Tredicesimo canto

10 2 0
                                    

La creatura non era ancora arrivata al di là del fiume, quando noici addentrammo in un bosco che non era segnato da alcun sentiero. 

Non vi erano fronde verdi, ma di colore scuro; non rami dritti, ma nodosi e ritorti; non vi erano frutti, ma spine con veleno: non ci sono animali al mondo che potrebbero abitarvi. Qui costruiscono i loro nidi le sudicie arpie, che hanno ali larghe, colli e volti umani, zampe con artigli e piume sul grande ventre; emettono lamenti dagli strani alberi. 

E Kunikida: «Prima di entrare, sappi che ti trovi nel secondo girone», cominciò a dirmi, «e ci resterai fin quando giungerai in una orribile distesa di sabbia. Perciò osserva bene; così vedrai cose che toglierebbero credibilità alle mie parole». 

Io sentivo da ogni parte emettere lamenti, ma non vedevo alcuna persona che li emettesse; per cui, completamente smarrito, mi fermai. 

Credo che Kunikida abbia creduto che io credessi che tutti i lamenti provenissero, da anime che si nascondevano tra quei cespugli. 

Perciò Kunikida disse: «Se tu spezzi qualche ramoscello da una di queste piante, non penserai più la stessa cosa». 

Allora stesi la mano un po' in avanti e raccolsi un ramoscello da un grande cespuglio; e il suo tronco gridò: 

«Perché mi spezzi?». Dopo che si coprì di sangue scuro, ricominciò a dire: «Perché mi spezzi? Non hai alcuna pietà? Eravamo degli uomini, e adesso siamo divenuti arbusti: la tua mano avrebbe dovuto essere più pietosa anche se fossimo state anime di serpenti». 

Come da un ramo ancora verde che venga bruciato su uno dei lati, e che dall'altro lato gocciola e cigola per l'aria che esce, così dal ramo spezzato uscivano insieme parole e sangue; per cui lasciai cadere il ramo, e restai fermo come un uomo spaventato. 

«Se egli avesse potuto credere prima alle mie parole», rispose Kunikida, «mi dispiace anima ferita, se questo ragazzo avesse appreso solo per mezzo della mia poesia, non avrebbe disteso la mano verso di te; ma la cosa, di per sé incredibile, mi ha portato a indurlo a compiere un'azione che dispiace a me stesso. Ma raccontagli chi tu fosti in vita, così che invece di qualche riparazione egli rinnovi la tua fama su nel mondo dei vivi, dove gli è concesso di tornare». 

E il tronco: «O Kunikida, non mi hai mai rivolto queste dolci parole. Allora, non posso tacere. Anche perché amo parlare di me; e voi ora dovrete stare ad ascoltarmi. Ma tanto Kunikida è abituato, quindi chissene. Io sono colui che tenne entrambe le chiavi del cuore del bene e del male, e che le girò, chiudendo e aprendo, così dolcemente, che esclusi quasi ogni altro uomo dall'essere in confidenza sia con Mori che con Fukuzawa: tenni fede al compito tanto buono, ma perdetti la tranquillità e la vita. Io ricoprivo un ruolo importante nella mafia, ma a causa di una grave perdita me ne andai. E allora il loro capo aveva già terrorizzato il mio animo; e gli infiammati membri dell'organizzazione si influenzarono a tal punto, che tutto si trasformò in un ancor più triste dolore. Il mio animo, pensando che morendo potesse fuggire dalla disperazione, mi rese ingiusto contro me stesso, anche se lo ero già. Per le nuove radici di questo albero vi giuro che mai venni meno alla fedeltà verso il mio signore, che fu così degno di onore. E se anche uno di voi torna nel mondo dei vivi, non ricordi la mia anima, che in realtà non ha fatto nulla che seminare disgrazie». 

Aspettò un po', e poi: «Visto che ora tace», mi disse Kunikida, «non perdere tempo; ma parla, e ponigli delle domande, se vuoi». 

Allora io a lui: «Per favore, fallo tu al posto mio; perché io non potrei farlo, tanta è la pietà che mi turba». 

Perciò Kunikida ricominciò: «Se verrà fatto ciò che desideri, Dazai, abbi ancora la cortesia di spiegarci come l'anima si unisce a questi tronchi; e spiegaci, se puoi, se qualcuna si libera mai da queste membra». 

 Allora il tronco soffiò con forza, e poi quel soffio si convertì in queste parole: «Brevemente vi risponderò. Quando l'anima crudele si separa dal corpo da cui essa stessa si è strappata, Ace la manda al settimo cerchio. Cade nella selva, e non le è assegnato alcun luogo; ma lì dove la sorte la scaglia, là germoglia come un seme di spelta. Cresce prima in forma di ramoscello e poi di pianta selvatica: le Arpie, nutrendosi poi delle sue foglie, le procurano dolore e una via d'uscita a quest'ultimo. Come le altre anime verremo sulla Terra per i nostri corpi, ma non li avremo mai indietro, perché non è giusto avere ciò di cui l'uomo si è privato. I nostri corpi saranno appesi nella triste selva, ciascuno al cespuglio della sua anima molesta» 

Noi eravamo ancora attenti a quel tronco, pensando che volesse dire altro, quando noi fummo sorpresi da un rumore, come colui che sente arrivare, nel luogo del suo appostamento, il cinghiale e i cani da caccia al suo seguito, e che ode le bestie e lo stormire delle fronde. Ed ecco, dalla sinistra, apparire due anime, nude e graffiate, che fuggivano così velocemente che spezzavano ogni ramo della selva. 

Quello davanti gridava: «Vieni, vieni ora oh morte!». 

E l'altro, a cui sembrava di essere troppo lento, gridava: «Yukio, non furono così svelte le tue gambe negli scontri presso!». E poiché forse gli mancava il fiato, fece un solo groviglio di sé e di un cespuglio. 

Dietro di loro, la selva era piena di cagne nere, affamate e che correvano come cani da caccia appena sciolti dalla catena. Esse piantarono i denti in colui che si era nascosto, e lo dilaniarono pezzo per pezzo; poi si portarono via quelle membra doloranti. La mia guida allora mi prese per mano, e mi condusse al cespuglio che piangeva inutilmente attraverso le ferite sanguinanti. 

«O Yukio», diceva, «A cosa ti è servito ripararti dietro me? Che colpa ho io della tua vita malvagia?». 

Quando Kunikida si fu fermato vicino al cespuglio, disse: «Chi fosti tu, che attraverso tanti rami spezzati soffi, assieme al sangue, parole di dolore?». 

Ed egli a noi: «O anime che siete giunte ad assistere allo strazio crudele che ha separato le mie fronde da me, raccoglietele ai piedi del mio infelice cespuglio. Io nacqui a Migorod, in Ucraina; e io cercherò di renderla sempre felice con la mia arte e la mia risata; e se non fosse per il cielo spento di San Pietroburgo, se non fosse per la sua gente e per le derisioni con cui mi colpirono, forse la mia vita sarebbe ancora laggiù. O forse non sarei mai stato capace di sentire il profumo dei fiori di Roma. Solo ora, solo dopo essere morto in Russia, realizzo di aver fatto della mia casa la mia forca».

Come corpo morto cade || BSD x Divina CommediaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora