ventiquattresimo canto

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Kunikida mi fece impallidire quando io lo vidi col volto così turbato, e altrettanto rapidamente si calmò. Okay. È schizofrenico. Perfetto. infatti, come noi giungemmo alla rovina del ponte, Kunikida si rivolse a me con l'espressione "dolce" che vidi in lui ai piedi del colle. Okay, "dolce" è un parolone, ma voi avete capito.

Aprì le braccia e dopo aver considerato per un po' tra sé guardando bene la rovina, mi sollevò. E come colui che agisce e riflette sul da farsi, che sembra sempre pensare prima a cosa fare, così, sollevandomi verso la sporgenza di una roccia, individuava un altro spuntone dicendomi: «Aggrappati poi a quello; ma prima prova a vedere se ti regge».

Non era un cammino facile nemmeno per noi, Kunikida senza il corpo mortale e io spinto da lui. E se non fosse che da quella parte interna dell'argine la parete era più corta, non so lui ma io non ce l'avrei fatta. Ma poiché le Malebolge declinano verso il margine del profondo pozzo, la posizione di ciascuna Bolgia fa sì che una parete è più alta dell'altra; alla fine giungemmo in cima alla rovina, sulla sommità dell'argine.

Non avevo più fiato nei polmoni quando fui arrivato in alto, al punto che non potevo proseguire oltre, anzi, mi sedetti non appena arrivai.

Kunikida mi disse: «Muovi il culo, poiché sedendo sui cuscini o stando sdraiati sotto le coperte non si va da nessuna parte; e chi passa la sua vita a poltrire, lascia sulla Terra una traccia di sé paragonabile al fumo nell'aria e alla schiuma nell'acqua. Dunque alzati subito: vedi di prendere energie dal tuo animo, coglione. Dobbiamo salire una scala ben più ardua; non è sufficiente esserci separati da questi dannati e, nel caso non si fosse capito, muoviti. Cazzo».

Allora mi alzai, più intimorito che altro, e dissi: «Va', che sono forte e pieno di coraggio. Anzi. Non lo sono. Sto mentendo. Ma mi fai cagare in mano».

Prendemmo la via su per il ponte roccioso, che era impervio, stretto e difficile da percorrere, e assai più ripido di quello precedente.

Per non sembrare affaticato iniziai a parlare; a un tratto si sentì provenire dalla Bolgia una voce che pronunciava parole sconnesse. Non so cosa dicesse, anche se ero già al culmine del ponte che sovrastava la fossa; ma chi parlava sembrava che si stesse muovendo. Io guardavo in basso, ma i miei occhi per quanto attenti non potevano vedere il fondo oscuro.

Allora dissi: «Kunikida, cerchiamo di raggiungere la fine del ponte e scendiamo sull'argine; infatti da qui ascolto e non sento, e guardo in basso e non vedo nulla».

Mi disse: «Beh, allora andiamo. Tanto non abbiamo un cazzo da fare. Cioè, tu dovresti fare questo viaggio, e forse questo è indice del fatto che tu sappia come sprecare la tua vita. Ma comunque, andiamo».

Noi scendemmo là dove il ponte si congiunge con l'argine dell'ottava Bolgia, e da lì potei vedere la settima: e vidi all'interno un orribile groviglio di serpenti, di specie talmente diverse che il solo ricordarlo mi guasta il sangue.

La Libia non si vanti più con la sua sabbia, poiché non mostrò mai tanti animali pestiferi con tutta l'Etiopia e con l'Arabia. In mezzo a questa orrenda e tristissima calca correvano dannati nudi e spaventati, senza speranza di un rifugio o dell'elitropia: avevano le mani legate dietro la schiena da serpi, che insinuavano lungo la schiena la coda e il capo e si annodavano davanti al ventre.

Ed ecco che un serpente si avventò contro un dannato che era dalla nostra parte e lo morse sulla nuca, tra collo e spalle. Il serpente divenne immediatamente fiamma, e poi cenere. E dopo essere caduto al suolo così ridotto, la cenere si raccolse da sé e il dannato riacquistò improvvisamente le sue sembianze. Così i saggi narrano che la fenice muore e poi rinasce, quando è vicina ai cinquecento anni di età; nella sua vita non si nutre di erba né di biada, ma solo di lacrime di incenso e di amomo, e il suo ultimo nido è fatto di foglie di nardo e mirra.

E come colui che cade senza saperne la causa, per la forza di un demone che lo tira a terra o di un'ostruzione degli spiriti vitali, e quando si rialza si guarda intorno, tutto smarrito per il dolore che ha sofferto e guarda sospirando; così era il peccatore dopo essersi rialzato. Oh, potenza di Fukuzawa, quanto sei severa dal momento che assesti colpi tali per la tua vendetta!

Kunikida domandò poi al dannato chi fosse, per cui rispose: «Io vivevo nella prigione di Mersault e sono arrivata in questa fossa crudele da poco tempo. Mi piacque la vita di una bestia e non di una donna, proprio come la bastarda che fui; sono la ladra che Dazai nomina nel manga di Bungou stray dogs quando cerca di fuggire dalla prigione con Sigma, sì, quella che sa fermare il tempo. Mi avete dimenticata tutti, lo so, ma io esisto. Solo per ricordarvelo eh».*

E io a Kunikida: «Digli che pure io mi sono dimenticato di lei».

E la dannata, che sentì, non si nascose ma anzi alzò il viso verso di me e si dipinse tristemente di vergogna; poi disse: «Mi spiace più che tu mi veda in questa misera condizione, che non di essere stata strappata dalla vita mortale. Non posso negare quello che mi chiedi; sono dannata in questa Bolgia perché ero una ladra. Ma affinché tu non possa godere di questa visione, se mai uscirai da questi luoghi oscuri, apri le orecchie e ascolta la mia profezia: prima un tuo caro collega lascerà l'agenzia per unirsi a dei maranza di Milano, e ogni membro dell'agenzia sarà ferito. E ho detto questo per farti del male!»

...
*Sono ancora l'unica che si ricorda di questa ladra? Non si sa. Comunque, il dannato nella divina commedia è Vanni Fucci, che rubò dei beni del duomo di Pistoia.

Come corpo morto cade || BSD x Divina CommediaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora