Si erano preparati per anni a tutto questo; avevano letto libri, avevano consultato psicologi, gli assistenti sociali, qualsiasi cosa o persona che potesse dare loro più informazioni possibili per gestire un’adozione, specialmente con una bambina di quasi cinque anni che ha già immagazzinato tanto e che non ha avuto un passato facile con la precedente famiglia.
Si erano promessi, ogni giorno della loro vita da quando avevano iniziato con le pratiche per l’adozione, che sarebbero diventati dei genitori impeccabili pur sapendo che qualche errore, per forza di cose, ci sarebbe stato prima o poi.
Dover far fronte all’imbarazzo iniziale, alla diffidenza della bambina per quel contesto totalmente nuovo, non aveva impedito a nessuno dei due di godersi quel momento.
Erano rientrati in casa, il primo giorno, con Irene tra di loro, nascosta un po’ dietro le gambe di Simone e una mano stretta debolmente a quella di Manuel.Uno zainetto lilla dietro le spalle con gli unicorni e lo sguardo perso, forse spaventato.
E Simone e Manuel si guardavano, cercando nell’altro un sostegno reciproco. Non le parlavano di continuo, non la tartassavano di domande, aspettavano che lei desse un piccolo segnale per approcciarsi lentamente alla piccola.Era stato Manuel a chiederle: “Ti va di vedere la tua stanza?”, e lei aveva annuito tenendo un pugno chiuso e stretto su una delle cinghie dello zainetto.
Aveva guardato quella cameretta tutta colorata come se fosse qualcosa di stupefacente, con le labbra socchiuse e un piccolo sorriso sul volto. Poi lei era andata a sedersi sul tappeto, prendendo tra le mani una bambola, sempre con lo zainetto sulle spalle. Ci aveva messo circa un’ora per fidarsi e lasciarlo tra le mani di Simone, che lo aveva poggiato poi accanto a lei.
La prima notte era stata un disastro, almeno secondo il parere di Manuel e Simone. Glielo avevano detto tutti, che c’era la possibilità che Irene non riuscisse a dormire tranquillamente; tutto quello che avrebbero dovuto fare era non lasciarla sola. Dovevano tranquillizzarla, se fosse servito anche stendersi accanto a lei, farle sentire di non essere sola.
Nella sua situazione, nello specifico, quel passaggio era fondamentale. Non era stata trattata bene dalla famiglia d’origine, e ne portava ancora alcuni segni sul corpo.
Per un attimo, quando l’avevano saputo, Simone fu colto da una paura immensa: quella di non essere in grado.Poi Manuel gli aveva preso la mano, in quel momento gli era sembrato lecito farlo. Lo aveva guardato e poi nient’altro.
“Ire, posso sedermi qui con te?”
Manuel la guarda a distanza, mentre lei è nella sua cameretta che gioca su quel tappeto, esattamente come ha fatto per una intera settimana. È la prima volta che Manuel è completamente solo con lei, perché con il lavoro aveva avuto più difficoltà di Simone e negli ultimi tre giorni era dovuto rientrare lasciando così soli Simone e la bambina.Oggi è successo il contrario, e si sente talmente in ansia da prendere ogni tanto un po’ di respiri senza farsi vedere da lei.
Irene annuisce, e Manuel si siede accanto al suo corpo minuscolo. La guarda e pensa di non aver mai visto niente di più bello: è riccia, con i capelli castani, il naso minuscolo e gli occhi verdi.
L’ha vista sorridere poco, fino ad ora, perché il broncio sembra avere sempre la meglio, ma avevano detto loro anche questo.La fiducia non avrebbero potuto pretenderla fin da subito, così come il bene nei loro confronti.
“Lo so che ti piace tantissimo giocare con questa bambola, ma io ho un’idea bellissima! La vuoi sapere?”
Riesce ad ottenere la sua attenzione immediatamente. Le sorride. Anche questo, glielo avevano detto, ma non sarebbe servito.
Lo avrebbe fatto a prescindere.
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No Hero [Simuel]
FanfictionUn matrimonio messo a dura prova da un errore che sembra insormontabile. Ogni giorno, pezzetto dopo pezzetto, Simone e Manuel dovranno cercare di rimettere in piedi tutto quanto.