Capitolo 20 (Una Sopravvissuta)

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Salve a tutti. Vi starete chiedendo chi sia, ovviamente non mi conoscete. Forse non avete mai sentito parlare di me. Eppure vi posso garantire che tempo fa sono finita sui giornali. No. Non sono un'attrice, né una cantante, calciatrice. Ne un influenzer. Non sono famosa. La notizia che riguardava il mio articolo era di cronaca nera. Ebbene sì, non era una bella notizia. Era una di quelle notizie che li per lì smuove l'ipocrisia del genere umano. Ma che passato il momento viene poi dimenticata. E io? Io come faccio a dimenticare? Si può davvero andare avanti dopo aver subito quello che ho subito io?

Non avete ancora capito chi sono? Sì. Ho ucciso quegli uomini. Ma credetemi se vi dico che non sono io la cattiva della storia. Quindici anni fai mi è stato fatto del male. Rivivo quell'attimo ogni istante. No. Non sono riuscita a dimenticare. Non voglio dimenticare.

Dicono che la vendetta non porti a nulla. Sarà. Ma quando guardo i loro occhi, terrorizzati, quando realizzano che per loro non c'è più nulla da fare. Provo soddisfazione. Adesso anche loro stanno soffrendo. Proprio come ho sofferto io.

La gente non può capire cosa si prova quando ti fanno del male. Del male vero. Qualcosa dentro di te, si spezza. E non si ricuce più.

Pensi di farla finita. Ma forse c'è quel qualcosa che ti spinge ad andare avanti. Quella voglia di far provare a coloro che ti hanno fatto del male la stessa cosa. Allora a quel qualcosa ti ci aggrappi con tutte le forze. E alla fine diventa la tua sola ragione di vita.

Sono passati quindici anni, ma li ho trovati. Li ho trovati tutti. E la pagheranno.

Sono tornata in questa città che non mi ha sostenuta. Qui ho solo ricordi troppo dolorosi.

Dopo il suicidio di mia madre per lo scandalo che questa storia aveva gettato sulla mia famiglia. Scappai via. Il più lontano possibile da questa città. Non avevo più niente. Nessuno. Tutti si erano allontanati. Quelli che consideravo, amici. Mi avevano abbandonata quando avevo più bisogno di loro. Perché è questo che fa la gente. Giudica. Scappa.

Non avevo una meta. Non avevo soldi. Ho vissuto per strada per almeno due anni, chiedendo l'elemosina per un panino. La gente mi guardava male. Ero sporca e piena di stracci.

Un giorno sotto il sole cocente d'estate, un uomo si mise d'avanti a me. E mi fissó per un tempo che mi parve infinito. Io ero a terra. Avevo sete ma non avevo acqua. Dovevo aver fatto qualcosa per attirare la sua attenzione, ma non ho mai capito cosa.

Mi prese con sé. Senza neanche conoscermi. Mi diede cibo, acqua e dei vestiti puliti. Mi diede un posto dove stare.

Viveva in un tempio. Lui era il maestro. Addestrava i ragazzi. Ragazzi come me. Ne fui subito attratta. La grazia con cui si muovevano. Le pose. Le tecniche. Le armi. Il modo in cui riuscivano a difendersi dagli attacchi del avversario. Così vivendo lì, imparai anche io. Diventando la numero uno. Nessuno riusciva a battermi. Ma accadde di nuovo. Il maestro vide in me la rabbia che mi portavo dentro e di cui non riuscivo a liberarmi. Così mi cacciò. Non addestrava per dare vita alla cattiveria ma per salvare vite umane e difendere i più deboli. Una filosofia di vita che non riuscivo ad abbracciare. Non volevo essere più quella debole. E comunque quelli che punisco sono dei mostri. Ma ancora una volta non sono stata compresa. Pazienza. Adesso non ho più bisogno di nessuno. Grazie all'adestramento ho acquisito fiducia in me stessa. E non permetterò più a nessuno di farmi del male, di dirmi come essere, quello che devo provare e cosa fare. Adesso basta. Sono abbastanza in grado di cavarmela da sola.

Sono passati anni ma la città è sempre la stessa. La gente è sempre la stessa. Indifferente, verso ciò che accade in torno a loro.

Ho preso la vita di un'altro di loro. È il terzo. Prenderò la vita di tutti, come loro hanno preso la mia. Sì. Perché quando ti fanno del male, la tua vita si spegne. In automatico il tuo sistema si blocca. Rifiuta tutto. Soprattutto i legami. Non senti più nulla, non provi alcun interesse e sentimento. Ti alzi al mattino senza uno scopo, in una routine quotidiana e attendi solo il giorno in cui metterai fine a tutto.

Sono fuori dalla casa di quello che all'epoca era il capo della banda. Povero, quando mi ha visto se l'è fatta nei pantaloni dallo spavento. Ha iniziato a piangere. Mi supplicava di non farlo. Ho letto la paura nei suoi occhi, come lui l'aveva vista nei miei tempo fa. Quando è successo...lui rideva e...non si è fermato. Non lho fatto neanche io.

La polizia è ovunque... un'altro tizio ritrovato senza membro. La città iniziava ad avere paura. Finalmente. Tutti adesso sapevano cosa si prova ad avere paura. Avrebbero capito cosa prova la vittima.

Ed eccola lì. È appena arrivata con la sua moto. La detective che si occupa di questo caso. Una donna. Contrariamente al poliziotto, un uomo sulla quarantina d'anni, che si occupò del mio caso tempo fa. Non era riuscito a fare il suo lavoro. Queste morti erano anche un po' colpa sua.

La detective Ferrari. Lei non è una poliziotta come gli altri. Una detective dal passato tormentato. Anche a lei è stato fatto del male. Forse lei può capirmi. Sì, lei è come me. Una sopravvissuta.

Ho sentito dire che è una tosta nel suo lavoro. Ha addirittura arrestato suo padre. Vorrei tanto uno scontro con lei. Mi incuriosisce. Non ora, tutto a suo tempo. Chissà se riuscirà a scoprire la verità? A capire chi sono? Perché lo faccio? Se riuscirà a prendermi?

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