Capitolo 4 - Lo spettro

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«Svelti! Se la luna sorge prima del nostro arrivo a Mifa, saremo in grossi guai» li spronò Talos.

«È più di un'ora che corriamo e siamo quasi fuori dalla foresta: ci siamo quasi!» disse Alira.

Gavister se ne stava zitto, ma teneva il passo. Continuava a rimuginare sulle parole del fratello. Quello sarebbe stato il loro ultimo incontro. Avrebbe dovuto accettarlo senza colpo ferire? Decine e decine di maghi e maghe in tutta Agura e nessuno che fosse in grado di far tornare umano un licantropo? Aveva sentito diverse storie e leggende su magie in grado di mutare il meteo, controllare la stessa terra su cui ora camminava o, addirittura, piegare la realtà al proprio volere fino a intrappolarla in un'illusione.

I maghi sanno fare tutto questo, ma non quello che mi serve, pensò.

Turbato, seguitò a mettere un piede di fronte all'altro come fosse un automa. Troppo sovrappensiero per badare a dove stesse andando, fosse stato per lui avrebbero potuto portarlo in un'altra dimensione e non se ne sarebbe accorto.

La luna iniziava ad affacciarsi sul cielo della tarda sera in attesa di splendere appieno su uno sfondo buio, illuminato da stelle come fossero piccole lucciole incollate a un manto nero.

Ungar si rannicchiò nella parte più interna della sua grotta, pregando che quel tenue bagliore non lo raggiungesse mai, ma la luna era di tutt'altro avviso: il suo influsso irruppe senza riguardo fin dentro la grotta. Ungar sentì un brivido corrergli per il corpo, lungo la schiena, le braccia e le gambe. Sentì la propria carne fremere e le vene sulle tempie pulsare.

«No, no, NO, NO! È ancora presto!» sbottò. «La luna non è ancora alta nel cielo e la sua luce è ancora sovrastata dal pallore del sole» disse, guardandosi le mani tremanti.

Le unghie iniziarono ad allungarsi fino a trasformarsi in artigli. Si spalmò sulla parete di roccia sperando di trovare un rifugio dall'influsso di quell'ancora impalpabile chiarore. Vide la pelliccia crescergli sulle braccia e sulle gambe.

«No, non adesso! Ti prego, dammi altro tempo» implorò.

I sensi si acuirono, segno che la sua preghiera non sarebbe stata esaudita.

Forse sono già usciti dalla foresta. Se hanno corso senza fermarsi mai, saranno quasi arrivati ai cancelli della città, sperò con tutto sé stesso.

La sua mente si stava fissando su un unico pensiero, o meglio su un unico istinto, che era proprio della bestia più che dell'uomo.

«HO FAME!» urlò la creatura dentro di lui.

Gli montò dentro un desiderio folle di sfogare tutti i suoi istinti, ma in lui si fece strada la fiera volontà di dominarli.

«No, no, resisti un altro po'!»

L'urlo rimbombò nella grotta e si rivolse alla luna e al vento. Nessuno dei due lo ascoltò. I denti divennero zanne, le unghie artigli e i capelli e i peli pelliccia: la trasformazione era quasi completa.

Gli occhi si ingiallirono e cominciò a vedere i colori sbiaditi come fosse un vero lupo; tuttavia la ragione dell'uomo persisteva ancora nel corpo della bestia.

«Spero che non siano più qui intorno. Che siano già lontani, al sicuro » disse la coscienza dell'uomo, prima di spegnersi nell'istinto del licantropo.

Il suo ululato risuonò e arrivò alle orecchie dei ragazzi, ormai ai margini del bosco.

«Ungar!» urlò Gavister, come svegliatosi da quel torpore fatto di automatismi di cui era preda.

Si girò di scatto e corse indietro.

«No, fermo!»

Talos gli andò dietro nel tentativo di riagguantarlo.

Lo spettro di AmaraxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora