Epilogo

65 6 8
                                    

14/06/2071

Il sole sorge anche questo giorno. Lentamente mi alzo dal mio letto e insieme al mio fidato bastone cammino verso il balcone dove passo le mie giornate. Non riesco a far altro che scrivere e pensare a lei, mentre qualche volta i miei due figli vengono a farmi visita.

Napoli è stata sempre una città che ho voluto visitare e mi sembra impossibili che io ora sia qui, nella mia nazione allo scadere dei miei giorni. Da quando lei non c'è più tutto è scuro, tutto non ha senso. Ho perso le uniche donne che ho sempre amato. Tutto a causa di stupide malattie che non fanno altro che uccidere persone innocenti.

L'unica gioia che ho sono i miei due figli, Clara e Matt, e i miei tre nipoti. Quando vengono a trovarmi la casa prende sempre vitalità ed è come se lei non se ne fosse mai andata. Non scorderò mai il suo viso quando ha stretto per la prima e ultima volta Matt, sapeva che non l'avrebbe più rivisto. Quello sguardo mi è rimasto impresso nella mente e so che sarà con me alla fine dei miei giorni. Ecco che Clara entra nella mia stanza e viene fino da me in balcone per portarmi la colazione.

<<Papà, buongiorno>> mi lascia un bacio sulla guancia e posa l'antico vassoio sulle mie gambe.

<<Sei venuta da sola?>> dico con fatica. E' vero che sono guarito da quell'operazione di tanti anni fa, ma mi avevano avvisato che d'anziano avrei sofferto di più, e cosi è stato. Ha 71 anni mi sembra di averne 90, il mio fisico, infatti, non regge più.

<<No, c'è Francis insieme ai bambini di là>> dice rivolgendomi un sorriso.

<<Mh, ho voglia di scrivere, potresti passarmi lo Zibaldone?>> dico indicandolo nella mia scrivania.

<<Papà, lo sai che con tutta a tecnologia che c'è ora puoi farlo anche da solo>> le faccio un cenno per poi prendere carta e penna e scrivere come i vecchi tempi. Non mi abituerò mai a questa tecnologia, ora capisco perché mio padre l'aveva proibita. Quando mia figlia lascia la stanza per prepararmi il mio bagno, guardo il Vesuvio davanti a me e incomincio a scrivere:

"Qui, sulle aride pendici del terribile vulcano distruttore, il Vesuvio, tu spargi i tuoi rami solitari,
o profumata Ginestra, felice di trovarti nei deserti. Ti ho già vista
abbellire con i tuoi steli le campagne disabitate
che circondano la città di Roma, che un tempo fu dominatrice degli esseri umani,
e sembra che questi luoghi col loro aspetto cupo e silenzioso
testimonino e ricordino a chi passa il grande impero perduto.
Ti rivedo ora su questo suolo, tu che sei amante di luoghi tristi e abbandonati dal mondo,
e sempre compagna di grandezze decadute.

Ora qui intorno la rovina avvolge tutto, là dove tu hai radici, o fiore gentile e, quasi compiangendo le miserie altrui, verso il cielo emani un profumo assai dolce, che allieta il paesaggio desertico. Qui guardati e ammira la tua immagine riflessa, secolo superbo e stolto, che hai abbandonato la strada segnata sin qui dal pensiero rinascimentale, e tornato sui tuoi passi, ti vanti del tuo procedere all'indietro, e lo chiami addirittura progresso. Tutti gli ingegni, di cui una sorte malvagia ti ha reso padre, sono intenti ad adulare il tuo atteggiamento infantile, benché a volte, tra di loro, si facciano beffe di te. [...]

Perciò ti ha infastidito la verità sulla sorte amara e sul mondo infelice che la natura ci ha assegnato. Per questo motivo, vigliaccamente hai voltato le spalle al pensiero che ci ha mostrato queste cose: e, mentre fuggi, chiami vile chi segue quella via, e definisci magnanimo solo chi, astuto o stolto, illudendo sé stesso o gli altri, esalta fin sopra le stelle la condizione [...]

E tu, flessibile ginestra, che con i tuoi cespugli odorosi adorni queste campagne desertificate, anche tu presto soccomberai alla potenza crudele della lava in eruzione, che ritornando ai luoghi già colpiti, stenderà sui tuoi molli rami il suo mantello avido di morte. E piegherai sotto la colata mortale senza opporre resistenza il tuo capo innocente: ma senza averlo piegato fino a quel momento, con suppliche inutili e codarde al futuro oppressore; e senza averlo alzato con forsennato orgoglio contro le stelle, né sul deserto, dove tu sei nata e hai dimora non per scelta ma per gioco del caso; ma più saggia, e tanto meno debole ed insensata dell'uomo, poiché non hai mai creduto che la tua specie fosse stata resa immortale o dal destino o da te stessa".

E cosi la mia vita ha fine, seduta qui in questa sedia davanti a un possente vulcano, mentre la mia mente e rivolta a te che finalmente sto per rivederti e abbracciarti di nuovo. Ricordo ancora la prima volta che l'ho vista su quell'aereo, io disorientato, lei cosi sicura di se stessa. Non dimenticherò mai di come la sua voce mi abbia perforato l'anima. Quel suono cosi musicale accompagnata dalla sua bellezza. I capelli marroni raccolti e gli occhi puntati su di me.

Tra le pagine che ho sempre macchiato e con le persone che ho più care. La mia memoria resterà nelle generazioni future e ispirerà molta gente, e cosi la mia anima non sarà mai dimenticata. E' cosi che i miei occhi si chiudono per riposare una volta per tutte, sta volta in eterno.

Il Giovane Favoloso.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora