Addio

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"Quando sovviemmi di cotanta speme, un affetto preme, acerbo e sconsolato, e tornarmi a dolor di mia sventura. Oh Natura, oh Natura, perché non rendi poi quel che prometti allora? Perché di tanto inganni i tuoi figli?

Il rumore della pioggia che sbatte nella finestra riecheggia in tutta la stanza. Il suo suono entra nelle mie orecchie e non vuole uscire.

Dicono che i temporali estivi sono più pericolosi rispetto a quelli di tutto l'anno, ed è in loro che mi rispecchio, in questo esatto momento. I lampi rappresentano la mia rabbia, la pioggia la tristezza e il sole dietro le nuvole, la speranza.

Da più di due giorni sono chiuso in casa, non mi sono mosso nemmeno per andare a comprare qualcosa o andare a lavorare al supermercato. Spero che il capo capisca.
Sono rimasto qua, pronto ad accoglierlo se fosse venuto, ma tutto tace. Oggi, però, sento che sarà diverso.

Emily è vicino alla finestra, che conta le gocce d'acqua cadute sulla finestra mentre Daniel impreca contro il televisore perché la sua squadra preferita sta perdendo. Ed io? Io sto nella mia scrivania a contare i minuti che mi restano qui a Seattle. Cerco di focalizzarmi sulla penna e il foglio davanti a me. Faccio in modo che l'aratro semini il campo, ma le idee dentro di me non si fanno concrete e l'aratro rimane fermo, quasi arrugginito.
La penna sbatte ripetutamente sul tavolo, ed il suo rumore va a tempo con il ticchettio dell'orologio appeso sopra la cucina che, anche se distante, si mescola con il rumore della pioggia.
Il ticchettio, la pioggia e la penna costruiscono un rumore piacevole, tanto da farlo diventare melodia. Seguendo quel ritmo finalmente l'aratro può seminare il campo.
L'inchiostro si amalgama per bene con la carta bianca. A volte mi sembra un peccato scrivere su di essa, è cosi pura che macchiarla lo ritengo un peccato. Soprattutto sporcarla con i miei esili pensieri.
Cerco di scrivere qualche frase di senso compiuto, ma ciò che scrivo è:
"Rabbia, Paura, Amore, Tristezza, Illusione".
Nessun verbo, solo sentimenti, i miei sentimenti. Sentimenti che cerco sempre di reprimere senza mai avere successo. Da questa esperienza qua a Seattle ho capito veramente chi sono e chi voglio essere. Un ragazzo, a volte introverso e a volte estroverso, che se offendi qualcuno a me caro non vorresti vedermi. Un ragazzo divertente, quando vuole. Un ragazzo curioso della vita e del mondo che lo circonda. Un ragazzo illuso ma che alla fine, se vuole, cerca sempre di vedere in meglio nelle circostanze.

Penso e ripenso a tutte le volte che ho preso l'aereo, incominciando un anno fa e finendo una settima addietro per il mio libro. Già, il mio libro! Chi l'avrebbe detto che una mia opera fosse cosi conosciuta e soprattutto piaciuta. 

Ad interrompere i miei pensieri c'è la porta, che procura un incessante rumore. Sono sicuro che in faccia, adesso, sono un vampiro. Mi alzo subito dalla mia sedia, mentre quest'ultima fa un incredibile suono quando striscia sul pavimento, Emily si accosta di fianco a me e Daniel spegne la tv. 

Il ragazzo va per aprire la porta, ma lo fermo dal braccio.

<<Sono io che devo farlo!>> dico.
Inghiottisco il groppo in gola, la mano mia si posa sulla maniglia fredda che lentamente si abbassa.
Il mio sguardo è sul pavimento e quando lo alzo noto la figura di fronte a me.
<<Ciao, figliolo>> non so ben dire cosa provo in questo momento che finalmente ho davanti la causa di tutti i miei mali. Non so bene cosa fare, ma so cosa devono fare gli altri.
<<Emily, Daniel, andate. Vi contatterò una volta finito di colloquiare con mio padre>> mi giro verso di loro e percepisco dagli sguardi che non vogliono lasciarmi.
<<Sarò fuori la porta tutto il tempo, se hai bisogno bussa>> mi sussurra Emily all'orecchio. Dopo poggia le sue labbra sulle mie e chiude la porta, lasciando me e mio padre da soli.
<<Ecco la resa dei conti>> dico vedendo mio padre che prende una sedia e la colloca al centro della stanza.
<<Siediti>> ordina.
<<No>>.
<<Obbedisci!>> con uno sguardo intimidatorio riesce a farmi sedere.
Lo fisso con qualche sfumatura di disgusto mentre fa avanti e indietro per tutta la stanza.
<<Pietro Giordani, è stato lui a infilarti tutte quelle strane idee nella mente, non è vero? Sapevo che invitarlo prima del tuo diciottesimo compleanno sarebbe stata una sciagura! Prima dall'ora nessuno dei miei figli era stato un'ora senza il mio controllo o quella di vostra madre. Dove sei finito ora? In un appartamento da quattro soldi in America! La cosa peggiore è che ti sei trascinato dietro anche i tuoi fratelli!>>.
<<Non è vero>> sussurro, lui si avvicina più a me, quasi faccia a faccia, forse per intimidirmi.
Ricordo benissimo Pietro Giordani, il primo che lesse le mie poesie. Sì, lui mi ha ispirato, ma ho voluto fare tutto per opera mia, di certo non è stato un letterario a farmi cambiare idea!>>.
<<Beh, allora è stato incauto fomentandovi con i propri discorsi!>> quasi sbraita, ma io rimango fermo nella mia posizione senza dire una sola parola, ma proprio quando lui sta per parlare o meglio urlare, di nuovo comincio a prendere parola:
<<Oh padre, che ingenuo che siete! Incolpate un letterario che a mala pena conosco il suo nome, e ancora non avete capito che il desiderio di scappare lo concepito fin da quando capì la mia condizione e i vostri principi immutabili, cioè da sempre. Io non ho mai voluto vivere in Recanati, e voi non mi avete lasciato che via d'uscita, non sono fatto per vivere e morire come i miei antenati. Quest'anno qui, a Seattle, è stato l'anno più bello della mia vita. Ho conosciuto tante persone, alcune sono molto importanti per me padre, e ho fatto molte esperienze. Dietro di voi c'è il vostro passato, ma davanti a voi c'è il futuro, non vi potete chiudere in un bolla per sempre, vivete finché potete!>> sconvolto da ciò che ho appena detto, guardo negli occhi mio padre e lo vedo intento a capire ciò che la mia bocca ha pronunciato.

<<Tu mi detesti, mi dipingi nella tua immaginazione come un tiranno. Fatto sta che tu hai cambiato natura, e hai sempre aspirato all'ambizione letteraria seguendo quel Giordani!>>.
<<Se avessi avuto la televisione avresti visto il successo che hanno fatto i miei libri. Miei libri! Questa è opera mia, e caro padre, io non ho ambizione! Io odio quella vile prudenza, che ci agghiaccia, che ci lega. Ci rende impossibile ogni grande azione, padre. Ci riduce ad animali che tendono solo alla conservazione della propria vita, infelici, senz'altro pensiero>> questa volta sono io ad urlare, come non ho mai azzardato fare. Lui sta di fronte a me, si gira i pollici cercando di controbattere al mio discorso.

<<Tu verrai a Recanati con me, e lì recupererai lo studio perso!>> mi prende per un braccio e mi porta in camera da letto, mi butta davanti la mia valigia e raccoglie le prime cose che vede.
<<Vuoi stare lì fermo?>> domanda.
<<No>> alzo i piedi e busso alla porta che Emily in un secondo apre.
<<Non te ne andare>> dice tra i singhiozzi.
<<Devo andare>> la stringo nel mio petto ed ogni secondo sembra scorrere troppo velocemente.

<<No, no, no>> continua a ripetere scagliando pugni sul mio petto. Mio padre ci raggiunge davanti la porta con la valigia, piena di roba, che sicuramente non mi serviranno.
Controllo nell'armadio e tutti i vestiti che Emily mi ha comprato, sono ancora appesi, mentre i miei vecchi vestiti non ci sono più. Prendo l'unica cosa che mi mancherà, cioè il cappello grigio che indossò Daniel la prima volta che ci conoscemmo. Me lo regalò, perché quel giorno il vento aveva fatto dei miei capelli un cespuglio.
Sorrido al ricordo e vado davanti il comodino, nascondo il cellulare nelle mutande, come la prima volta, e prendo l'anello. L'anello che avevo intenzione di regalare a Emily quando tutto sarebbe finito.
La raggiungo, le apro la mano e le porgo l'anello.
<<Questo è tuo, per dirti che l'oceano non potrà mai separarci, perché io ti aspetterò e ti penserò sempre. Per favore, non seguirmi e non dimenticarmi. Un giorno ci rincontreremo e quel giorno tu sarai mia per sempre>> l'abbraccio ancora una volta per poi far assaporare per l'ultima volta le sue labbra con le mie.
Mi gusto quel momento, fino a quando Daniel mi dà una pacca sulle spalle.
<<Fai il bravo mi raccomando!>> dico stringendolo in un abbraccio.
<<Mi mancherai>> dice solamente.
Prima di seguire mio padre in macchina consegno le chiavi della casa ad Emily.
<<Fanne buon uso>> le dico.
Salgo in macchina e una volta aperto il finestrino fisso i miei due amici alla finestra. Emily scoppia in lacrime ed io non sono con lei a consolarla, già mi manca.
<<Addio, amore mio>>.

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