Capitolo 17 - La Vahl (Parte 1 di 2)

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Gavister era stato trasportato dai guerrieri del clan fino al Pta'Mon. L'intervento di quella figura lo aveva salvato dal linciaggio delle tribù e ora anche il loro atteggiamento nei suoi confronti pareva cambiato. Nessuno lo insultava e nessuno lo importunava; non soltanto perché la legge del clan vietava lo scorrere di sangue sotto il cappello del Pta'Mon.

Il suo corpo aveva smesso di morire grazie alle cure del vohnir del clan, Unnak; ciononostante sentiva ancora addosso gli effetti del veleno. Era spossato e senza forze, le gambe molli e le braccia tremolanti.

Mi sento così strano... svuotato! Sono gli effetti postumi del veleno? No, forse è stata quella strana golgothiana. Come esserne sicuro?

Gavister era attorniato dai guerrieri del clan, gli occhi immobili su di lui e un brusio fatto di sussurri in golgothiano correva per il Pta'Mon. Il ragazzo cercò Hugai, pur stando seduto e lasciando il compito ai propri occhi.

Lui può spiegarmi. Lui deve dirmi cosa è successo e perché è accaduto.

Avrebbe potuto insistere nella sua ricerca, però Hugai era assente e non trovò nemmeno Unnak.

Dove sono? Perché non sono qui?

Gavister era troppo stremato per sollevarsi, troppo stanco per fare domande; soprattutto, a chi avrebbe potuto porle? Ignorava la loro lingua e ignorava a chi rivolgersi. Vide entrare Katu e uno strano senso di vuoto lo travolse. Non aveva voglia di avere a che fare con lui e sperò che si fermasse da qualche altra parte.

Finito il loro chiacchiericcio, i guerrieri tornarono alle loro faccende. Erano liberi per il resto del giorno. Sarebbero andati a fare altre incursioni?

Gavister si sentiva ancora un estraneo, ancora un prigioniero, ancora in trappola, ancora inerme. Stringeva la spada del fratello Ungar e più la stringeva, più i ricordi affioravano alla memoria; così, il risentimento e l'odio emergevano dalle profondità fino alla superficie e con essi il desiderio di scappare.

Gli si avvicinarono, maschi e femmine, con carne essiccata e non, formaggio, vasi di coccio pieni di latte, pesci, radici e altro. Li posarono sull'erba attorno a lui.

Gavister rimase attonito. Si aspettava la solita indifferenza, se non qualche violenza gratuita.

Tutti si immobilizzarono, in silenzio.

«Devi mangiare, rynniu» disse Katu.

«Perché tutto questo cibo?»

«Fa parte della tradizione. Un morso per ogni cosa che il clan ti offre.»

«D'ora in avanti, cosa mi succederà?»

«Mangia, rynniu!»

Gavister detestava sottostare alle prepotenze e quelle di Katu lo irritavano particolarmente. Protese la mano, afferrò un pezzo di carne essiccata e ne prese un morso. Fece lo stesso con tutto ciò che poteva mangiare crudo e ogni tanto accompagnava il boccone con un sorso di latte. Erano rimasti dei tuberi, carne e pesce crudi e formaggi e pappe dall'aspetto strano.

Via il dente e via il dolore! Coraggio, Gavister, ingurgita questa roba senza masticarla; forse non sarà tanto male.

Infilò il dito in una densa pappa nerastra: a dispetto della presentazione, scoprì un gusto dolce che gli piacque molto. Ripeté il gesto con una seconda ciotola e scoprì un composto farinoso e pastoso, sgradevole al palato: allappava. Prese coraggio e proseguì con le pappe; quando ebbe terminato, bevve a gran sorsi dal vaso colmo di latte di vacca. Azzannò un tubero e la sua prima reazione fu di sputarlo, ma non voleva offendere i golgothiani che lo fissavano incessantemente da quando aveva cominciato a mangiare, così lo ingoiò, le lacrime agli occhi tanto era schifoso. Si rifece la bocca grazie a un pezzo di formaggio di capra.

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