano Jeff Evan, membro ufficiale della squadra di soccorso di Forteverdepoli. Sono un soccorritore di montagna, perlustro le cime dell'entroterra della provincia di Boreduopoli, vegliando sui viaggiatori che percorrono i sentieri delle profumate terre, attirati dalla natura o dall'ardore di realizzare i propri sogni; mentre li osservo dall'alto, prima di intervenire penso: "Chissà cosa bramano i loro cuori, quali sono i desideri più profondi, chissà se saranno così determinati da superare gli ostacoli che gli sbarreranno la via, chissà...".

Durante l'estate, quando il lavoro diminuisce perché le persone si spostano verso le località costiere, sono dedito alla manutenzione delle attrezzature, alla cura del ranch e all'allenamento. A volte capita di supportare le squadre di soccorso delle località marittime e ci spostiamo anche lontano da casa. Possiedo spiccate capacità mediche, ma ovviamente non sono un medico. Mi piace imparare per essere il più utile possibile quando mi imbatto in persone in difficoltà. Tuttavia, la mia vita scorre senza un vero scopo; amo il mio lavoro, ma ho la sensazione di essere un cilindro vuoto che continua a girare all'infinito senza mai essere riempito di sostanza. L'aria passa inesorabile da questo spazio che non riesco a colmare e le mie giornate non mi soddisfano appieno. Soffro, ma cerco di nascondere tutto dietro a una falsa sicurezza e un sorriso mimato.

Per sempre mio fratello ~ Pokémon Nero e Bianco ~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora