I sogni son desideri

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"La stima è come un fiore, che pestato una volta gravemente o appassito, mai più non ritorna"

La sveglia suona alle 9:00 in punto mal grado l'avessi puntata ancora più tardi. Decido di alzarmi di scatto cosicché non ho il solito trauma del mattino.

Scelta sbagliata.

La testa comincia a girare sempre di più facendomi cadere sul letto, perciò con calma raggiungo la cucina e dopo aver mangiato il latte con i cereali,  l'aspirina lentamente mi fa passare il mal di testa. Non riesco a capire il perché di questo dolore. Di solito mi viene solo quando leggo o scrivo troppo ma mai durante la notte. Esco dalla doccia e più in fretta che posso mi vesto essendo già in ritardo. Prendo il primo taxi e mi dirigo verso il palazzo più alto di Seattle. Quando scendo dal taxi mi sento in due modi: una formica di fronte all'immenso palazzo che ho di fronte e una pecora nera di fronte a tutte queste persone che entrano ed escono con giacca, cravatta e valigetta sotto braccio. Io indosso un paio di jeans e una camicia semplice, ma noto che ogni persona che mi passa accanto mi squadra dalla testa ai piedi come se fossi un marziano. Pago il conducente del taxi e sistemandomi il colletto mi avvio all'entrata del palazzo. Tutto è in movimento, qui dentro non c'è una persona ferma, tutti che corrono da una parte all'altra ed io mi chiedo dove trovino tutta questa energia se io a mala pena so reggermi in piedi. Comincio a muovermi quando l'ennesimo spintone mi viene dato, raggiungo un signore dietro un enorme bancone che anche lui non sta mai fermo, corre da una parte del bancone all'altra con almeno due cellulari all'orecchio. Cerco di attirare la sua attenzione ma invano, solamente dopo aver suonato una specie di campanello sopra il bancone finalmente ricevo la sua attenzione. Potevo pensarci prima volendo!

<<Salve ho un appuntamento con il sg. Smith>> dico cercando di farmi sentire.

<<Lei è il sg. Leopardi?>> domanda dopo cinque minuti al computer. Risalto quando il mio vero nome esce dalla bocca di quell'uomo come se fosse una parolaccia.

<<Sì, sono io>>

<<All'ultimo piano, l'ultimo portone alla sua destra>> dice ritornando a ciò che aveva lasciato. Lo ringrazio silenziosamente e dopo uno slalom arrivo all'ascensore, che, tra parentesi, è enorme. Dentro l'ascensore siamo almeno una decina, in qualsiasi momento ho paura che precipiti giù dal troppo peso. Qui inizia un lungo giro, si inizia con il primo piano dove scendono persone e ne salgono altre, poi al secondo dove scendono e salgono, insomma continua cosi fino a quando non raggiungo l'ultimo piano. Ringrazio la gente che con fatica mi hanno fatto passare ma arrivato alle porte dell'ascensore ecco che si chiude facendo ricominciare il giro. Non ci credo! Mi stanno prendendo in giro?  Sbuffo pesantemente e mi metto alla fine dell'ascensore. Quando, finalmente, dopo il penultimo piano le porte si chiudono ecco che in una piccola fessura entra una ragazza, una ragazza troppo famigliare.

<<Eric Dawson? Che ci fai qua?>> dice avvicinandosi a me dopo vari tentativi di non incrociare il suo sguardo.

<<Ehi! Ho un appuntamento per le 11.00>> dico con lo sguardo basso.

<<Ah, davvero, con chi? Forse lo conosco!>> dice avvicinandosi ancora di più.

<<Il sg. Smith>> dico avvicinandomi alle porte dell'ascensore per non ricadere nel mio ultimo errore.

<<Che coincidenza, anch'io devo andare da lui!>> urla. Io le faccio segno di parlare più piano ma sembra fregarsene.

<<Allora, cosa devi fare dal boss dell'editoria?>> dice camminando verso l'ultima porta a destra.

<<Mh, affari>> dico grattandomi la nuca. Poi ricambio la domanda fatta in precedenza da lei.

<<Affari>> dice bussando alla porta. Faccio un respiro profondo, la mia carriera dipende tutto da questo. Non devo fare brutte figure!

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