Aeroplanini di carta

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Uno dei piatti tipici neozelandesi
comprende le anguille affumicate.

Leigh

Aprii la porta di casa facendo attenzione a fare il minor rumore possibile. Non avevo nessuna intenzione di affrontare mia mamma.

Ma la luce si accese rivelando la sua figura avvolta in una vestaglia. Socchiusi gli occhi, consapevole che il mio piano di filare a letto senza accese discussioni fosse andato a monte.

«Com'è andata?» Mia madre si avvicinò a me tirandosi ancora di più il laccio della vestaglia rosa. Faticai a guardarla negli occhi.
«È andata.» dissi solo.

Mia madre mi scrutò nel tentativo di carpire qualche informazione che le risultasse utile. Ma la notai innervosirsi quando non ci riuscì.
«L'hai presa?» mi chiese insistente.
«Non sono andata in ufficio, mamma. E poi...»

Tese la testa verso la mia direzione incitandomi a continuare. Mi passai una mano tra i capelli e un'improvvisa stanchezza mi investì.

«Sono stanca. Ne riparliamo domani.» Sgusciai via ma, non appena la superai, la sentii afferrarmi il polso obbligandomi a fermarmi. Mi voltai irritata verso di lei. Mia madre mi guardava con occhi severi.

Quello sguardo aveva sempre fatto parte di lei. Me lo ricordavo sin da quando, da bambina, combinavo qualche disastro e lei mi rimproverava. Anche se non era colpa mia. Lei mi aveva sempre guardato in quel modo.

Più di una volta mi ero chiesta cosa l'avesse portata a guardarmi sempre così.
Ma poi mi ricordavo di come guardava papà e mi sentii grata di non ricevere da lei quello sguardo.

«Ma la prenderai, giusto?» Strattonai la mia mano e mi sfilai dalla sua presa. Abbassai i miei occhi sul mio polso, che era diventato rosso a causa della forza con cui mi aveva stretta.

Esitai in cerca di qualche parola da rifilarle.

Mi massaggiai il polso e in quel lasso di tempo trovai il coraggio di sollevare il capo verso di lei. Sentii il suo sguardo su di me come mille spilli che mi si conficcavano sotto la pelle.

«No, mamma. Non ruberò un bel niente. Non posso farlo.» risposi con una tale decisione che anche io mi sorpresi.

Lo sguardo di mia madre si tramutò in un'espressione di pura rabbia. Solitamente, ero sempre attenta a non farla arrabbiare. L'assecondavo sempre e cercavo di fare quello che voleva lei.

Avevo rinunciato ai miei sogni per lei, diamine.

Eppure, quello non lo potevo proprio fare. Non solo sentivo che fosse sbagliato. Ma... c'era qualcos'altro dentro di me che mi impediva di farlo. Mi ricordai solo in quel momento di avere ancora la giacca di Alastair sulle spalle.

«Cos'hai detto?» sibilò mia madre velenosa. Ma io non abbassai il mento. «Hai sentito bene.»
«Leigh, tu non sai quello che dici. Tu devi farlo. Domani prenderai quella cartellina per me, d'accordo?» esalò quelle parole ammorbidendo la voce. Per indurmi ad obbedirle.

Lei faceva sempre così. Un secondo prima mi parlava con odio e quello dopo modulava tutte le parole più dolci del mondo. Solitamente, a quel secondo punto, io, cedevo sempre.

Scossi la testa. «No. Non lo farò.» Negli occhi di mia madre si accese una scintilla di pura ira. Non ebbi neanche il tempo di aprire la bocca che la mia testa scattò di lato. Con gli occhi spalancati, sentii la mi guancia bruciare.

Mia madre non mi aveva mai picchiato. Era una delle poche cose che apprezzavo di lei. Ma in quel momento intuii che non l'avesse mai fatto solo perché le davo sempre ragione. Probabilmente era così. Mi si strinse il cuore per papà, in quel momento. Chissà se anche a lui...

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