10) Lasciati andare

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“È il primo giorno di scuola di Irene o il tuo?”
Manuel lo guarda ed è sfinito da tutta quella bellezza che è costretto a guardare ogni giorno della sua vita senza poterla toccare.

Anche adesso, mentre Simone è davanti allo specchio e sistema la camicia, vorrebbe prenderlo e dimenticare tutto il mondo fuori, chiudendosi in camera con lui e uscire dopo ore.

“Perché? Troppo elegante?”
“No, sto scherzando. Stai bene. Il problema adesso è lei”
Gli indica con la testa la direzione della cucina, in cui c’è Irene ancora in pigiama, con gli occhi semi chiusi, i cartoni in tv e la tazza con i panda davanti a sé sul tavolo da cui prende cucchiaiate di latte e cereali al cacao.

“Sta procrastinando. Mi ricorda qualcuno” sospira Simone, riferendosi a Manuel che la mattina vorrebbe solo restare ad occhi chiusi e restare nel letto. Poi si alza sempre perché ha dei doveri, dal lavoro a Irene, ma se potesse farebbe iniziare le giornate alle 10.

Manuel butta gli occhi al cielo, seguendolo in cucina da Irene.

“Ire, non ti voglio mettere fretta però dobbiamo ancora lavarci e vestirci”
“Papà, ho sonno”
“Lo so, ma vedrai che poi ti divertirai tantissimo. Tanto oggi è il primo giorno di asilo, devi stare poco tempo da sola, all’inizio ci saremo anche noi. Conosci le maestre, nuovi amici…”
“Io non mi diverto, all’asilo”
“Però questo è un nuovo asilo… secondo me ti piacerà molto”
“No”

Simone guarda Manuel. Solitamente riuscirebbe a gestire una situazione simile, ma oggi si sente stanco, sfinito, la notte non aveva chiuso occhio perché Irene si era svegliata piangendo per l’ansia dell’asilo, aveva perfino fatto la pipì al letto e non era mai successo prima.

Così l’avevano cambiata e lei aveva voluto dormire tra di loro nel lettone. Da quel momento in poi si era tranquillizzata, ma Simone no. Simone era stato colto dall’agitazione di quella cosa.

Per questo adesso sta chiedendo aiuto con tutto se stesso a Manuel, perché quella stanchezza che sente non è fisica, ma mentale. E ha paura di dire qualcosa di sbagliato a sua figlia, di renderla ancora più nervosa.

“Allora, facciamo una cosa?” interviene Manuel, andandosi a sedere accanto a lei. “Adesso noi ci prepariamo, papà Simo ti fa una codina bellissima, poi andiamo tutti e tre insieme all’asilo e in macchina ascoltiamo le tue canzoni preferite; noi stiamo con te, se dopo non vuoi restare lì da sola ti riportiamo a casa e ci riproviamo domani. Se invece ti piace giocare con i tuoi nuovi amici, io e papà torniamo un po’ a casa e torniamo a prenderti dopo poco. Ci stai?”

Ci pensa, come sempre per qualche secondo. Poi annuisce, e si stende con il corpo verso quello di Manuel che le lascia piccoli baci tra i capelli, mentre lei nasconde il viso sul suo petto.

“Non voglio più il latte”
“Va bene, lo lasciamo qui. Ne era tanto! Andiamo a lavarci? Papà ti porta in braccio”
“Ok”
“Allora andiamo, piccolo aeroplano! Sei pronta al decollo?”
Irene già ride, perché sa quello a cui sta per andare incontro.
Manuel la prende in braccio, alzandosi dalla sedia, e la fa volare dietro la sua schiena fino ad arrivare in bagno dove, più tranquilla, si lascia lavare e vestire.

Simone li guarda con il sorriso sulle labbra, consapevole di quanto Irene non sia l’unica persona ad essere il centro del suo mondo. Lo è anche Manuel, con la sua capacità di dimostrargli ogni giorno quanto sia esattamente il padre che avrebbe sempre voluto per sua figlia.

Quando varcano la porta dell’asilo, con Irene tra di loro che stringe forte la mano di entrambi, una da un lato e una dall’altro, cercano di ignorare gli sguardi che hanno addosso. Non sono sguardi brutti, ma alcuni sembrano quelli di chi osserva degli splendidi animali in via d’estinzione da proteggere.

Simone ha smesso di pensarci, e anche Manuel è diventato più bravo negli anni a digerire il mondo esterno, ma non sa se odia più gli sguardi di chi pensa ancora che avere due padri sia un qualcosa di totalmente contronatura, nonostante i passi fatti in avanti, o quelli di chi li fissa sforzandosi di essere inclusivi e cercando di trattarli come esseri delicati, pur pensando ancora che siano probabilmente genitori di serie b.

“Ignora” gli sussurra Simone. Lo conosce talmente bene, che riuscirebbe a leggere ogni pensiero di Manuel. Sempre.

“Hanno messo al figlio un maglione pesante a settembre. A Roma. Te giuro che me ce sforzo, ma se questi so genitori che c’hanno più diritti de noi, io c’avrei qualcosa da ridì.”
Simone cerca di ignorarlo, perché Manuel quando fa così e parla ignorando gli sforzi che ha dovuto fare per gestire il suo linguaggio a lavoro, lo fa ridere. L’ha sempre fatto ridere, ma se adesso ridesse platealmente davanti a tutti non sarebbe carino.

“Manu, ti prego”
“La smetto, la smetto”

Si concentrano su Irene, che è già accanto a un bambino mentre cerca di spiegargli perché i panda fanno le capriole.

Con le maestre avevano già avuto un incontro, per avere il tempo giusto di spiegare quali fossero le esigenze della loro figlia, le sue paure e la necessità di avere determinate accortezze con lei.

Dopo un’ora provano a chiederle se possono andare via o se vuole tornare a casa con loro, ma Irene è già troppo impegnata per seguirli. “Andate, io resto qua”, ha risposto.
Non ne avevano grandi dubbi, ma nemmeno troppe certezze.

Così tornano a casa per quelle due ore, perché a lavoro hanno preso entrambi un giorno di permesso e la scuola è vicino casa.

“Andate” Manuel è ancora qui che imita la vocina di Irene mentre li snobba e Simone ride di conseguenza.

“Ma che sei geloso?”
“No, ma va. Anzi, meglio che abbia deciso di restare.”
“Appunto. Vuoi un caffè?” gli chiede Simone, avvicinandosi ai fornelli.

Manuel lo segue, piantonandosi accanto a lui.
Se si era allontanato, Simone, c’era un motivo; e invece se lo ritrova di nuovo accanto, con quel profumo, quello sguardo, quelle labbra, tutto ciò che lo sta mandando in confusione ormai da troppo tempo.

È così forte, quella sensazione, che gli sembra di poter buttare nel cesso ogni minimo sforzo fatto per restare lucido e razionale in questi mesi, soprattutto nell’ultimo.

“Perché mi piantoni?”
“Non ti sto piantonando”
“E invece sì. So farlo, il caffè. Non devi starmi qua attaccato”
“Ti do fastidio?” Manuel lo provoca, perché l’ha percepito benissimo quello che sta provando Simone. Ha pensato per un attimo che potesse risultare un approfittatore davanti alle debolezze dell’altro, ma anche Manuel è stanco. Sono entrambi stanchi.

“Sì, Manuel. Mi dai fastidio.”
“Io non sto facendo niente, Simò…”
“Esisti, è già tanto” sospira, esausto, appena Manuel gli blocca le mani per fermarlo da quei movimenti meccanici per riempire la moka.

A Simone tremano le gambe, o almeno crede questo. Da fuori forse non si direbbe, ma trema dentro. Trema per quel contatto, per quella vicinanza e per la sensazione che non riesce più a ignorare.

“Fanculo” sussurra, prima di lasciare le parti della moka sul piano della cucina, facendo cadere tutta la polvere di caffè, e liberarsi anche delle mani che Manuel teneva strette. Si libera e le porta sul suo viso, su cui subito dopo si lancia per baciarlo.
Con foga, voglia repressa, soffocata.

Stringe la sua pelle tra le dita, non riesce a controllare nemmeno la forza con cui lo fa. Ha bisogno di toccarlo, di stringerlo, baciarlo con tutta la veemenza di cui è in possesso.

La stessa con cui lo spinge verso la camera da letto, senza mai staccare le labbra da quelle di Manuel che è completamente confuso, incredulo e totalmente in balia del suo corpo che lo spinge all’indietro fino alla camera da letto. La loro, quella che per anni è stata spettatrice di tantissime cose: del sesso, dell’amore, dei pianti, delle risate, dei baci, gli abbracci, le discussioni. Ogni cosa, di tutto il loro amore.

***

Buonasera, sono fuori città ma volevo comunque pubblicare un capitolo anche se non sono riuscita a inserire una canzone adatta, alla fine.
Penso che andrà bene lo stesso, visto quello che succede 💘💘💘
A.

No Hero [Simuel] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora